Ieri come oggi, il Keren Hayesod a fianco di Israele per (ri)costruirsi e pensare al domani

di Ilaria Myr
Libertà e speranza: sono queste le due parole chiave intorno alle quali è stata ideata l’annuale serata di gala del Keren Hayesod, tenutasi il 10 marzo alle Officine del Volo a Milano. Più di 270 persone hanno riempito questa bella location il 10 marzo per stringersi intorno allo storico ente che da 105 anni aiuta il popolo ebraico e lo Stato di Israele. Ed è proprio il legame storico fra passato e presente ad avere fatto da collante alla serata: oggi come ieri, infatti, dopo i massacri del 7 ottobre e il trauma che ne è conseguito, lo Stato di Israele si trova a dovere battersi per affermare la libertà, alimentando allo stesso tempo la speranza per il futuro.

A mostrare chiaramente questo filo fra il passato e il presente è stato un lungometraggio del 1924 girato da Jaacov Ben-Dov trovato dallo shaliach del Keren Hayesod in Italia Eyal Avneri nell’archivio della Fondazione Spielberg, di cui sono stati proiettati brevi parti durante la cena (curata dal catering Choc&Chic).

 

 

«Questo video muto e in bianco e nero è uno dei primi a essere stati girati nella Terra di Israele e il primo del Keren Hayesod- ha spiegato con orgoglio Avneri -, e racconta attraverso le immagini l’arrivo della terza Aliyà, la più importante, e il lavoro dei chaluzim (pionieri) nella costruzione di quello che sarebbe poi diventato lo Stato. Ecco, oggi come ieri ci troviamo a dovere ricostruire di nuovo, a rifondare la nostra resilienza».

Negli splendidi spezzoni del video si vedono uomini e donne vestiti all’europea camminare nelle strade polverose, con sullo sfondo cammelli e guardie arabe, pionieri costruire case nelle città che stanno nascendo, e addirittura la posa delle prime pietre dell’Università di Gerusalemme. II film Ii ritrae mentre creano insediamenti, pavimentano strade, costruiscono infrastrutture essenziali per l’acqua e l’elettricità, restaurano interi quartieri e realizzano l’Ospedale Hadassah. II lavoro era estenuante, ma il loro spirito rimaneva saldo: ogni sforzo era un passo avanti verso la realizzazione del sogno di uno Stato ebraico dopo secoli di diaspora. II Keren Hayesod fu sempre al loro fianco, fornendo i fondi necessari affinché tutto ciò diventasse realtà. Inoltre, già allora si impegnava a preservare la memoria di queste imprese, utilizzando ogni mezzo disponibile per documentare il lavoro dei pionieri.

Dopo un saluto di Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano (e past president del KH), che ha invitato a sostenere Israele in questo momento difficile, ha preso la parola Victor Massiah, presidente Keren Hayesod Italia. «Le parole chiave di questa serata sono speranza e libertà, ma oggi ancora non sono liberi tutti gli ostaggi, e per questo dobbiamo tutti fare in modo che tornino – ha dichiarato -. La filosofia di vita di Israele deve trionfare su quella di morte di Hamas e dei terroristi. Ma per avere la libertà bisogna avere i mezzi, ed è per questo che il sostegno di tutti è fondamentale».

 

Forte anche l’appello del ceo del Keren Hayesod Sam Grundwerg. «Nella Meghillat Ester, che ci accingiamo a leggere a Purim, c’è un dialogo molto importante fra Mordechai e Ester, in cui lo zio le dice che la salvezza del popolo dipende da lei, che deve scegliere se andare a parlare al Re Assuero suo marito. Ecco, ognuno di noi ha nella sua vita un “momento Ester”, in cui si deve decidere di fare qualcosa di determinante e importante».

I dati parlano da soli. Grazie all’aiuto di tutti i donatori, nel 2024 sono stati raggiunti importanti risultati che hanno potuto aiutare su molti fronti: dal sostegno di emergenza di guerra (54,9 milioni di dollari) alla ricostruzione della Comunità, con oltre 6200 residenti al confine con Gaza sostenuti; dal supporto ai vulnerabili (più di 15.000 famiglie sostenute) all’aliyah e integrazione, con 32.281 nuovi immigrati accolti nel 2024.

 

I dati relativi alle donazioni al Keren Hayesod nel 2024

 

Molti i progetti attivi del KH in cui vengono impiegati i fondi raccolti: quelli a cui andranno le donazioni raccolte durante la serata di gala sono il progetto Shavim, che aiuta i riservisti, a rischio di PTSD (Disturbo da Stress Post-Traumatico), a tornare alla vita civile, e quello dedicato alla trasformazione di un ex asilo ad Ashdod in un centro per le famiglie in lutto e le vittime del terrore.

La testimonianza di un “Ghibor Israel”

Da sinistra Maurizio Molinari e Barak Deri
Da sinistra Maurizio Molinari e Barak Deri

Proprio sul trauma causato dalla guerra si è concentrata la toccante testimonianza del riservista dell’esercito Barak Deri, intervistato dal giornalista Maurizio Molinari, che l’ha pr4esentato proprio come un “eroe di Israele” (Ghibor Israel).

