di Anna Balestrieri
A oltre un anno e mezzo dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, la situazione umanitaria e politica resta drammatica. Secondo le autorità israeliane, dei circa 250 ostaggi rapiti da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023, 59 risultano ancora nelle mani dell’organizzazione. Secondo le autorità israeliane, dei 59 ostaggi ancora detenuti da Hamas, 24 si presume siano vivi, anche se alcuni potrebbero essere deceduti di recente o essere stati uccisi. Le trattative per la loro liberazione sono in stallo, con Hamas che rifiuta offerte di cessate il fuoco parziali, insistendo su un accordo globale che includa la fine della guerra e il rilascio di prigionieri palestinesi.
L’ostracismo di Hamas e le dichiarazioni di Abbas
Hamas continua a opporsi a ogni proposta che non preveda un cessate il fuoco permanente, rifiutando ogni accordo temporaneo che non includa una conclusione definitiva della guerra. Dall’inizio del conflitto, Israele ha proseguito con operazioni militari su vasta scala nella Striscia di Gaza, avendo come obiettivo l’eliminazione della struttura militare di Hamas.
In questo contesto già teso, le dichiarazioni del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, hanno fatto scalpore. In un discorso pronunciato il 23 aprile davanti al Consiglio centrale dell’OLP a Ramallah, Abbas ha definito i combattenti di Hamas «figli di cani» e ha affermato che il gruppo ha dato a Israele «tutti i pretesti» per condurre la guerra a Gaza. Abbas ha chiesto la restituzione degli ostaggi e il disarmo delle milizie, aggiungendo che «l’unico esercito legittimo» è quello della leadership riconosciuta dell’ANP. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese ha rincarato la dose sostenendo che Hamas abbia dato ad Israele “pretesti” per “distruggere Gaza”.
Queste parole hanno suscitato indignazione tra i sostenitori di Hamas e anche tra parte dell’opinione pubblica palestinese, alimentando ulteriormente la frattura interna tra le diverse anime del movimento nazionale palestinese. I commenti di Abbas giungono in un momento in cui l’Autorità Palestinese è sotto pressione per riformarsi e designare una nuova leadership. Il presidente ottantasettenne, al potere dal 2005, ha recentemente promesso un governo tecnico «in grado di unificare le istituzioni dell’ANP in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est».
I conflitti interni in Israele
Secondo il forum che rappresenta le famiglie degli ostaggi, almeno 24 persone tra i sequestrati sono ancora vive, informazione basata su video, registrazioni e testimonianze degli ostaggi liberati. Molti tra loro necessitano urgentemente di cure mediche e sono in gravi condizioni di salute, stando a quanto riportato dai familiari e dai medici coinvolti nel monitoraggio del caso.
Le trattative per una nuova tregua, che potrebbero includere uno scambio di prigionieri e la liberazione di alcuni ostaggi, proseguono senza risultati concreti. Hamas ha respinto più volte le proposte israeliane, insistendo su condizioni che includano un cessate il fuoco totale. Israele, dal canto suo, appare diviso tra la volontà dell’esecutivo di continuare l’offensiva militare e le pressioni interne crescenti per riportare a casa gli ostaggi.
Nel paese, infatti, le proteste si moltiplicano. I familiari degli ostaggi chiedono con forza al governo Netanyahu di dare priorità assoluta al ritorno dei loro cari. Accusano l’esecutivo di anteporre considerazioni strategiche e politiche alla vita umana.
Il destino degli ostaggi continua così a rappresentare un nodo centrale e irrisolto nel conflitto.
La crisi umanitaria a Gaza
Nel frattempo, il bilancio umano della guerra continua ad aggravarsi. La crisi umanitaria nella Striscia di Gaza è aggravata dall’assenza di una tregua, mentre gli aiuti internazionali non riescono a raggiungere in modo costante la popolazione civile. Nonostante la pressione crescente di Stati Uniti, Egitto e Qatar, le trattative per un accordo sembrano bloccate. Hamas insiste per una fine totale delle ostilità e il ritiro delle truppe israeliane, mentre Israele continua a porre come condizione imprescindibile il rilascio di tutti gli ostaggi e la distruzione delle capacità operative dell’organizzazione. In un contesto segnato dalla sofferenza civile e dal crollo della fiducia tra le parti, il futuro di Gaza e dell’intera regione appare sempre più incerto.