Salute mentale, violenza economica e sfide invisibili: il servizio sociale che non ti aspetti

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di Dalia Fano

Dal supporto psicologico alla rete di volontariato:
come il servizio sociale della comunità ebraica sta innovando il concetto di aiuto

Il Servizio sociale non è solo assistenza di base. Non è solo aiuto per gli anziani soli, sussidi, buoni spesa, risposte d’urgenza. È un punto di riferimento per chi affronta difficoltà, un luogo dove trovare ascolto, strumenti concreti e un percorso verso l’autonomia.

 

Una donna entra nel nostro ufficio, esitante. Non ha lividi, non ha segni visibili di violenza, ha il conto in banca bloccato, nessuna possibilità di lavorare e la sensazione di essere prigioniera di una vita che non le appartiene più. La violenza economica non fa rumore, ma condiziona ogni scelta. E quando non puoi avere accesso al conto corrente, fare la spesa senza il consenso di qualcun altro, decidere in autonomia le tue spese personali, o avere un lavoro, il confine tra vita e sopravvivenza si fa sottile.

 

Nel servizio sociale della nostra comunità queste storie non sono eccezioni. Sono frequenti, silenziose, e spesso sommerse da una profonda vergogna, disistima e senso di fallimento.

 

Per questo il nostro lavoro non è solo dare aiuto, ma offrire strumenti per poter ricominciare.È accompagnare le persone a riappropriarsi della propria voce, delle proprie possibilità, del proprio futuro.

 

Violenza economica: la rana che non salta via

 

La violenza economica è una delle forme più insidiose di abuso, proprio perché è invisibile. Non ha bisogno di urla o minacce esplicite: basta togliere l’accesso al denaro, controllare ogni spesa, impedire a una persona di lavorare o di avere una propria indipendenza economica.

 

È come nella storia della rana bollente. Se metti una rana in una pentola di acqua bollente, salterà via subito. Ma se la metti in acqua tiepida e aumenti lentamente la temperatura, non si accorgerà del pericolo finché sarà troppo tardi. Così funziona la violenza economica: inizia in modo quasi impercettibile, con piccole concessioni – un conto intestato solo al partner, uno stipendio che non arriva direttamente, una gestione finanziaria delegata “per comodità”. Poi, un giorno, la temperatura si alza. E ci si ritrova senza via d’uscita.

 

Molte donne che arrivano da noi non si definirebbero “vittime”. Hanno vissuto anni senza conti in banca, senza stipendi propri, convinte che fosse normale, che fosse giusto così. Poi, quando la situazione cambia – una crisi familiare, una separazione, un improvviso squilibrio di potere – si ritrovano senza nulla.

 

Il nostro compito non è solo intervenire con aiuti immediati, ma dare strumenti concreti per uscire da questo meccanismo: counseling, supporto legale, percorsi di riavvicinamento al lavoro.

 

Salute mentale: chiedere aiuto non è un lusso

 

Un altro tema che attraversa molte storie è il disagio psicologico, ancora troppo spesso sottovalutato. “Io non ho niente di grave”, “Ci sono persone messe peggio di me”, “Non voglio disturbare” sono frasi che sentiamo di continuo, accompagnate dalla vergogna e dal senso di colpa. Come se bisognasse toccare il fondo prima di potersi permettere di chiedere aiuto. Come se il benessere mentale fosse un lusso.

Nella nostra Comunità, il servizio sociale lavora anche per questo: per spezzare il tabù del disagio mentale, per rendere normale il diritto a stare bene. Il supporto psicologico non è un’eccezione, è una parte fondamentale del percorso.

Perché quando l’ansia ti blocca, quando la depressione ti isola, quando il peso delle aspettative diventa insostenibile e il carico emotivo ti paralizza, non basta un consiglio pratico: serve uno spazio sicuro per aprirsi e rimettere insieme i pezzi.

Offriamo spazi sicuri per chi ha bisogno di essere ascoltato, senza giudizio e senza fretta. Facciamo da ponte affinché si superi il disagio e la vergogna di chiedere aiuto anche all’esterno, ai servizi preposti per il disagio psichico. La salute mentale non è un privilegio, è la base da cui ripartire.

E questo vale per tutti, anche per gli uomini, spesso schiacciati da un modello di mascolinità che non lascia spazio alla fragilità, né alla possibilità di chiedere aiuto o confronto. Un modello che impone il controllo, la pretesa di dominare, e che spesso si traduce in violenza psicologica.

Mettere in discussione queste modalità è il primo passo.

Chiedere aiuto significa cercare nuove strade per vivere relazioni più sane, basate sul rispetto reciproco.

Ci piacerebbe accogliere anche a loro, uomini che vogliono uscire da modelli rigidi, e che sentono il bisogno di esprimersi in modo diverso, di sentirsi più liberi. E anche ai ragazzi e agli uomini che si sentono fragili, giudicati o isolati perché non si riconoscono nell’idea dell’uomo forte, invulnerabile, sempre in controllo.

