Un anno dopo l’Hypercacher, una grande serata in memoria di Yoav Hattab

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di Roberto Zadik

yoav-hattabÈ passato un anno dalla morte del giovane Yoav Hattab, 21 anni ebreo tunisino, ucciso da due spietati terroristi, Amedy Coulibaly e Hayat Boumedienne, assieme ad altre tre persone nel negozio ebraico parigino “Hypercacher”. Una fine improvvisa, violenta e prematura che ha scatenato grande dolore e tanti interrogativi, alcuni irrisolti. Perché questa violenza contro persone innocenti? Perché questo odio immotivato e chi era Yoav Hattab?

In ricordo di quanto accaduto e in memoria di Hattab, uno dei dieci figli del Rabbino Capo di Tunisi, Benjamin Hattab, il cinema Anteo e l’assessorato alla Cultura della Comunità ebraica di Milano, il vice assessore Gadi Schonheit, in collaborazione coi presidenti Besso e Hasbani, hanno organizzato una serata molto intensa e partecipata. Nella sala del cinema di via Milazzo, piena di gente e di personalità istituzionali e comunitarie, prima della proiezione del bel documentario “Io sono Yoav” diretto da Sabina Fedeli, Stefania Minetti e Amalia Visentini si è tenuto un interessante dibattito che ha coinvolto numerose personalità. Moderata da Guido Vitale che ha definito l’iniziativa “una collezione di interventi più che un dibattito”, essa ha visto la partecipazione di numerose personalità come oratori e fra il pubblico.

Fra i relatori, il Rabbino Capo della Comunità di Milano, Rav Alfonso Arbib,  il padre di Yoav, Rav Benjamin Hattab, le registe del filmato  Fedeli e Minetti, assente la Visentini, Ricardo Franco Levi, onorevole alla Camera, giornalista e esperto di politica internazionale, Dounia Ettaib, presidente dell’Associazione musulmane in Italia, Fabio Mancini direttore del programma Doc 3 Rai 3 sul quale è andato in onda il documentario.
(Trovate il film per intero sul sito di Rai 3 a questo link.)

Gli interventi hanno approfondito ognuno di loro un argomento diverso. Dal ricordo del giovane Yoav da parte di suo padre che visibilmente emozionato ha ringraziato i presenti sottolineando di “essere davvero commosso dalla grande partecipazione di questa città” descrivendo la personalità del figlio e i suoi ultimi giorni di vita fino a quel tragico 9 gennaio, ai retroscena del documentario spiegati dalle due registe e giornaliste, all’analisi del terrorismo e dell’attuale situazione da parte di Ricardo Franco Levi. Un gran numero di tematiche sviluppate in brevi e incisivi interventi.  Poi è stato proiettato il documentario che si è concluso con una standing ovation del pubblico.

A cominciare il tutto è stato Schoenheit organizzatore della proiezione e del dibattito che ha sottolineato come “nonostante sia il 150esimo anniversario della Comunità ebraica milanese e si tratti di una ricorrenza importante non stiamo vivendo un momento molto felice. Siamo in una fase di grande preoccupazione in tutta Europa dove abbiamo scoperto e riscoperto la paura di andare a scuola, a teatro, al ristorante e un anno fa moriva il giovane Hattab mentre andava a comprare del vino per il Kiddush dello Shabbat, ucciso in uno supermarket ebraico”.

Successivamente è toccato al Rabbino Capo, rav Alfonso Arbib, che riprendendo l’introduzione del vice assessore alla Cultura comunitario ha ribadito la difficile situazione in cui ci troviamo caratterizzata da “un leit motiv dominante nella storia dell’antisemitismo che è l’indifferenza. Leggendo le parashot del libro di Shemot ho trovato un collegamento con quanto stiamo vivendo. In Egitto l’unica persona che si preoccupò degli ebrei fu la figlia del Faraone che salvò Mosè ma il resto degli egiziani dov’era? Non tutti odiavano o sono contro gli ebrei semplicemente a tanta gente non interessiamo.” Fornendo diversi esempi storici, come la cacciata dalla Spagna e altre persecuzioni antiebraiche e le recenti cronache dei giornali, ha espresso la sua preoccupazione e il suo sdegno rispetto all’informazione attuale. “Ho letto recentemente le cronache giornalistiche dei conflitti fra Arabia Saudita e l’Iran e sono rimasto sorpreso che nessun giornale abbia parlato di quanto l’Iran sia uno dei principali propagandisti dell’odio antisraeliano e antisemita nel mondo. Anche i continui accoltellamenti che si stanno verificando in Israele da mesi, su diversi mass media spesso vengono tralasciati, considerati come un terrorismo di seconda categoria e tutto questo mi preoccupa”. Parlando del film e di Rav Attab ha aggiunto “vorrei concludere il mio intervento con una nota positiva”.  “Questa è una serata importante dove siamo qui per dare la nostra solidarietà e il nostro affetto a una persona straordinaria e piena di fede, come il padre di Yoav. Abbiamo tutti molto da imparare da lui e sono felice di averlo qui stasera, perché è un esempio per rafforzare il nostro senso di appartenenza al popolo ebraico”.

