Le vetrate di Marc Chagall tra esegesi e visione

Arte

di Ileana Tozzi

Tra esegesi e visione: le vetrate di Marc Chagall per la Sinagoga dell’ospedale Hadassah a Gerusalemme

 

A distanza di pochi anni dalle mostre milanesi e dall’installazione di Baux, è quasi una sfida cercare di interrogare ancora un artista molto amato, ma solo apparentemente accessibile ad una comprensione quasi empatica qual è Marc Chagall, l’ebreo russo naturalizzato francese che nella sua vita lunga ed operosa ha attraversato ed influenzato sensibilmente le avanguardie del Novecento.
Eppure, enucleando dalla sua vasta produzione i risultati tecnici ed estetici toccati nell’arte della vetrata ed in particolare focalizzando l’attenzione sulle vetrate che sono parte integrante della Sinagoga dell’Hebrew Medical Center di Kiryat Hadassah nei pressi di Ein Karem a Gerusalemme, emergono ancora originali spunti di ricerca capaci di rivelare nuove prospettive nell’interpretazione del lascito ideale e morale, non semplicemente estetico, recepito e messo in pratica proprio dai medici che prestano il loro servizio presso la clinica universitaria, prima e meglio di quanto non accada agli storici ed ai critici d’arte.

Il visitatore straniero, ammesso a visitare la Sinagoga per poter ammirare le luminescenti vetrate, segue la guida di un’efficiente, brusca caposala che lo conduce lungo i padiglioni della Pediatria, forse una scorciatoia ad uso del personale: impossibile resistere alla tentazione di osservare ciò che accade al di là dalle porte che separano l’ampio corridoio dalle camerate e dagli ambulatori, dove sorprende il numero delle madri palestinesi che confortano e assistono i piccoli pazienti. Ecco la riprova che l’arte salverà il mondo!

In anni recenti, l’arte vivace, visionaria, vitalistica di Marc Chagall è stata oggetto di approfondito studio e appassionata divulgazione, affidata a mostre di successo tra cui merita di essere annoverata, nella ricorrenza del trentennale della morte, la grande esposizione “Chagall a Milano” allestita a Palazzo Reale dal 17 settembre 2014 al 1 febbraio 2015 con più di 220 opere capaci di documentare esaustivamente la lunga, feconda produzione di un artista capace di coniare una cifra distintiva senza ingessarsi in uno schema atto ad essere replicato per garantirsi un facile successo, a cui corrispose in parallelo la mostra tematica del Museo Diocesano “Chagall e la Bibbia” curata da Paolo Biscottini ed allestita dallo Studio Morpurgo de Curtis Architetti Associati mediante l’installazione di una grande arca, spazio idealizzato per l’esposizione incentrata essenzialmente su ventidue guaches preparatorie di straordinaria suggestione.
Nell’estate 2016, una vecchia cava di bauxite ormai dismessa in Provenza è stata lo scenario ideale per ospitare la mostra/spettacolo “Chagall, sogni di una notte d’estate” capace di coinvolgere intimamente lo spettatore mediante il raffinato utilizzo di tecnologie audiovisive che rendono ancor più efficace l’approccio alle diverse fasi della produzione dell’artista, dalla concezione fino alla realizzazione dell’opera d’arte.

Nell’autunno 2017 fino alla fine di gennaio 2018, la mostra prodotta da Arthemisia con Sensorial Art Experience, con la regia di Gianfranco Iannuzzi, Renato Gatto e Massimiliano Siccardi, sarà replicata a Milano presso il Museo della Permanente: proprio per l’originalità dell’approccio multisensoriale mai disgiunta dal rigore scientifico, il percorso espositivo concepito attraverso dodici macrosequenze ispirate ai dati salienti della vita e dell’opera di Chagall promette di rivelarsi uno degli appuntamenti più interessanti della stagione.

