Seminario Gariwo. La scuola ha bisogno dei Giusti

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di Davide Foa

IMG_3939“L’obiettivo del seminario è fornire ai partecipanti occasioni di confronto e riflessione su come ottenere strumenti efficaci di intervento educativo e di relazione con i propri studenti”. Questo lo scopo dichiarato del secondo seminario organizzato da Gariwo venerdì 14 novembre in una sala del memoriale della Shoah, in Piazza Edmond Safra 1 (il primo si era tenuto il 6 novembre). Ma, che c’entrano i Giusti e Gariwo con il rapporto tra insegnanti e alunni?

“Insegnare è un lavoro molto difficile e sottostimato. E’ difficile perché si basa sul rapporto tra persone”: questo il pensiero della psicanalista Nadia Neri, ospite e prima relatrice del seminario insieme a Alessandro Albizzati, docente di Neuropsichiatria infantile presso l’Università di Milano Bicocca.

Dare esempi positivi per combattere l’apatia
Il problema da affrontare è quello del rapporto tra studenti e insegnanti. “E’ difficile capire e farsi capire – ammette la dottoressa -. Nel momento in cui entra in classe, l’insegnante porta con sé le difficoltà della propria vita: è impossibile spogliarsi della propria storia”.

Per questo, l’insegnante proietterà inevitabilmente simpatie o antipatie sui propri alunni. E’ inutile quindi cercare di modificare se stessi, assumendo diverse personalità in base alle occasioni. Piuttosto, l’errore più comune tra coloro che siedono dietro la cattedra, è “cercare sempre di etichettare gli studenti”. Davanti all’apatia di un alunno, anziché cercare di comprenderlo, si sente la necessità di trovare qualcosa che non va. Si crea una specie di alleanza tra docenti, genitori e anche psicologi, in cui nessuno dei contraenti ha il coraggio di provare a capire lo studente.Il ragazzo o la ragazza in questione viene quindi sottoposto a una serie di test, allo scopo di trovare il deficit preciso.

Dislessia, discalculia, e chissà quante altre problematiche, non sono altro che “il negativo che ci tranquillizza perché testato scientificamente.”

Il problema e pericolo maggiore di oggi è, secondo la Neri, l’apatia. Un’apatia che nasce dalla mancanza di ideali, di passioni. “Dobbiamo partire proprio da questo, dalla difficoltà di avere un ideale”. Ebbene, gli ideali mancano perché non abbiamo più come un tempo dei punti di riferimento capaci di guidarci nella nostra vita quotidiana. Figure ideologiche, di questo abbiamo bisogno, secondo la relatrice.

Ecco che il collegamento Gariwo-scuola inizia a prendere forma. Chi sono i Giusti se non persone normali con dei valori? “Si deve parlare dei Giusti -, afferma la relatrice -. Partiamo da loro, da ciò che hanno fatto, e magari riusciremo ad appassionare chi ci ascolta”.

Ma oggi le discussioni e i litigi avvengono in gran parte sulla chat.I giovani, ma non solo, hanno perso il piacere di sentire il calore di una voce, preferendo invece affidarsi alla tecnologia. “Anche quando sono in terapia da me, nel momento in cui più possono aprirsi e tirare fuori le loro incertezze, non riescono a staccarsi dal cellulare”, ammette Neri.

Certo, è difficile avere passioni se tutto ciò che ci circonda ci appare negativo. Difficilmente leggendo un giornale troveremo tante notizie positive quante sono quelle negative. Questa propensione al negativo non riguarda però solo l’ambiente giornalistico; tutti avranno vissuto il clima di terrore respirabile in classe quando il docente, sfogliando le pagine del registro, decide chi interrogare.

“Gli adolescenti che vengono da me – continua la psicanalista- soffrono in maggior parte di attacchi di panico prima di andare a scuola”. Altro che passione… qui si parla di oppressione. Lo studio e la valutazione di esso devono essere visti in modo diverso, altrimenti la scuola resterà sempre un luogo detestabile e opprimente.

Il ruolo della scuola non è più lo stesso
Del ruolo della scuola nell’educazione dei giovani e di come esso sia cambiato nel tempo ha parlato il professore Alessandro Albizzati, il cui tono del relatore, inizialmente tranquillo, si accende con il procedere del discorso. Una prima forte affermazione arriva dopo poco: “ la scuola è stata invasa dalla psicologia, a scapito dell’educazione”. Albizzati critica fortemente l’ingresso degli psicologi nelle scuole. Infatti, come peraltro aveva prima accennato la Neri, l’intervento degli psicologi è stato dannoso per alunni e genitori; da quel momento è venuto meno il valore e il ruolo dell’educazione. Si è arrivati così alla condizione per cui “gli adulti non sanno rispondere alle richieste di un/una giovane”.

Un tempo i ragazzi contestavano, dibattevano con i propri genitori o insegnanti, oggi invece il conflitto è stato azzerato: bambini, ragazzi, genitori, tutti sono sullo stesso piano. Non esiste più, secondo Albizzati, l’educazione come “atto di tutela”.

Il professore si sofferma poi sul ruolo del padre, una figura che negli ultimi vent’anni è stata vittima di un “genocidio”. Per paternità il professore intende un codice etico, ovvero un modo di rapportarsi ai figli che permetta loro di entrare in contatto con il mondo esterno. Non si vuole, quindi, fare una critica unicamente ai padri assenteisti, anzi, Albizzati si riferisce piuttosto a quelli super-protettivi: il giovane deve imparare ad affrontare le difficoltà di tutti i giorni. Questo è il compito dei padri. “Fare il padre è un po’ come fare il Papa: si occupa una posizione e si sente costantemente il peso di doverla mantenere”.

Il secondo relatore si sofferma poi sull’importanza delle passioni, specialmente in ambito scolastico: “il sapere fine a se stesso non è portatore di cultura e la conoscenza: quella vera, la possediamo solo se riusciamo ad attivare l’amore per essa”.

Come possiamo meglio definire questa apatia che coinvolge gran parte dei giovani? Albizzati usa un termine particolarmente incisivo, “analfabetismo emotivo”.

Non possiamo d’altra parte dare la colpa di questo fenomeno ai ragazzi solamente; anche perché i giovani sono “il prodotto degli anziani”. Sono stati gli adulti che hanno ceduto alla tecnologia, che hanno permesso la vittoria della fredda e apatica “tecnè”.

Concludendo il proprio discorso, il professore ammette anch’egli di non riuscire ad avere una visione ottimistica e afferma: “Non vedo oggi un’inversione di tendenza. Credo che l’emergenza educativa sia forse più importante di quella economica”.