Barak, direttore di una society operante nel settore dell’Intelligenza Artificiale, in qualità di Riservista delle forze speciali, il 7 ottobre e stato prontamente richiamato dall’IDF, costringendolo ad abbandonare immediatamente il suo lavoro e la sua famiglia — composta dalla moglie e da un bambino di 2 anni — per rispondere all’emergenza e prestare servizio.

«Ero a casa mia a Tel Aviv come ogni sabato, quando ho ricevuto un video da Sderot e dei messaggi da tre dei miei fratelli che si trovavano al Nova Festival – ha spiegato –. Arrivato all’unità, ci siamo diretti verso il festival dov’era il mio fratello minore, ma ci hanno poi mandati a Beeri. Lì abbiamo visto l’orrore: case distrutte, corpi ovunque, famiglie distrutte. Una brutalità terribile, non solo di Hamas ma anche dei civili. Le forze della Nukhba principalmente hanno sparato e preso ostaggi, mentre le decapitazioni e le uccisioni con il coltello sono state commesse dai civili, che in molti casi hanno preso dei pezzi di corpi con sé».

Nella sua dolorosa testimonianza, Deri ha rievocato la notte di combattimenti nel kibbutz, la paura, l’orrore di quei momenti e il momento di sollievo arrivato dopo una lunga giornata di feroci combattimenti, quando ha ricevuto la notizia che suo fratello era stato salvato e ora si trovava in ospedale.

Il riservista Barak Deri

 

 

 

Poi, con l’inizio dell’operazione di terra, l’invio a Gaza, dove partecipa a missioni cruciali per il conflitto e per Ia liberazione degli ostaggi.

«In tutte le case di Gaza ho trovato molti libri con contenuti antisemiti e antiisraeliani, così come testi su come uccidere o di supporto a Hamas», ha raccontato.

Nel dicembre 2023, dopo un’intensa battaglia contro i terroristi di Hamas, Barak viene ferito molto gravemente. «Ero in una casa, sono stato attaccato e mi sono ritrovato lì con le gambe rotte e ferite all’addome, ero sicuro che sarei morto. Ma avevo paura che i terroristi che erano lì intorno mi prendessero, per questo ho pensato a suicidarmi, ma non avevo la forza per prendere l’arma e spararmi. Poi i compagni dell’unità sono venuti a salvarmi e mi hanno portato sull’elicottero: eravamo sei feriti ed ero così grave che i medici hanno deciso di dare le cure a chi aveva più possibilità di sopravvivere. Mi sono risvegliato dopo una settimana in un letto dell’ospedale Soroka».
Grazie alle tempestive cure ricevute successivamente in ospedale, Barak è riuscito a sopravvivere. Dopo nove mesi di intensa riabilitazione, il suo spirito indomito e la sua forza sono rimasti intatti.

Riprendere a vivere però non è stato affatto semplice. «Da lì è iniziato il periodo più traumatico della mia vita. Mio figlio, dopo due settimane, non mi ha riconosciuto, il dolore ti cambia l’espressione del viso», ed essere un padre disabile è terribile: «non puoi prenderlo in braccio quando te lo chiede».

Da allora Deri vive sulla propria pelle il Disturbo da stress post-traumatico, «un assassino silenzioso, che crea il buio dentro di te».

Per fortuna in Israele cresce l’attenzione a questa tematica (purtroppo sempre più diffusa a causa della guerra) e grazie a realtà come il Keren Hayesod si può essere presi in cura anche nelle primissime settimane, cruciali per la guarigione.

In quest’anno Barak ha più volte raccontato la propria storia, per creare consapevolezza su questa guerra «che non è solo una guerra di Israele, politica, ma è soprattutto in difesa dei diritti occidentali, fra una parte che ama la vita e una che ama la morte».
Testimoniare però non è sempre semplice, soprattutto quando ci si trova in un contesto non accogliente, come gli è successo alla BBC. «Era il 7 ottobre del 2024, avevo subito 27 operazioni chirurgiche e per riprendermi ero andato nel Regno Unito. E lì, intervistato dalla BBC, ho subito un’intervista ostile, tanto che ho dovuto ricordare al giornalista che ero cresciuto con l’esempio di Winston Churchill che, a chi diceva che si poteva trovare un accordo con Hitler, aveva risposto che “si doveva combattere il diavolo”. Purtroppo, spesso mi sento solo in questo sforzo di fare capire il quadro più ampio».

La dolorosa ed emozionante storia di Barak non celebra solo la sua incredibile forza personale, ma rende omaggio anche ai soldati che si sono sacrificati per Ia causa. Ed è per la sua forza e coraggio che la platea si è alzata in piedi ad applaudirlo, commossa e grata.

Per finire, non potevano mancare la musica, eseguita dalla Noya Band, e i balli, per onorare la vita e il popolo di Israele.


(Foto: Luca Sonnino Photographer)