Per la sua longevità, per la squisita capacità di contaminarsi da protagonista con le avanguardie del Novecento, Marc Chagall è meritatamente uno dei più amati artisti contemporanei benché l’apparente facilità di lettura delle sue opere lo esponga a volte al rischio di sottovalutazione o, peggio, di fraintendimento: l’apparente facondia narrativa, lo spirito onirico, la suggestione luminescente del suo tratto visionario è punto d’approdo di una ricerca inesausta che merita di essere riconosciuta e compresa nelle sue implicazioni di carattere squisitamente etico.
Nato nel 1887 a Vitebsk, nell’attuale Bielorussia, da una famiglia della borghesia mercantile, primogenito di nove figli, Marc Chagall (Moishe Zacharovič Segal) fu ben presto testimone delle tensioni che agitavano l’Impero dello Zar assumendo frequentemente la comunità ebraica come comodo capro espiatorio su cui scaricarsi. Ad onta di ciò, visse un’infanzia incantata e felice che si riverbera in tanta parte della sua produzione. Avviato nella città natale all’arte della pittura presso lo studio del maestro Yehuda Pen, dal 1907 si trasferì a San Pietroburgo per frequentarvi dapprima l’Accademia Russa di Belle Arti, poi la scuola Zvantseva.
Negli anni Dieci, mentre maturavano i germi della rivoluzione, raggiunse Parigi dove si legò di amicizia con i membri della comunità di Montparnasse, primi fra tutti Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay e Fernand Léger. Rientrato in patria, nel 1915 sposò Bella Rosenfeld e un anno più tardi, nacque la primogenita Ida.
Nel 1917, aderì alla Rivoluzione tanto da essere nominato Commissario dell’Arte per la regione di Vitebsk. In questa veste fondò una scuola d’arte ed un museo d’arte moderna, ma la sua vivace concezione estetica spesso fraintesa e riduttivamente considerata ingenua ed infantile entrò presto in conflitto con il dominante suprematismo destinato ad affermarsi come arte di regime.

Trasferitosi a Mosca con la famiglia, si affermò come illustratore collaborando con il poeta David Hofstein, autore delle poesie Grief scritte in yiddish.
Dal 1923, raggiunse Parigi dove pubblicò articoli, saggi e poesie coadiuvato dalla moglie Bella per le traduzioni dall’yiddish e dal russo. Da pochi anni gli Chagall avevano ottenuto la cittadinanza francese quando l’occupazione nazista li indusse ad una fuga rocambolesca attraverso la Spagna e il Portogallo, alla volta degli Stati Uniti.
Dopo la morte della moglie (1944) e la fine della seconda guerra mondiale, superata una devastante depressione Marc Chagall rientrò in Europa stabilendosi in Provenza.
Intraprese una fruttuosa collaborazione con gli impresari teatrali per i quali curò scenografie originali e fantasmagoriche. Furono anni di intensa sperimentazione nelle tecniche di lavorazione dei materiali più disparati. Dopo una breve, intensa relazione con Virginia Haggard da cui ebbe un figlio, nel 1952 sposò Valentina Brodsky.

Agli inizi degli anni Cinquanta, compì il suo primo viaggio in Israele.
Nel 1960, quando ormai aveva maturato un profondo interesse per lo studio della Bibbia, realizzò le vetrate della sinagoga annessa all’ospedale Hadassah Ein Kerem ispirate alle dodici tribù di Israele.
Danneggiate durante la guerra dei sei giorni quando l’ospedale fu bombardato, le vetrate furono messe in sicurezza e successivamente ricollocate ordinatamente lungo le pareti della sinagoga.

Il lavoro intrapreso per la Sinagoga dell’Hadassah può a pieno titolo essere inteso come un elemento cruciale nella vitalistica elaborazione della poetica di Marc Chagall, in quanto porta efficacemente a sintesi il rapporto dialettico che si stabilisce tra l’artista già celebre ed anziano e l’Istituzione committente, manifestando appieno gli esiti raggiunti attraverso una meditazione in cui ogni facoltà ed ogni talento si sono a lungo temprati.
Il Policlinico Universitario Hadassah, intitolato alla biblica regina Ester, era stato istituito nel 1912 da Henrietta Szold e da altre quattordici donne appartenenti all’organizzazione sionista americana, inglobando gli edifici del campus costruito dal barone Rothschild nel 1888 oltre le mura della città vecchia di Gerusalemme.
Già nel 1952 Chagall si era misurato con la tecnica della vetrata lavorando per la cattedrale di Chartres. Qualche anno più tardi, nel 1958, era stato incaricato di realizzare le vetrate raffiguranti le Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento per la cattedrale di Saint Étienne a Metz.
I temi iconografici propri della decorazione delle chiese cattoliche appartenevano già da tempo al repertorio chagalliano, che fin dagli anni Trenta aveva collaborato con Rouault, Bracque, Matisse alla decorazione della chiesa di Notre-Dame de Toute Grâce du Plateau d’Assy in Savoia.

