L’esempio dei Giusti nella vita di tutti i giorni

Italia

DSC_0074Gariwo la foresta dei Giusti è una onlus fondata nel 2001 dallo scrittore Gabriele Nissim, dal console onorario d’Armenia in Italia Pietro Kuciukian e da due filosofe, Ulianova Radice e Anna Maria Samuelli, con l’obiettivo di valorizzare le figure esemplari di resistenza morale attraverso la costruzione di luoghi della memoria e con la realizzazione di piccole foreste e giardini, in tutte le parti del mondo e in special modo nei luoghi di genocidi, stermini di massa, crimini contro l’Umanità.

Lo scopo di Gariwo (acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide) è la prevenzione dei genocidi con l’educazione dei giovani alla responsabilità personale, nel legame tra passato e presente, memoria e attualità. E per raggiungere tale scopo, l’associazione svolge convegni, dibattiti e seminari con gli insegnanti, come quello che ha avuto luogo giovedí 6 novembre presso l’Auditorium del Memoriale della Shoà dal titolo “Le figure dei Giusti tra teorie etiche e pratiche di vita”. L’obiettivo dichiarato è fornire ai partecipanti occasioni di confronto e riflessione su come ottenere strumenti efficaci di intervento educativo e di relazione con i propri studenti attraverso l’identificazione di approcci utili a trasmettere non solo conoscenze, ma anche capacità di comprensione della realtà.

Può l’esempio dei Giusti creare un collegamento tra teorie etiche e pratiche di vita?
“In questa sede non vi proporremo una visione ricca di pessimismo e disperazione, ma neanche una situazione di speranza smisurata”: così Anna Maria Samuelli, moderatrice del seminario, dà inizio all’evento. La filosofa ribadisce l’importanza dell’energia della narrazione per gli studenti, affinché essi utilizzino tali storie nella vita quotidiana, in classe come in famiglia.

I Giusti richiamano la memoria del Bene, ricorda Samuelli, ma quale bene è possibile? Come essere all’altezza delle loro scelte?

Per rispondere a questo interrogativo interviene il professore Salvatore Natoli, docente di Filosofia Teoretica all’Università Bicocca. Il professore traccia un profilo della situazione attuale che è inquietante: abbiamo dimenticato Auschwitz. Il male è assoluto, dice Natoli, quando si presenta nella forma “dell’intenzione del bene”: porta ad esempio l’ISIS che non ha vergogna a mostrare lo sgozzamento, l’ISIS che vuole produrre terrore da un lato, e acquisire adepti dall’altro. E ci riesce. Cosa si può fare oggi? Il professore, prima di rispondere, distingue due comportamenti ingiusti: il primo appena descritto, proprio di chi compie delitti estremi persuaso dall’idea di agire nel bene, e un secondo prodotto per indifferenza, per colpa di una società priva del criterio del Bene, una società in cui si sono persi i valori.

“La giustizia salva: il Giusto salva perchè mette al riparo una vita e resiste così a una violenza in atto – ha dichiarato -. Questo rappresenta però il caso estremo.”

Natoli si dilunga soprattutto su questo ultimo punto: il Giusto è giusto perchè col suo comportamento previene il caso estremo. Col suo agire quotidiano giusto evita di trovarsi a essere Giusto.

Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te diviene fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Ma già Kant poneva dei limiti a questa visione, poichè mancando un’idea oggettiva di bene, la giustizia non prevede giudizio, e tutto crolla. Diceva infatti Kant: “nella tua massima quando agisci non metterti nella formula vorrei, ma diventa legislatore universale”.

L’eroismo del Giusto non è necessario, ricorda Natoli: “Facciamo i conti prima, perchè è meglio vivere bene che celebrare. Non bisogna aspettare il caso estremo per occuparsi degli altri”.

Dopo una breve pausa è il turno del professor Sante Maletta, ricercatore di Filosofia Politica presso l’Università degli Studi della Calabria e al suo intervento dal titolo “La Virtù che salva”. Maletta inizia con un’apologia dell’educazione umanistica: un’educazione, ricorda, basata su Storie (Storia della Letteratura, Storia della Filosofia eccetera) e su storie, di uomini e donne, e per questo un’educazione umana e morale. Il professore continua ricordando la differenza tra un’etica di terza persona, in cui il giudizio è esterno a chi agisce – il legislatore universale kantiano-, e un’etica di prima persona, propria dei Giusti, che agiscono quasi inconsapevolmente, perché educati al Bene. Nell’etica di prima persona non basta attenersi ad una legge, anche perché non sempre le leggi sono giuste: cita la celebre giustificazione nazista “eseguivo il mio compito”. Il vero Giusto è capace di un’interpretazione personale delle regole morali tramite immedesimazione; sa andare oltre l’autorevolezza di una legge giuridica.

A render prova ancor di più della drammaticità che comporta la scelta di come agire, Maletta ricorda che anche l’amore è soggetto a una gerarchia; ciò che i latini chiamavano ordo amoris. “Il problema della vita si riduce solo a questo, a come ordinare i beni. La mia bontà dipenderà da come ordinerò, quindi dall’educazione che mi è stata impartita, ma anche e soprattutto dal tipo di uomo che voglio diventare, a quale modello voglio tendere. Devo inoltre tener conto che ciò che deve essere fatto può non sempre portarmi il massimo godimento.”

Il professore ricorda un’amara verità: non c’è niente di garantito. Come può essere uomo ingiusto colui che ha ricevuto un’ottima educazione al Bene, un uomo non virtuoso, nelle situazioni definite da Natoli estreme, può dimostrarsi Giusto: esempio Schindler.

Maletta conclude il suo intervento con un richiamo al Novecento, il secolo più malvagio della Storia, e cita Hannah Arendt e i non partecipanti descritti ne “La banalità del male”, che non sono altro che i Giusti: coloro che hanno mantenuto criticità di pensiero, che hanno pensato in maniera vera e profonda, non ideologicamente. Giusto è colui che pensa scisso da stereotipi in senso emotivo e con immaginazione; la mancanza di immaginazione è il vero problema secondo Maletta.

Si ricollega così all’inizio del suo intervento, come a chiudere un cerchio: “Ciò che fanno le Storie e le storie, ciò che l’educazione umanistica fa, è proprio lo sviluppo di queste capacità: il saper riflettere, il ricordare, la capacità di confrontarsi con la realtà e di non parlare secondo stereotipi. L’immaginazione si sviluppa solo con l’arte che racconta, con la letteratura, con il cinema, con tutte le forme d’arte aventi struttura narrativa”. Conclude: “Quando leggiamo un libro, guardiamo un film non stiamo passando il tempo, ma facciamo esperienze impariamo e conosciamo il mondo”.

Il seminario continuerà venerdì 14 novembre con la psicologa Nadia Neri e il neuropsichiatra infantile Alessandro Albizzati.