Guerra e pace: il confronto delle idee e delle posizioni

di Redazione

Un gruppo di giovani ebrei italiani, con l’hashtag #NotInOurNames ha pubblicato, il 14 maggio, un messaggio sui social network che per la tempistica (Israele è da giorni sotto una pioggia di missili da Gaza, che hanno ucciso 11 israeliani tra cui un bambino di 6 anni)  e per i contenuti (una equidistanza tra il premier Netanyahu e l’organizzazione terroristica Hamas) ha suscitato inevitabili polemiche e distinguo, nel variegato e pluralistico mondo delle comunità ebraiche.

Criticano le manifestazioni delle comunità ebraiche, ma non quelle dove si bruciano le bandiere di Israele e si grida “Palestina libera dal mare al Giordano”. Condannano PRIMA i bombardamenti israeliani e POI il lancio di missili “indiscriminato” di Hamas, che nella sequenza degli eventi è invece precedente. Criticano la stampa ebraica e non quella che difende sempre e acriticamente i palestinesi e giustifica il terrorismo più atroce. Citano la “dinamica oppressi/oppressori” e la “violenza strutturale che il popolo palestinese subisce” come fosse una verità fattuale. Negano che l’antisionismo sia quasi sempre una forma di antisemitismo, cioè la volontà di escludere il diritto all’autodeterminazione del SOLO popolo ebraico.

Il Presidente Milo Hasbani e i consiglieri di Milano Ebraica
appoggiano e condividono le parole della Presidente Ucei Noemi Di Segni

Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, ha scritto: “Mi sono distaccata dagli schermi della tv israeliana e dalla radio che seguo continuamente per capire ora per ora l’evolversi della situazione in Israele, riascoltando le medesime notizie cento volte e nel costante contatto con i figli e famiglia alle prese con le diverse emergenze che le ore che passano dettano. Che Hamas detta di fatto in questi giorni a loro e a tutti i cittadini israeliani – quando alzarsi, quando coricarsi, quando lavarsi, quando mangiare, quando lavorare, come salvarsi, dove pregare, dove non pregare, come appropriarsi della mia Gerusalemme.
In parallelo ai fiumi di odio assistiamo anche scie di bene e solidarietà che si risveglia e conferma per cosa si sta agendo e come si vive nonostante tutto.
Alzo gli occhi e leggo quanto pubblicato qui in Italia, sui nostri social, sui giornali, sulle chat pubbliche da un gruppo di nostri ragazzi che si è definito “not in our names” con una lettera che sintetizzerei di denuncia e di critica ad Israele. Leggo anche quanto diffusamente pubblicato da una moltitudine di persone che hanno loro rivolto diverse risposte e reazioni. Reazioni violente e minacciose ricevute anche personalmente senza essere pubblicate di cui sono stata resa edotta.
E siamo alla vigilia di Shavuot e anche il significato di questa festa impone riflessione su quanto accade attorno a noi. In Israele e dentro le nostre comunità.
Penso che dobbiamo seriamente capire quale sia il significato del nostro essere Comunità ebraiche – al nostro interno e verso l’esterno.

Verso l’esterno – non condivido neanche una riga di quanto da loro scritto. Non condivido il modo in cui hanno reso pubbliche le loro opinioni. Sono preoccupatissima per l’abuso delle loro esternazioni raccolte come assist alla causa del terrorismo palestinese.
Il nostro impegno, come istituzioni e come singoli ebrei, o come gruppi di ragazzi, proprio per la conoscenza che abbiamo di Israele, proprio perché la vogliamo difendere e salvaguardare, deve essere quello di riuscire a comunicare il patrimonio di valori che rappresenta. Difendere le ragioni per l’esistenza di Israele e il suo diritto di difendersi. Fare comprendere la strumentalizzazione e il vittimismo che usano le autorità palestinesi, essere di supporto informativo anche di raccordo con l’ambasciata di Israele.
Se il 99% della stampa e dell’opinione pubblica italiana e mondiale è intriso di distorsioni, odio, pregiudizio, che si riverberano poi sulle nostre Comunità, con un crescente antisemitismo, non possiamo aggiungere il nostro contributo ad una feroce critica. Non in questo momento di emergenza, non ora che Israele ha bisogno delle voci anche nostre. Per spiegare, comunicare, aggiungere informazioni, rafforzare il profondo credere nell’esistenza di Israele. E se non noi chi? E se non ora quando?
Ora la popolazione subisce migliaia di razzi, ora bruciano le sinagoghe, ora gli ebrei hanno timore di girare liberamente nel loro Paese, ora ci sono i linciaggi di famiglie e bruciano le case, ora i bambini sono chiusi nelle stanze blindate, ora le mamme partoriscono i neonati nel timore di metterli nelle culle preparate nelle loro case.

