I brani di Battiato, De Andrè e Pino Daniele inaugurano il nuovo ciclo di incontri “Mediterranean Rhapsody”

Eventi

di Pietro Baragiola
Il giornalista musicale e presentatore Roberto Zadik ha dato il via al nuovo ciclo di incontri Mediterranean Rhapsody, alla scoperta del patrimonio culturale e artistico del mediterraneo e delle sue influenze nel resto del mondo.

Il primo appuntamento, tenutosi mercoledì 11 ottobre alla Biblioteca Chiesa Rossa di Milano, ha esplorato l’Italia del Sud attraverso i brani e le vite di cantautori straordinari come Franco Battiato, Pino Daniele, Carmen Consoli e Mango che, diversamente dai loro contemporanei angloamericani, sono diventati celebri per la loro continua ricerca e sperimentazione musicale.
“Per me il Mediterraneo è apertura, vitalità, curiosità e ospitalità. Una terra di continuo interscambio e trasformazione” spiega Zadik che, ispirandosi al suo retroterra ebraico-greco-turco-sefardita, ha creato questa serie di appuntamenti per contrastare il clima sempre più polemico instaurato attorno all’area mediterranea. “È un festival che ha il compito di depoliticizzare il Mediterraneo e lasciare che parli attraverso la sua musica, le forme d’arte, il cinema e la grande poesia al posto delle solite immagini di vacanze, sbarchi, migranti e altri argomenti che mettono le persone contro anziché incontro tra loro”.

I prossimi tre incontri del ciclo a ingresso libero saranno:

  • Mercoledì 25 novembre, Le vie del flamenco fra Francia, Spagna e Nord Africa;
  • Mercoledì 8 novembre, Fra Europa e Oriente: Grecia, Turchia e Israele;
  • Domenica 19 novembre, Parole Mediterranee, testi e immagini.

Il fascino per l’estero di Franco Battiato e Carmen Consoli

Il primo cantante mediterraneo su cui Zadik vuole concentrare l’attenzione è Franco Battiato.

Nato il 23 marzo del 1945 a Giarre, Battiato ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la sua Sicilia, amandola e non amandola. Questo sentimento lo portò a trasferirsi a Milano dove scelse un filone talmente sperimentale che molti ancora non capivano e fece fatica a venderlo.

Fu così che, motivato dall’amico violinista Giusto Pio, decise di unire la sua musica al carattere scherzoso e brillante che lo aveva da sempre caratterizzato, arrivando a creare il suo primo brano di successo: L’era del cinghiale bianco del 1979. Questa canzone mostra il grande interesse che il cantautore provava per la mistica celtica secondo cui il “cinghiale bianco” è simbolo di pace interiore, un Nirvana da raggiungere.

Con le sue strofe inneggianti “alberghi a Tunisi” e “sigarette turche”, L’era del cinghiale bianco ha lanciato la carriera di Franco Battiato. “Una carriera ricca di liriche talmente ironiche, spassose e profonde che non c’era bisogno di capire i testi per apprezzarli” afferma Zadik.

L’album La voce del padrone, caratterizzato da brani come Centro di gravità permanente, Gli Uccelli e Bandiera Bianca, è la consacrazione assoluta di questo cantautore mediterraneo che, grazie al suo grande carisma e personalità, si poteva permettere frasi totalmente stravolgenti (“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata”).

Il suo fascino per l’esotico emerge specialmente nel brano Vorrei vederti danzare del 1982 dove Battiato mette in contrapposizione la musica nord-africana con l’elettro-pop coinvolgente dei vecchi walzer viennesi. Nel testo è presente anche un dialogo tra lui e un Tuareg del deserto a cui il cantante dirige una delle sue battute più surreali (“sono venuto a fermare la latinizzazione della lingua araba”).

“Questo suo interesse per l’oriente ci permette di viaggiare in mondi lontani dal nostro tra Bagdad, Gilgamesh, Tunisi e la musica Sufi” racconta Zadik prima di introdurre un’altra grande artista mediterranea, nonché vicina di casa di Franco Battiato: Carmen Consoli.

Nei suoi 25 anni di carriera, Carmen Consoli non rimase mai ferma nella sua amata Catania bensì, grazie alla sua conoscenza della lingua inglese, riuscì a strabiliare l’America, affermandosi come cittadina del mondo. Una delle sue più storiche performance la vede esibirsi nel pezzo Piece of my heart di Janis Joplin, una delle tre grandi icone dell’era hippy insieme a Jim Morrison e Jimmy Hendrix. Mediterranea nella sua sperimentazione di stili e sensazioni, Consoli alternò la sua vena pop rock angloamericana ad una più intimista e malinconica.

