di Michael Soncin
«In questo momento stiamo vivendo tempi difficili, per noi in Israele e per voi qui», ha detto oggi 21 gennaio 2025 il nuovo ambasciatore di Israele in Italia Jonathan Peled, insediatosi a settembre 2024, durante un incontro presso la Comunità Ebraica di Milano.
Ad accoglierlo nella Sala Segre della Comunità il presidente Walker Meghnagi, il rabbino capo Rav Alfonso Arbib, il segretario generale Alfonso Sassun, Ilan Boni, vicepresidente della Comunità e Milo Hasbani, vicepresidente UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), oltre che tutti i consiglieri. All’incontro ha partecipato anche Monsignor Pierfrancesco Fumagalli, vicedirettore della Biblioteca Ambrosiana. Presenti anche i responsabili di tutte le organizzazioni ebraiche milanesi.
«L’ambasciatore Peled ha un curriculum fantastico, una preparazione eccezionale, siamo veramente molto contenti e onorati», ha affermato Meghnagi. «Per venire in Italia ha rifiutato un posto a Budapest», ha aggiunto Hasbani.
Peled, già all’inizio dell’incontro, oltre a scusarsi per il suo italiano che sta ancora studiando, ha promesso di tornare a Milano a visitare la comunità. «Questa è la mia quarta volta in veste di ambasciatore. Dopo Australia, Messico ed El Salvador, ho voluto scegliere l’Italia. Oggi c’è bisogno di una voce più forte presente come ambasciatore nella stampa pubblica e italiana e non si può fare se non in italiano».
«Dobbiamo trovare delle soluzioni attraverso la diplomazia»
Parlando dell’attuale situazione in Israele, l’ambasciatore ha dichiarato: «Davanti a noi c’è un’opportunità. Gli ostaggi stanno ritornando. Non possiamo però dire di essere felici, perché questo è un processo doloroso e difficile. Non sappiamo nemmeno settimana prossima chi ritornerà vivo e chi no. È terribile, quando ad esempio vediamo celebrare Hamas e i palestinesi. È lì che vediamo la differenza tra noi, stato democratico, e – mi scuso per il termine – i vicini barbari. Detto ciò, dobbiamo trovare una soluzione con la politica e la diplomazia, perché non voglio e non vorrei che i nostri figli debbano andare all’esercito».
Durante il suo intervento non si è dimenticato di parlare dell’Iran, una nazione che sarà migliore una volta che cesserà il regime degli Ayatollah, perché: «Il popolo persiano è migliore, iraniani e israeliani possono vivere assieme».
«Per me è veramente un onore essere qui oggi, vedere una comunità viva, con una scuola bellissima e tanti amici. Vorrei sapere da voi quali sono i vostri problemi e come possiamo lavorare assieme. Non mi aspettavo un’accoglienza del genere. Sono qui al vostro servizio e spero che possiamo trascorrere dei bellissimi momenti assieme», ha detto Peled quasi al termine del suo intervento.
«I nostri ragazzi stanno vivendo un senso di smarrimento»
A raccontare di come stanno vivendo gli studenti ebrei a Milano è stato Marco Camerini, preside della Scuola Ebraica della CEM. L’istituto conta 500 alunni iscritti, di tutti i gradi, con alunni di 1 anno al nido, fino a quelli di 18 anni che al termine della maturità, in molti, fanno la domanda di iscrizione per andare a studiare nella università israeliane.
«Abbiamo diversi studenti che hanno fatto l’Aliyah o il volontariato nell’esercito. Cerchiamo di creare un legame con Israele, sotto differenti punti di vista. Quello della lingua ebraica per noi è una sfida». Camerini ha infatti spiegato che ci sarebbe bisogno di un supporto per avere più insegnati di ebraico, ma visto il costo non è cosa facile.
Inoltre, ha aggiunto che vista la situazione difficile che sta attraversando Israele, dopo il pogrom del 7 ottobre 2023, anche per motivi assicurativi, sono stati sospesi diversi viaggi scolastici. «Cerchiamo di formare i nostri studenti sulla lingua, la cultura e la storia di Israele. Abbiamo da poco inserito una materia specifica sul sionismo, poiché proprio in questo periodo è importante lavorare aula storia, anche per renderli in grado di filtrare le informazioni che ricevono. Noi non diamo una visione politica, ma storica dei fatti».
Un messaggio importante con il quale il preside ha reso partecipe l’ambasciatore riguarda il difficile momento che gli studenti ebrei italiani stanno vivendo: «Alcuni sentono quasi un distacco, si sentono isolati. La gente crede ad un certo tipo di narrazioni e questo crea separazioni, e stati d’ansia. Alcuni di loro hanno delle famiglie che vivono in Israele».
Il suo ruolo di Israele in Italia
Peled ha espresso la volontà di una partecipazione attiva nel suo compito di ambasciatore. Una presenza che intende essere attiva nella pubblica opinione, sui media, nei social e nel mondo accademico. Una copertura quindi a 360 gradi che intende fare in italiano, perché solo così potrà essere efficace. «Non posso promettere di riuscirci ma di provarci, sì. Parlando in italiano. È importante farlo, senza qualcuno che ti traduca», ha detto rispondendo alla domanda di Massimiliano Tedeschi, su come fosse intenzionato a procedere nel suo ruolo in Italia e sul ruolo della comunicazione, fronte su cui purtroppo Israele deve fare ancora molto. Un compito non facile e importante: «Per farcela abbiamo bisogno di voi, da soli non possiamo farcela».
Alla fine dell’incontro con le autorità comunitarie, l’ambasciatore ha potuto visitare la scuola ebraica e salutare alcune classi.