Le critiche allo Stato o al governo israeliano rappresentante da israeliani e nel contesto israeliano certamente esistono, devono esistere e fanno parte della dialettica di un Paese unico al mondo – ma sono comunicate in un contesto ben preciso che anche al proprio interno ha una sfida di confronto ma dove il denominatore comune è quello dell’amore per il proprio paese e volerci vivere e non morire.
Comunicare le medesime critiche verso l’esterno, oggi, in queste ore, in italiano agli italiani è cosa ben diversa. Il nostro ruolo è mediare e capire non condannare criticando a distanza. Qui nessuno ascolta il battito del cuore che ama Israele e delle critiche ragionate affinché sia un Paese ancora migliore. Nessuno ascolta l’impegno della popolazione civile affinché si possa vivere assieme nel quotidiano tra ebrei e arabi nelle stesse città (anche tra ebrei di diverse opinioni e approccio alla religione). Qui nessuno comprende la differenza tra Hamas e lo stato di Israele, nessuno comprende la complessità della dialettica (un eufemismo) tra le stesse organizzazioni e leadership palestinese, nessuno conosce l’impegno di Israele che in mille modi esprime accoglienza e convivenza. Qui c’è solo un’eco che torna – Israele va condannata e i palestinesi sono le vittime. Lo vediamo nelle manifestazioni numeroso che si sono tenute in queste ultime giornate.

Verso l’interno – un gruppo di ragazzi hanno espresso un loro pensiero. Può non piacere, può essere amaramente diversa da quella nostra, può fare arrabbiare, può avvilire, ma è la loro opinione e lo spazio per esprimerla non può essere negato. Si può scegliere di rispondere, di spiegare le altre ragioni, si può scegliere di ignorare, ma non si può minacciare, giudicare, umiliare, detestare, allontanare. Non si può come singoli, non si può come gruppi di giovani ebrei, non si può come comunità. Non si può. Anche da questa violenza verbale prendo le distanze.
Se al nostro interno non possiamo esprimerci e confrontarci come facciamo a chiedere agli altri di ammirare Israele che al proprio interno presenta una moltitudine di voci? Come facciamo a citare il Talmud come testo che esprime un concetto di confronto tra opinioni diverse? La diversità di opinioni deve diventare occasione di spiegazione e confronto, non di divisione e scontro interno.
Stiamo per celebrare Shavuot dopo aver fatto un conteggio di 49 giorni, ora contiamo giorni e ore alla fine del conflitto e ben sappiamo che da lì in poi nulla torna come prima e dovremo avere la forza e il coraggio del confronto. Adesso è ora di unirsi con Israele, in preghiera e in supporto per chi è ferito e chi è sfinito dalla centesima giornata di razzi come gli abitanti della fascia vicina a Gaza, o dalla prima che vive in vita sua, come nel caso dei miei figli a Tel Aviv, di solidarietà ai soldati che operano con scrupolo, di impegno affinché le città Israeliane e la mia Gerusalemme siano luoghi sicuri e di libertà di preghiera e incontri di giovani e famiglie in questa festa di Shavuot, così attesa da 49 giorni”.

 

