Le “molte anime” degli ebrei d’Italia

Arte

“E l’Eterno le disse: ‘Due nazioni sono nel tuo seno, e due popoli separati usciranno dalle tue viscere’.

Prove di "Un grembo, due nazioni, molte anime"È anche da questo versetto del Bereshit  che prende spunto “Un grembo, due nazioni, molte anime. Parole e musiche degli ebrei d’Italia” lo spettacolo teatrale di Miriam Camerini e Manuel Buda che chiude le iniziative milanesi per la Giornata Europea della Cultura ebraica, domenica 4 settembre.

Uno spettacolo per molti aspetti originale – per le fonti da cui trae ispirazione, che riprende e cita; per la forma in cui esse vengono rappresentate e proposte al pubblico.

Giacobbe ed Esaù, i due figli, ovvero le due nazioni, che Rebecca porta in grembo, rappresentano, nell’interpretazione midrashica del verso, Israele e Roma. La loro contrapposizione dura da sempre, fin dal grembo materno, e segna la loro vita più di ogni altra cosa. Nello spettacolo che Miriam Camerini e Manuel Buda portano in scena,  questa lotta si manifesta nel dissidio interiore che caratterizza l’ebreo italiano.

L’ebreo che col Risorgimento e l’Emancipazione ha conquistato diritti e doveri pari a quelli del resto degli italiani,  nella lettura proposta da Camerini e Buda, vive quotidianamente la divisione fra Israele e Roma.

Nel suo animo, come in una novella Rebecca, Sion e Roma – l’amore per l’uno e per l’altro – si combattono. E nessuno dei due sembra riuscire a prevalere davvero sull’altro – come vuole invece la seconda parte del versetto del Bereshit, “uno dei due popoli sarà più forte dell’altro”.
“Il turbamento di un poeta come Angiolo Orvieto, ci spiega Camerini, per molti aspetti è esemplare. A cavallo fra Otto e Novecento, Orvieto visse dentro di sé e trasferì nelle sue opere, quel costante dissidio fra la sua ‘italianità’ e la sua ‘ebraicità’. Come ebreo egli sentiva come un dovere il desiderio di Gerusalemme; allo stesso tempo però sentiva pienamente l’appartenenza e l’amore per la sua Firenze. Angiolo Orvieto, osserva ancora Camerini, è come se rimpiangesse il rimpianto: si dispiace di non provare quello struggimento per Gerusalemme che come ebreo, pensa di dover provare. E prova invidia  per quel poeta medievale, Jehudà Halevì, che pur spagnolo e pur vivendo in Spagna, riesciva ad amare e sospirare soltanto per Gerusalemme. Il cuore di Orvieto, diversamente da Halevì, è perennemente inquieto, diviso fra il dovere di amare Sion e l’amore istintivo per l’Italia, la Toscana, Firenze, la città dei natali”.

Lo stesso turbamento che assale il giovane ebreo, al fronte durante la Prima guerra mondiale: combattere, uccidere, come impone il dovere patriottico oppure osservare i precetti della religione che lo vietano? insomma, essere più italiano o più ebreo? “Erano – e continuano ad essere – interrogativi delicatissimi e difficilissimi da sciogliere. Ma fra le carte di famiglia, casualmente abbiamo trovato ‘quasi’ una risposta: la lettera di un soldato ebreo in cui supplicava Dio perché, semmai si fosse trovato a dover uccidere un nemico, e lui stesso fosse stato poi ucciso dal nemico, la sua morte venisse accolta come segno di espiazione dei peccati commessi”.

La lotta contro l’oppressione e la tirannia, d’altra parte fa parte dell’impegno morale che l’ebreo si assume in quanto ebreo prima ancora forse che come italiano. E le pagine del diario di Marcello Cantoni, ricordate lungo lo spettacolo, ne sono una testimonianza ancor oggi viva e significativa.

Mondi diversi, separati, che talvolta si incontrano, talvolta si allontanano, ma che continuano a vivere indissolubili nell’animo dell’ebreo italiano, nel quale anzi la mancanza dell’uno o dell’altro genera dispiacere. La stessa Camerini rivela di conoscere questo sentimento. Riprendendo alcune pagine del suo diario, ricorda infatti come da Gerusalemme non potesse non provare nostalgia per l’Italia, per i suoi profumi come per il suono della sua lingua.

Miriam Camerini e Manuel Buda propongono dunque uno spettacolo dalle molte sfaccettature, dai molti richiami, che si allunga e corre avanti e indietro nel tempo: parte dal Risorgimento, arriva ai giorni nostri, per poi tornare al passato più lontano dei madrigali cinquecenteschi di Salomone Rossi, e tornare poi di nuovo al Verdi del “Va’ Pensiero”.

Passato e presente si confondono negli stati d’animo. Allo stesso modo, canti, letture, spiegazioni e racconti si fondono in una miscela di stile e linguaggio originale che danno vita, secondo la definizione di Camerini e Buda, ad una “Harzagà”. “Harzagà”, ci spiega infatti Camerini, è un gioco di parole ebraiche. Mette insieme “Harzaà” – che significa “conferenza” – e “Hazagà”, che significa rappresentazione teatrale. È una definizione che abbiamo visto utilizzare in un teatro di Tel Aviv, durante un incontro sul drammaturgo Hanoch Levin. Ci è piaciuta e abbiamo pensato di adottarla per il nostro spettacolo”.
“Un grembo, due nazioni, molte anime”, infatti è proprio un amalgama di linguaggi che trovano nel tema  la loro nota comune e la possibilità del dialogo. Che poi, a ben vedere, assomiglia molto a quell’insieme di sentimenti e culture diverse, che gli ebrei italiani declinano ciascuno a proprio modo e che generano quelle “molte anime” richiamate nel titolo.

Miriam Camerini è regista e autrice; Manuel Buda è musicista e compositore. Collaborano da quasi dieci anni e insieme hanno realizzato diversi spettacoli. Fra i più recenti ricordiamo Il Processo di Shamgorod (Giornata europea della Cultura ebraica 2005 e Mittelfest 2008), e Il Golem (Giornata europea della Cultura ebraica 2008 e Festival del Teatro ebraico, Crt – Teatro dell’Arte 2009).

Un grembo, due nazioni, molte anime.
Centro Congressi Auditorium della Provincia di Milano
via Corridoni 16.
Ore 20.30, ingresso libero