Zadik ci spiega che “questa apertura verso altre forme di stili e culture è una caratteristica predominante degli artisti del mediterraneo, tra cui Herbert Pagani, Georges Moustaki ed Enrico Macias, che hanno vissuto lungo il mare o sulle montagne, sviluppando ognuno il proprio punto di vista in fuga verso la contaminazione o attaccato alle proprie radici”.

La ricerca della terra natia di Pino Daniele e Fabrizio De André

Molti sono gli artisti che hanno espresso la propria “mediterraneità” indagando sulle origini della loro madre patria piuttosto che scoprendo culture lontane. Tra questi ricordiamo Eugenio Bennato e il suo grande amore per il mare, emerso più volte nei brani Le città di mare e Che il Mediterraneo sia. Attraverso questi pezzi il cantautore rifletteva sulle sue origini meridionali e partenopee, rendendo omaggio alla pizzica, alla taranta e all’immenso patrimonio culturale napoletano.

La stessa Napoli, descritta da Bennato in maniera radicata nei ritmi e nelle parole, assume un tono più sperimentale nei brani di un altro celebre cantante mediterraneo: Pino Daniele, che inizio la sua carriera musicale a soli 18 anni. Il brano Napule è del 1977 è stato scritto in onore della sua terra natia, descrivendola con parole che, pur essendo semplicissime, erano capaci di emozionare il suo pubblico (“Napule è una camminata”).

Amico intimo di Massimo Troisi, Pino Daniele utilizzò il dialetto napoletano rivestendolo con la raffinatezza anglo americana blues e creando il cosiddetto “neapolitan blues”. Tra le sue collaborazioni più importanti troviamo quella con la celebre cantante israeliana Achinoam Nini, in arte “Noa”, con cui compose il brano The Desert in My Head parte dell’album del 1997 Dimmi cosa succede sulla terra. Con gli anni si aprì sempre di più alle performance inglesi incontrando star di fama internazionale come Eric Clapton che lo definì “uno dei più grandi chitarristi della storia”. Il brano Via Medina, creato dalla fusione di un’orchestra napoletana e una nord africana, rispecchia appieno la sua sperimentalità mediterranea attraverso i suoni dei tamburi e dell’oud, uno degli strumenti più antichi del mondo e progenitore del mandolino napoletano.

Un altro cantautore estremamente legato alla propria terra natia fu Fabrizio De André che dedicò l’album Creuza de mä del 1984 alla sua amata Genova. Fu un successo clamoroso, considerato dalla critica il Miglior disco italiano degli anni ’80 e tra i 10 dischi più venduti al mondo grazie alla capacità di De André di descrivere in maniera sublime non solo le proprie emozioni ma anche quelle dei marinai del porto di Genova mentre sullo sfondo riecheggia il ritmo ondoso e suggestivo della creuza (termine che indica i classici viottoli di mare genovesi).

Nato, vissuto, cresciuto e attaccatissimo alla sua città, De André è considerato l’unico vero cantore genovese. Nonostante le continue censure della critica, il cantante passò la sua carriera affrontando temi difficilissimi come emerge nei brani Don Raffaè, uno dei più suggestivi ritratti delle carceri degli anni ’80, e Il canto dei drogati, una delle prime e pochissime canzoni sulla tossicodipendenza.

La risposta del pubblico

La volontà di utilizzare la propria musica per affrontare importanti temi sociali è stata ripresa anche da Rino Gaetano che, attraverso la sua comicità graffiante non si è mai tirato indietro dal citare nomi e cognomi di molti suoi contemporanei, inserendoli nei testi dei suoi brani più celebri.

“Era un paroliere straordinario, un giullare del palcoscenico che affrontava argomenti molto impegnativi con la leggerezza tipica dei grandi cantautori mediterranei” racconta Zadik, soffermandosi sul fatto che il brano Gianna è diventato il successo più venduto dal cantante calabrese nonostante avesse scritto canzoni di qualità molto superiore come Mio fratello è figlio unico e Nuntereggae più.

Parlando di testi mediterranei che non hanno ottenuto il riconoscimento che meritavano, Zadik introduce Luce, uno dei brani più emozionanti di Giuseppe Mango. Sperimentatore, innovatore e ricercatore musicale, Mango scrisse questo pezzo grazie ad una straordinaria collaborazione con la cantante tedesca di origine egiziana Zenima, ma, ciononostante, si piazzò solamente in 6° posizione al Festival di Sanremo.

Con l’arrivo della nuova generazione di cantanti mediterranei il pubblico è tornato ad apprezzare e valorizzare di più questi artisti sperimentali, ora guidati dall’egiziano Mahmood e dalla cantante di origine marocchina Malika Ayane.

“Questi artisti multietnici girano il mondo e il mondo gira dentro di loro” conclude Zadik. “La loro arte ci fa capire che è davvero il livello della persona a contare più del suo paese e della sua religione: una lezione che tutti noi dovremo seguire, specialmente nel clima di odio e conflitto che stiamo vivendo”.