La nota di alcuni Consiglieri milanesi

Anche il gruppo dei consiglieri milanesi della lista Wellcommunity (Andrea Alcalay, Luciano Bassani, Raffaele Besso, Dalia Gubbay, Davide Levy, Sara Modena, Davide Romano, Monique Sasson e Serena Vaturi) è intervenuto con una lettera aperta: “I ragazzi del #NOTINOURNAMES hanno paragonato il governo israeliano a Hamas mettendoli sullo stesso piano, come facevano negli anni ’70 quelli che davanti al terrorismo rosso dicevano ‘né con lo Stato né con le BR’. Purtroppo la storia si ripete. Non contenti, costoro hanno attaccato anche le Comunità Ebraiche per avere preso posizione a favore della democrazia israeliana contro un’organizzazione come Hamas, riconosciuta terrorista dall’UE e dagli USA e che ha nel proprio statuto la cancellazione di Israele. Per fortuna non viviamo sotto il regime di Hamas, e dunque c’è libertà di espressione, anche per i ragazzi di #NOTINOURNAMES. Ciò premesso vogliamo dire con chiarezza che l’Unione Giovane Ebrei d’Italia (democraticamente eletta) ha preso la distanza da quelle parole. E così facciamo noi consiglieri della Comunità Ebraica di Milano, altrettanto democraticamente eletti. Se questi ragazzi non condividono le scelte delle Comunità, possono benissimo candidarsi alle prossime elezioni per portare avanti le loro idee antisioniste. Oggi, con i razzi che cadono sulle teste dei nostri fratelli in Israele, con i corpi ancora caldi delle vittime di Hamas in Israele e a Gaza, con le comunità ebraiche europee allertate per il pericolo di atti antisemiti (come sempre accade quando in Medio Oriente la situazione si scalda), ci sentiamo di condannare nella maniera più ferma tale manifesto, che non solo mette sullo stesso piano democrazia e terrorismo, ma offre una sponda a chi dell’antisionismo venato di antisemitismo ha fatto una scelta di vita”.

 

La voce dell’Hashomer Hatzair, movimento giovanile ebraico

Anche i ragazzi dell’HH, di Milano e Roma sono intervenuti per commentare la guerra in corso e le polemiche che ne sono scaturite.

Nell’ultima settimana siamo stati testimoni di episodi di violenza nati da un conflitto, che già da molto tempo imperversa, e che noi ragazzi*e dell’Hashomer Hatzair abbiamo potuto conoscere e discutere a lungo e per questo siamo molto preoccupati*e. 

È proprio facendo parte di questo movimento che abbiamo imparato come in ogni situazione sia importante avvalersi dello spirito critico, ed infatti anche in questo caso, riconoscendo la difficoltà nel trovare informazioni del tutto oggettive e imparziali, abbiamo cercato di informarci, di ricostruire la verità dei fatti e continueremo a farlo. 

Gli avvenimenti delle ultime settimane hanno decisamente rallentato il processo di pace, che per noi sarà sempre l’obiettivo più importante da raggiungere.

In quanto movimento sionista, crediamo fortemente nell’esistenza dello stato di Israele  in pace e sicurezza e nell’autodeterminazione del popolo palestinese e siamo vicini a tutti i civili, israeliani e palestinesi, che stanno vivendo momenti di così alta difficoltà. 

Ci impegniamo a contribuire al processo di pace, informando e discutendo, affinché si possano presto conoscere tempi di amore e di dialogo. 

Ci teniamo infine a ribadire che, in quanto appartenenti al movimento Hashomer Hatzair, siamo e sempre saremo per la pace e per la convivenza dei popoli condannando con forza ogni atto di violenza e di terrorismo.

Ken Holit Milano

“L’Hashomer Hatzair è un movimento sionista dalla sua nascita. La complicata situazione degli ultimi giorni ha suscitato in noi molte emozioni. Il nostro supporto va ai nostri fratelli, sorelle, genitori, amici, membri dell’esercito, nonché a tutto lo Stato di Israele che vive sotto i missili dei terroristi. Lo Stato d’Israele, in quanto Stato riconosciuto dal 1948, ha il diritto di difendersi e di difendere i propri cittadini da attacchi terroristici. Inoltre, esprimiamo la più profonda solidarietà a tutti i civili, sia israeliani che palestinesi, che in questi giorni non possono vivere la loro quotidianità, poiché alterata. Condanniamo qualsiasi tipo di estremismo e supportiamo il diritto di autodeterminazione di ciascun popolo, augurandoci che la pace venga raggiunta presto.

Ci teniamo a sottolineare che i canali ufficiali del nostro movimento sono l’unica espressione delle nostre idee e della nostra ideologia: tutto ciò che non proviene da questi non esprime il nostro pensiero. Ci dissociamo, quindi, dal pensiero esposto dal gruppo #NotInOurNames.
Ad ogni modo, non giustifichiamo la violenza verbale e la mancanza di rispetto. Affermiamo l’importanza della libertà di espressione, alla base del nostro movimento. Nel contesto di una situazione geopolitica estremamente complessa, invitiamo bogrim*ot, ex bogrim*ot e chanichim*ot ad informarsi in maniera cosciente, ad usufruire di fonti certe e ad analizzare criticamente ogni fonte di informazione”.

Chazak Ve’Emaz,
Ken Yad Mordechai Roma