 

Le vetrate come esegesi biblica

L’ispirazione biblica, nutrita dalla tradizione chassidica della prima formazione ricevuta in famiglia, fu il filo conduttore della produzione artistica felicemente risolta da Marc Chagall per edifici di culto di fedi diverse, rivelando attraverso la luce, il segno, il gesto la reale possibilità di un dialogo interreligioso.
L’impianto regolare della sinagoga a base quadrata, eloquente richiamo all’Arca dell’Alleanza, l’interdizione verso le espressioni figurative costituivano i vincoli non semplicemente formali a cui l’artista era tenuto ad attenersi. Non fu difficile per Chagall fare ricorso all’infinito alfabeto di segni e simboli di cui era nutrito il suo immaginario, insieme al bestiario fantastico messo a punto nel corso della sua lunga e feconda vita d’artista.
Su ogni lato, in alto, si affiancano tre per tre le dodici vetrate che evocano le tribù di Israele, dense eppure trasparenti nei forti cromatismi che attraversano la gamma dal giallo squillante del mattino al rosso infuocato del tramonto fino all’azzurro delle profondità marine e al blu intenso di una notte stellata.
Ogni vetrata evoca una tribù delle tribù che il Libro della Genesi (46, 8-25) lega alla discendenza dei figli di Giacobbe, Ruben, Levi, Simeone, Giuda, Issacar e Zabulon, generati da Lia; Dan e Neftali, figli di Bila; Gad e Aser, figli di Zilpa; Giuseppe e Beniamino, figli di Rachele.
Le vetrate traslucide felicemente contrastano con la scabra pietra di Gerusalemme del pavimento e del rivestimento parietale: la sinagoga è collocata in un seminterrato, così che le vetrate all’esterno sono allineate al pianterreno del centro medico. Ogni singola vetrata culminante in un’ogiva ha le dimensioni di 338 x 251 centimetri ed è lavorata con accorgimenti tecnici particolari che conferiscono alla materia una singolare traslucidità. Il colore è infatti già campito e cotto sul vetro prima di essere scarnificato con l’acido che incide la superficie in maniera irregolare, così da garantire effetti mutevoli, di straordinaria efficacia, visibili durante il giorno all’interno della sinagoga, quando le vetrate sono colpite dai raggi del sole, percepite di notte dall’esterno, grazie alla luce artificiale delle lampade pensili.
Il ciclo narrativo si origina dalla vetrata orientale, dove si affiancano le vetrate dedicate alle tribù di Ruben Simeone e Levi: il gatto/tigre, il toro ed il cavallo sono gli animali simbolici che evocano le virtù del popolo d’Israele. Nella terza vetrata, dedicata alla tribù di Levi da cui si origina la casta sacerdotale, compaiono le Tavole della Legge e la stella di Davide, che tanta parte avrà nella storia degli Ebrei di ogni tempo.