 

Il peso del silenzio: i figli invisibili del problema

Accanto a ogni adulto in difficoltà, spesso ci sono figli che non parlano. Crescere in una famiglia attraversata da tensioni economiche, malessere psicologico o dinamiche di violenza e controllo lascia segni profondi. I bambini assorbono tutto. Intuiscono, trattengono, si adattano. E imparano presto che alcune cose non si dicono.

 

Ragazze e ragazzi che hanno imparato che ci sono cose di cui non si parla. Ma quel silenzio li accompagna, li influenza nelle scelte, nelle relazioni, nella fiducia in sé stessi. A volte diventano adulti che faticano a riconoscere i propri disagi, che ripetono schemi appresi, Il problema è che quel silenzio non resta confinato all’infanzia. Lo portano dentro negli anni, condiziona le scelte, le relazioni, l’autostima. Alcuni diventano adulti che si sentono sbagliati, altri adulti che si sentono responsabili di tutto. Spesso ripetono ciò che hanno vissuto, senza nemmeno accorgersene.

Nel nostro lavoro, vorremmo arrivare anche a loro. Non solo per proteggerli oggi, ma per spezzare la catena domani.

Accanto al nostro lavoro sociale, c’è anche un altro spazio di supporto: quello spirituale. Collaboriamo attivamente con il Rabbinato, perché per molti la fede può essere un punto di appoggio nei momenti di crisi.

 

Dal bisogno all’autonomia: il lavoro come chiave di svolta

 

Accanto al servizio sociale, c’è JOB, uno spazio di supporto e orientamento che aiuta le persone a valorizzare il proprio percorso, a dare coerenza alle esperienze passate e ad individuare un percorso professionale. Non promettiamo contratti immediati né soluzioni magiche. Aiutiamo le persone a ricostruire o ripensare il proprio percorso, a dare forma a un curriculum che racconti chi sono, ad affrontare la ricerca di nuove opportunità con più consapevolezza del proprio valore ma anche ad individuare percorsi formativi per aggiornarsi e colmare eventuali lacune.

C’è un momento, quasi sempre, in cui qualcosa cambia. È quando si vede nero su bianco, sul proprio Curriculum, le proprie competenze. Quando ci si si rende conto che le esperienze – anche se interrotte, anche se informali, fuori dal mercato – hanno valore. E quel valore può essere tradotto, raccontato, condiviso.

Accanto a tutto questo, ci sono anche le aziende, dentro e fuori la Comunità che possono essere parte attiva collaborando con JOB nella ricerca di personale; un’opportunità per dare forma concreta al principio di responsabilità sociale e contribuire, in modo tangibile, a costruire una Comunità più coesa e inclusiva.

JOB non è un servizio assistenziale ma un’agenzia no profit specializzata, accreditata per l’intermediazione al lavoro e la formazione. Un punto d’incontro tra competenze e opportunità, tra persone in cerca di lavoro e realtà pronte ad accoglierle.

Il valore della rete: socialità, vitalità e comunità attiva

 

E poi c’è Rosy. Una volontaria instancabile, vulcanica, che ha fatto della vitalità il suo superpotere. Con un gruppo (per ora piccolo ma agguerrito) di altre volontarie, Rosy porta avanti un progetto dedicato ai “giovani anziani”.

Cinema all’Anteo, ginnastica, pittura, teatro attivo, burraco: ogni attività è un’occasione per uscire di casa, stare insieme, ridere, condividere, imparare. e nel contempo con delicatezza essere vicini, seguire, intercettare potenziali disagi.

“Non basta invecchiare bene, bisogna vivere bene”, dice Rosy

 

Tutto questo ha bisogno di tempo, di energia, di persone. E anche di risorse.

 

Come puoi aiutarci?

 

  • Con una donazione, per sostenere progetti ambiziosi come quello dell’housing sociale, pensato per offrire una soluzione abitativa dignitosa e sostenibile a persone in difficoltà temporanea, all’interno di un contesto accogliente e di comunità.
  • Con il volontariato, mettendo a disposizione tempo e idee.
  • Se sei un’azienda, utilizzando JOB nella ricerca di personale
  • Unendoti a Rosy e al suo gruppo di volontarie nell’organizzazione del progettoattivi da casadedicato ai “giovani anziani”, portando energia, tempo e nuove proposte per rafforzare i legami e contrastare l’isolamento.

L’aiuto reciproco, il fare rete, l’accoglienza delle fragilità, l’ascolto ma anche la valorizzazione delle risorse e del potenziale: sono questi i valori che fanno e tengono unita la nostra Comunità.

Senza dimenticare una parte importante del nostro lavoro, quella dedicata agli anziani, che accompagniamo ogni giorno con servizi, ascolto e presenza, anche grazie al contributo della Claims Conference. È un impegno concreto che onora la memoria, protegge la dignità e rafforza il senso di appartenenza.

Ma perché questi valori siano davvero efficaci, servono azioni e presenza.
Ognuno può fare la sua parte. Insieme possiamo continuare a prenderci cura, davvero, della nostra Comunità.

In fondo, essere Comunità non è proprio questo?

Contattaci:

Mail: servizio.sociale@com-ebraicamilano.it

Tel: 02-483110 229/261/249

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Causale: donazione servizi sociali –erogazione liberale