Una settimana di film al Jerusalem Jewish Film Festival

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Nella magica cornice della Cinemateque di Gerusalemme, domenica 9 dicembre si apre l’annuale edizione del Jerusalem Jewish Film Festival. In programma 50 film – lungo e cortometraggi, documentari, cartoon – che hanno come intento di base quello di esplorare ad ampio raggio l’identità ebraica: dalla fede, alla storia, alla memoria; e poi, ancora, la musica, la vita oggi in Israele e nella Diaspora, le relazioni fra l’ebraismo e le altre religioni.

Il festival si apre con un film francese, “Paris, Manahattan”,  una commedia romantica diretta da Sophie Lellouche dove Alice, una giovane farmacista parigina, single, innamorata dei film di Woody Allen, sogna ad occhi aperti e propone ai suoi clienti i film del suo idolo come terapia alternativa e, un giorno, incontra un uomo che non hai mai visto un film di Woody Allen…

Fra le varie sezioni in programma si segnalano, “Kosher Beats” il meglio della musica ebraica nel cinema; “Jewish Horror Story” e “Great Jewish Minds”, con una serie di documentari dedicati a grandi artisti ed intellettuali ebrei del nostro tempo – da Theodor Herzl ad Hannah Arendt, Susan Sontag, Joann Sfar, Ruth Kluger.

Da segnalare inoltre la proiezione di film d’epoca come “Oded the Wanderer” del 1932 diretto da Chaim Halachmi – il primo film realizzato in Palestina da un gruppo di “pionieri” che sognava di fondare in Eretz Israel un’industria cinematografica; e “Dybbuk” in yiddish, girato in Yiddish nella Polonia del 1937 da Michael Waszynski. In “Dybbuk” emerge tutta la  ricchezza culturale dello shtetl polacco alla vigilia della seconda guerra mondiale e proprio per questo è ritenuto ancora oggi una sorta di monumento ad un mondo che nessuno immaginava sarebbe stato completamente cancellato.

A proposito di mondi che cambiano, da segnalare sono senz’altro altri due film del programma del Festival: “Inventing our Life: the Kibbutz Experiment” dell’americano Toby Perl Freilich,  e “Seekers” dell’israeliano Yishai Oren. In entrambi al centro dell’attenzione c’è il kibbutz. Nel primo il kibbutz è inteso e presentato come spazio “rivoluzionario”, che ha permesso a molte generazioni di ebrei di “reinventare” la propria vita in Eretz Israel radicandola su basi altre da quelle originarie. Nel film di Oren, invece il kibbutz è un luogo inizialmente perfetto, ma che ad un certo punto si rileva privo di qualcosa. Comincia così la ricerca del regista Oren e di un gruppo di amici, che li condurrà, fra luoghi vicini e lontani, alla riscoperta delle proprie radici e al ritorno all’ebraismo.

Il programma completo del Festival, che si svolge dal 9 al 14 dicembre, sul sito della Cinemateque