Marc Chagall, un universo in mostra

Arte

L’universo di Marc Chagall arriva a Roma. Fino a domenica 1 luglio, presso il Complesso del Vittoriano, sarà allestita la mostra “Chagall delle meraviglie” che, attraverso circa 180 opere tra dipinti, gouaches, disegni, sculture e incisioni, ripercorre l’intero itinerario della vita e dell’opera dell’artista russo. “Chagall continua a parlarci anche ora -ha affermato Claudia Zevi, curatrice della mostra- e, nell’organizzare questa rassegna, ci siamo chiesti come mai sia così e, per trovare una risposta, abbiamo prima guradato all’uomo e alle varie vicende cha ha attraversato, sempre riflettendoci sopra; un uomo religioso, ebreo ma, aperto a tutte le religioni. Per lui – ha proseguito Claudia Zevi- dipingere era una necessità interiore”. “La sua cultura ebraica -aggiunge la curatrice- sicuramente molto presente, in un certo senso contraddiceva però con questa sua esigenza, ma Chagall era anche russo e, di conseguenza, in lui conviveva anche la cultura ortodossa, verso la quale il pittore guardava e, dalla cultura delle icone, riprese l’uso dei colori forti e la totale indifferenza al ripetersi delle formule. Chagall, infatti, non era interessato a trovare un nuovo alfabeto ma, credeva che fosse importante cercare nuovi modi per esprimere quell’alfabeto già esistente. Inoltre -ha concluso Claudia Zevi- la sofferenza di un popolo per l’artista era quella di tutta l’umanità e, da ciò, il messaggio che voleva esprimere era che tutte le religioni sono uguali”.

Il percorso espositivo presenta capolavori provenienti da importanti musei pubblici e prestigiose collezioni private di tutto il mondo, documentando l’iter umano e artistico del pittore e leggendone l’opera attraverso una serie di chiavi interpretative, che evidenziano i richiami con la cultura e la tradizione. “Da non addetto ai lavori – ha affermato Silvio Di Francia, assessore alla Cultura del Comune di Roma – mi colpisce che in quest’epoca in cui le radici incontrano il futuro davanti ai nostri occhi, possiamo ammirare le opere di Chagall, uomo di radici profonde che, però, viaggiò molto, guardando il mondo ed è curioso – ha proseguito l’assessore – che un uomo di radici, come appunto era Chagall, disegnasse così spesso un uomo che spicca il volo”. “Inoltre -ha continuato Di Francia- in un contesto storico e sociale come quello che stiamo vivendo in questi anni, Chagall incarna anche un esempio di tolleranza. L’ebreo Chagall per rappresentare la tragedia della Shoah ha scelto, infatti, la figura di Cristo, come simbolo dell’umanità tutta, che dovrebbe riconoscere un’unica diversità; quella tra la vittima e il carnefice”.

Scopo della mostra è rivisiatare l’intera opera di Chagall, ricca di rimandi, influssi e anche anticipazioni rispetto all’arte futura. Ecco perché Roma, luogo dove si sono succedute e sovrapposte culture diverse, è la città adatta ad accogliere le opere di Chagall, nella cua arte si sono intrecciate origine diverse, la religione ebraica e quella cristiana. “Quella di Chagall, nell’attuale clima culturale italiano, è una figura molto interessante – ha affermato Claudio Strinati, soprintendente per il Polo Museale di Roma – Celebriamo alcune sue opere emblematiche che tutti conosciamo ma, la sua storia è stata talmente articolata che, quello che crediamo di conoscere sul pittore, è in realtà poco e, quindi, la sua opera può apparirci nuova. Chagall – ha continuato Claudio Strinati – ha vissuto molti anni e la sua arte, caratterizzata dalla dimensione della comunicazione dell’infanzia, è di tempo lungo. Inoltre, deriva dalla cultura ebraica l’esaltazione fisica e la sua allegria e la sua dimensione della vita è sicuramente visibile nelle sue opere”.