La parete meridionale è dominata dal Leone di Giuda della vetrata dedicata a questa tribù. Seguono le figurazioni dal forte impatto cromatico della vetrata di Zabulon, stemperata nelle tonalità cristalline della vetrata di Issacar, in cui torna l’immagine simbolica di un animale, l’asino che incarna la laboriosità e la pazienza di un intero popolo.
Nella parete occidentale, là dove il sole tramonta, sono evocate le tribù di Dan, Gad ed Aser, giocando con le tonalità più dense, quasi terrene, dall’ocra alla gamma dei grigi fino alle scure profondità della notte incipiente: nella prima vetrata compare il serpente, il tentatore che si fa strumento della giustizia divina, nella terza il candelabro a sette bracci che evoca la drammatica pagina della distruzione del Tempio ad opera di Tito, impressa nella storia d’Israele.
La parete di settentrione, infine, evoca le tribù di Neftali, di Giuseppe, di Beniamino attraverso i segni e simboli suggeriti dalla benedizione di Giacobbe: «Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza! Bollente come l’acqua, tu non avrai preminenza, perché hai invaso il talamo di tuo padre e hai violato il mio giaciglio su cui eri salito.
Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di violenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l’anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore. Perché con ira hanno ucciso gli uomini e con passione hanno storpiato i tori. Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele. Giuda, te loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte. Zàbulon abiterà lungo il lido del mare e sarà l’approdo delle navi, con il fianco rivolto a Sidone. Issacar è un asino robusto, accovacciato tra un doppio recinto. Ha visto che il luogo di riposo era bello, che il paese era ameno; ha piegato il dorso a portar la soma ed è stato ridotto ai lavori forzati. Dan giudicherà il suo popolo come ogni altra tribù d’Israele. Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo e il cavaliere cade all’indietro. Io spero nella tua salvezza, Signore! Gad, assalito da un’orda, ne attacca la retroguardia. Aser, il suo pane è pingue: egli fornisce delizie da re. Nèftali è una cerva slanciata che da bei cerbiatti. Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe; germoglio di ceppo fecondo presso una fonte, i cui rami si stendono sul muro. Lo hanno esasperato e colpito, lo hanno perseguitato i tiratori di frecce. Ma è rimasto intatto il suo arco e le sue braccia si muovono veloci per le mani del Potente di Giacobbe, per il nome del Pastore, Pietra d’Israele. Per il Dio di tuo padre egli ti aiuti! e per il Dio onnipotente egli ti benedica! Con benedizioni del cielo dall’alto, benedizioni dell’abisso nel profondo, benedizioni delle mammelle e del grembo. Le benedizioni di tuo padre sono superiori alle benedizioni dei monti antichi, alle attrattive dei colli eterni. Vengano sul capo di Giuseppe e sulla testa del principe tra i suoi fratelli! Beniamino è un lupo che sbrana: al mattino divora la preda e alla sera spartisce il bottino»(Gen., 49).

Sapientemente studiati in relazione agli effetti della luce durante l’alternarsi delle ore del giorno e l’andamento delle stagioni, i colori evocano inoltre le pietre preziose che adornano il pettorale del sommo sacerdote, la corniola, il topazio, lo smeraldo, il turchese, lo zaffiro e il berillo, il giacinto, l’agata, l’ametista, il crisolito, l’onice ed il diaspro, legati d’oro e intessuti di porpora.
La sinagoga dell’ospedale Hadassah, inaugurata il 9 febbraio 1962 in occasione del cinquantenario dall’istituzione del centro, fu dotata tra il 1980 e il 1981 degli arredi lineari ed armoniosi progettati dall’israelo-americana Aviva Green.
Benché la fama di Chagall sia universalmente riconosciuta, non sono molte le guide turistiche che includono nei loro percorsi una visita sulla collina che domina la città vecchia.
Capita così che qualche viaggiatore meglio informato si isoli dal gruppo a cui appartiene, magari approfittando delle ore di libertà garantite allo shopping per tentare l’occasione di nutrirsi gli occhi, l’anima e la mente grazie alle suggestioni chagalliane, capita di ottenere ascolto da parte di una caposala che, rapida ed efficiente, accompagni il turista tra i padiglioni dell’ospedale fino alla soglia della sinagoga.
Ma lo stupore, la meraviglia, il godimento a cui ci si è preparati sono già consumati, dissolti nella consolazione stuporosa data, nel rapido attraversamento del Padiglione Mother & Child, dalla constatazione di quante siano – ad onta dei muri e della durezza dei conflitti – le madri palestinesi che assistono qui i loro bambini, curati con grande efficienza dai medici d’Israele: ecco, dunque, che la visionarietà di Chagall incoraggia ancora a confidare del Vero, nel Bello, nel Bene.