Da segnalare anche gli interventi di Ricardo Franco Levi che si è soffermato su antisemitismo e terrorismo e sui pericoli del radicalismo islamico dell’Isis che ha come suoi membri prediletti “persone ignoranti che vivono nelle periferie francesi e europee, analfabeti e rabbiosi disposti a tutto”. “L’Isis sta cercando di sovvertire sia l’Europa che il mondo arabo, dalla Libia, all’Egitto, all’Algeria per controllare il mondo facendo leva sugli strati più incolti e grezzi della popolazione. In questo scenario” ha detto Levi “dobbiamo capire cosa fare e come risolvere questa difficile situazione. Gli Stati Uniti sono molto deboli e così l’Europa e sta avvenendo uno sconvolgimento planetario che non so dove ci porterà”.
In tema di Islam si è espressa Dounia Ettaib che ha segnalato l’importanza della tolleranza e del dialogo interculturale, definendosi molto “contenta di aver conosciuto la Comunità ebraica e di essere nata in Marocco, terra dove c’è sempre stata una buona convivenza. Gli ebrei e i berberi sono considerati marocchini senza distinzioni”.  Proseguendo nel suo intervento la Ettaib ha condannato chiunque voglia uccidere in nome della religione evidenziando il suo stupore nel vedere in Italia “molta polizia davanti alla Sinagoghe. Mi sono chiesta per quale motivo e se ci sia un pericolo per gli ebrei”. “Siamo tutti esseri umani, senza differenze, siamo uomini e donne e dappertutto c’è il male e il bene e non c’è motivo di compiere violenze e di odiare nessuno. Veniamo messi al mondo per migliorarlo e non per togliere la vita agli altri”.

Di notevole interesse anche le testimonianze delle registe del documentario e quella del padre di Yoav. Comè stato realizzare questo video? Che carattere aveva Yoav Hattab e come ha passato i suoi ultimi giorni? “Siamo entrate nella storia di Yoav cercando di immedesimarci totalmente” ha detto Stefania Minetti. “Abbiamo viaggiato a Tunisi, dove era nato, a Parigi dov’è morto e a Gerusalemme dov’è stato sepolto intervistando amici, parenti. Yoav si sentiva molto legato alla sua terra, la Tunisia dove era nato nel 1993, ed era un ebreo molto religioso. Sognava di migliorare la sua condizione e in Francia lavorava e studiava. Era un ragazzo di pace, fiero della sua identità ebraica e nordafricana che credeva nella fratellanza fra popoli e persone ed era pronto a sacrificarsi per gli altri”.

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Rav Benjamin Hattab, padre di Yoav Hattab

Prima del film, molto toccante è stata la testimonianza dell’ospite più atteso, Rav Hattab. “Amavo molto mio figlio Yoav, che aveva tanti fratelli, siamo una famiglia numerosa e ho avuto dieci figli, cinque maschi e quattro femmine. Yoav era molto speciale ed è stato studente di Yeshiva per un anno, Bar Korè e Hazan con una bellissima voce. Poi ha deciso di andare a Parigi per proseguire gli studi, anche se volevo che restasse qui con noi. Lavorava nel negozio kasher e studiava e tutto è proseguito normalmente fino al 6 gennaio 2015, tre giorni della sua morte”. Molto composto ma visibilmente addolorato, Rav Hattab ha raccontato l’ultimo giorno di vita del figlio, il 9 gennaio. “Stavamo preparando per lo Shabbat ed ero tornato da alcune commissioni prima di fare Kiddush. Il proprietario delnegozio Hypercacher ci ha telefonato dicendo che c’era stato un attentato nel locale e che Yoav era tenuto in ostaggio nel sottoscala assieme ad altre persone da due terroristi armati. Nonostante questo ho fatto Kiddush ma mia moglie si è rifiutata di mangiare. Anche se era Shabbat ho tenuto la tv accesa e alle 19.30 abbiamo visto che la polizia ha liberato gli ostaggi ma Yoav non c’era. Poi ho ricevuto un’altra telefonata e mi hanno detto che mio figlio è morto”. Parole molto drammatiche ma espresse con pacatezza e incredibile forza morale da Rav Attab. Ma cos’è successo nei giorni successivi alla scomparsa del ragazzo? “Dopo la morte di Yoav i nostri vicini di casa si sono comportati molto bene, noi in Tunisia come ebrei non abbiamo mai avuto problemi. A Shabbat sono partito per Parigi, per impedire l’autopsia e per riconoscere il cadavere di mio figlio.  Martedi è stato sepolto a Gerusalemme al funerale dove c’erano trecentomila persone. E’ stato incredibile”. Il Rav ha concluso “Non capisco come mai ci sia ancora tanto odio per noi e per i cristiani e da dove nasca questo sentimento. Nonostante questo non dobbiamo avere paura del terrorismo se no esso avrà vinto”.

Successivamente è stato proiettato il documentario, molto ben diretto e realizzato, che con una serie di interviste, ricordi, filmati mostra come era il giovane Yoav e come lo ricordano i suoi tanti amici e la sua ex ragazza. Ne emerge la personalità di un ragazzo buono, altruista e coraggioso, molto vivace e ebreo praticante che pregava e praticava sport, come calcio e nuoto, studiava Toarh e amava la musica e le serate in compagnia.