Un disegno della mostra Jewish Manga

“Jewish Manga Art”, una mostra nel Ghetto di Venezia

Arte

di Nathan Greppi
Negli ultimi decenni i manga e gli anime si sono ritagliati uno spazio importante nell’immaginario popolare, crescendo intere generazioni. Il successo che riscontrano tutt’oggi nel nostro paese è tale da aver ispirato la mostra Jewish Manga Art, inaugurata a marzo nel Museo Ebraico di Venezia, aperta fino al 28 aprile 2019.

In questa mostra, che negli ultimi è già stata ospitata a Roma e a Cagliari, vengono esposti i lavori dell’artista Thomas Carlo Lay: 47 anni, nato a Cagliari da padre sardo e madre ebrea francese, ha vissuto per 10 anni a Tokyo, dove è stato l’unico allievo occidentale della mangaka (autrice di manga, ndr) Yumiko Igarashi, che dagli anni ’70 ai ’90 ha riscosso un certo successo in Italia grazie alla serie Candy Candy. Oggi Lay vive a Milano, dove lavora come illustratore e interprete di giapponese.

La mostra

In tutto sono esposte 24 tavole, prodotte tra il 2015 e il 2017, che rappresentano tematiche ebraiche narrate attraverso le tecniche di disegno tipiche dei manga: esse ritraggono per la maggior parte bambini ortodossi, e anche quando sono adulti si tratta quasi sempre di haredim. Tre di essi sono intenti a festeggiare Sukkot, mentre tra le altre spicca l’immagine di un anziano rabbino intento a leggere le preghiere. La maggior parte delle illustrazioni evocano momenti felici, ma non tutte: una, ad esempio, raffigura due fratelli deportati a Bergen-Belsen, mentre un’altra è il ritratto di Anne Frank.

Attraverso i suoi quadri, Lay è riuscito con successo a rappresentare la cultura ebraica con uno stile originale, rappresentando l’ebraismo tramite una forma d’arte, quella dei manga, che ormai ha conquistato i cuori di milioni di persone.

Thomas Carlo Lay, Brooklyn Kid

L’intervista

Lay ha concesso un’intervista a Mosaico sulla mostra e sui suoi progetti futuri.

Come nasce il tuo percorso artistico?

Io ho sempre disegnato per passione, fin da bambino, e ho fatto il liceo artistico. Ed essendo italo-francese, ho potuto frequentare l’Accademia di Belle Arti a Parigi. Nel frattempo la mia passione per i manga e gli anime, che ho sempre avuto, si era assopita. A un certo punto ho sentito il bisogno di affrontare questa questione, e mentre ero a Parigi ho iniziato a studiare il giapponese da autodidatta. Finita l’accademia sono andato a Tokyo, dove sono stato l’unico italiano, e forse l’unico occidentale, ammesso a un’accademia di manga. L’ sono riuscito ad agganciare Yumiko Igarashi, che è sempre stata il mio idolo, e a lavorare nel suo studio come assistente per 6 anni. A 30 anni sono tornato in Europa, dove da allora mi sono guadagnato da vivere lavorando come traduttore dal giapponese per varie aziende, continuando a disegnare come passatempo.

Cosa vuoi raccontare attraverso i tuoi lavori?

Nello specifico si tratta di creare un connubio tra ebraicità e arte manga. Dato che il termine “mangaka” si adatta solo ai fumettisti giapponesi, ho voluto narrare la mia cultura, quella ebraica. Fino al 2016, quando mi sono trasferito a Milano, vivevo a Londra, dove ho frequentato la comunità ebraica ortodossa, che per me è stata fonte di ispirazione. Voglio che anche le persone che non sanno niente di ebraismo se ne interessino, perché i manga sono un’arte universale e riconoscibile da chiunque. Il mio lavoro non ha un messaggio politico, né voglio fare proselitismo, ma è un impegno per contrastare pregiudizi antisemiti.

Com’è stato il primo impatto di un pubblico di ebrei con le tue opere?

Le prime tavole le ho disegnate a Londra, e il primo impatto è stato di sorpresa, ma anche di incanto. I rabbini e le loro mogli che conoscevo mi hanno detto che gli sarebbe piaciuto avere quei quadri in casa loro, il che è sorprendente dato che loro non sono cresciuti con i manga. E questo mi ha spronato a continuare.

Per concludere, dove porterai prossimamente la tua mostra?

La cosa è leggermente fuori controllo al momento, perché ho ricevuto numerose richieste, anche dall’estero. Io prima voglio finire il tour in Italia, dopo Venezia la mostra si trasferirà al Museo Ebraico di Padova, dove il rabbino l’ha chiesta con entusiasmo. Vorrei anche tornare a Roma, dove ho esposto per la prima volta i miei lavori. Purtroppo a Milano non sono ancora riuscito a esporre; l’ideale sarebbe farlo coinvolgendo sia la Scuola Ebraica sia la Scuola Giapponese, anche perché sono una di fronte all’altra.

La mostra è stata inaugurata il 20 marzo e durerà fino al 28 aprile. È aperta tutti i giorni, tranne il sabato, dalle ore 10 alle 17:30. Per maggiori informazioni visitare il sito www.museoebraico.it