La prima sezione della mostra illustra l’influsso che la tradizione figurativa delle icone, tipica della cultura ortodossa, ebbe su tutto il mondo di Chagall. L’universo ebraico e l’arte tradizionale russa costituiscono uno dei nuclei originari della poetica dell’artista. Nelle opere del periodo russo, ritroviamo la rappresentazione di quelle masse umane che popolano i funerali e le processioni di Repin e la scuola del Realismo Russo. Inoltre, il ricordo dell’artigianato russo è anche evidente nei colorati mazzi di fiori, presenti in molti quadri. Altra sorgente di ispirazione per Chagall era il mondo delle vignette popolari russe, denominate Lubok, ampiamente diffuse tra i ceti popolari durante l’Ottocento, in cui veniva rappresentato in modo realistico ma, paradossale, un mondo fatto di naimali parlanti, personaggi che volano e galli cavalcati da fieri cavalieri. Gli stessi che animano le tele di Chagall. “Un uomo di grandi radici ma, anche uomo dell’incontro”. Così Giulia Rodano, assessore alla Cultura, Spettacolo e Sport della Regione Lazio, ha descritto Chagall, “un uomo – ha proseguito l’assessore – per il quale la sofferenza era parte dell’umanita’, mentre nei quadri in cui Chagall rappresenta la vita e il futuro, sono presenti molte donne e, visto che oggi festeggiamola festa della donna, mi sembra una coincidenza interessante, che conferma il valore popolare dell’arte “.

ROMA – Cavalli volanti, angeli caduti, spose e fidanzate che volteggiano nel cielo: il circo fatato di Marc Chagall è di scena a Roma, nei grandi spazi del Vittoriano che fino al 1 luglio allestirà circa 180 opere, provenienti dalle maggiori raccolte pubbliche e private internazionali. Presentata oggi alla stampa, ‘Chagall delle Meraviglie’ è stata curata da Claudia Zevi e Meret Meyer, nipote del celebre artista russo, che hanno selezionato le numerose opere con l’intento di raccontare la ricca e complessa produzione artistica, nonché la lunga vita (morì quasi centenario nel 1985) e le molte vicende di Chagall.

Lo scopo è quello di far emergere dall’apparente leggerezza della poetica chagalliana, il legame forte con la tradizione ebraica e con le profonde radici culturali che affondavano nella sua anima russa. “La sua è l’arte della favola eterna”, ha detto il soprintendente Claudio Strinati, che appunto invita a guardare oltre le opere emblematiche, tra le più conosciute e amate da appassionati e non. Pochi artisti nel ‘900 hanno la popolarita’ di Chagall, forse proprio per il suo linguaggio vissuto e nutrito nella dimensione ancestrale dell’infanzia, così peculiare della cultura ebraica, ha proseguito Strinati. E scoprire per quale motivo la pittura di Chagall richiami ancora folle di visitatori in tutto il mondo è stato il punto di partenza anche dei curatori. “Le avanguardie del ‘900 – ha detto Claudia Zevi – hanno avuto il ruolo fondamentale di cambiare la storia dell’arte, ma col tempo si sono concluse. Invece Chagall continua ancora a parlarci”.

Alla base del suo linguaggio così visionario, popolato di simboli e rimandi, c’é un forte anelito di libertà espressiva, ha proseguito la curatrice citando lo storico dell’arte Lionello Venturi. Il quale, nei primi anni ’50, in pieno periodo informale, vedeva nell’artista russo “le forme e i colori” che “ancora daranno gioia all’umanità” quando “molto della pittura contemporanea sarà dimenticata”. Chagall, ha aggiunto Zevi, era “uomo di pensiero”, che amava riflettere (tanto da scrivere poco più che trentenne la sua biografia). Aperto al pensiero religioso, era un “intellettuale dotato di un’insopprimibile necessità di dipingere”, un processo non facile per lui intriso di cultura chassidica che non approvava la riproduzione della figura umana.

Ma Chagall era anche russo e dalla tradizione della sua terra seppe trarre l’ispirazione per quei colori potenti, per le figure sognanti che gioiose galleggiano sulle tele. Da una parte ci sono le icone, da cui deriva molto del colorismo di Chagall (che si arricchisce nelle atmosfere mediterranee della Provenza) e quel riproporre le stesse figure in una sorta di alfabeto creativo, dall’altra, e il riferimento è meno scontato, compaiono le ‘lubok’, vignette popolari vendute nei mercati, con personaggi che l’artista ha fatto suoi. Il suo straordinario senso del colore, ha detto Zevi, rivive con suggestioni del tutto diverse nelle ‘Crocifissioni’, che Chagall inizia a dipingere dopo la conclusione della guerra. Queste opere, di cui in mostra ci sono esempi bellissimi, sono il simbolo della sofferenza non solo del popolo ebraico, ha concluso la curatrice, ma dell’intera umanità e di tutte le religioni.