Un fantasma si aggira per la pianura Padana…

Giovani

di Carlotta Jarach

Screen Shot 2014-11-03 at 09.29.10Un cimitero ebraico abbandonato nella campagna mantovana. L’erba alta, una lapide rubata e un fantasma in cilindro e frac che fugge a cavallo di una motocicletta: queste le prime immagini di Felice nel box, il mediometraggio firmato dalla giovane regista milanese Ghila Valabrega. Correva l’anno 1972 quando Stefano Valabrega, nei pressi della cittadina di Sabbioneta, decide di rubare, da un cimitero ebraico, la lapide di Felice Leon Foà, ebreo mantovano vissuto nell’Ottocento, e di portarla con sé a Milano per farne un monumento; ed è il 2012 quando sua figlia Ghila decide di farne il soggetto del suo primo film.

1017304_583872261692841_284161865_n«Sapevo di avere quella grossa pietra nel garage, ma non ne vedevo l’incisione, così com’era, appoggiata al muro; quando finalmente l’abbiamo girata ha acquisito un nome e un volto» spiega Ghila Valabrega. «È curioso che questa sia la mia opera prima. Avevo sette anni, ero andata a vedere Casper e uscita dal cinema mi chiesero se mi fosse piaciuto. Ho risposto: “Da grande farò gli effetti speciali per un film”. E ironia della sorte mi ritrovo davvero a parlare di fantasmi, a vent’anni di distanza».
Ghila Valabrega, milanese di nascita ma sempre in viaggio tra Parigi e gli Stati Uniti dove ha studiato, da due anni è concentrata sulla realizzazione di questo progetto, a cui hanno collaborato varie figure della nostra Comunità, da Miriam Camerini a Elia Schilton, da Yoram Ortona a rav Schmuel Rodal: «Con la direttrice del casting Sonia Colombo abbiamo proprio lavorato in questo senso. Cercavamo sì degli attori, ma non volevamo rinunciare a un approccio neorealista, ovvero ci interessava che i protagonisti avessero un background ebraico in modo tale da interpretare una famiglia ebraica, la mia, al meglio».

Un film che racconta di un fantasma e per di più ebreo: condita in salsa yiddish, uno humour diffuso, la pellicola ci narra il ritorno a casa dello spettro di Felice, non più orfano della sua lapide. «Il mio scopo è stato quello di far conoscere al mondo Sabbioneta, il modello rinascimentale di città ideale così come la concepirono i grandi urbanisti del ‘500, oggi patrimonio dell’Unesco: l’idea è quella di raccogliere fondi per sovvenzionare il restauro della Sinagoga che il terremoto del 2012 ha reso inagibile. Una mitzvà? Sì, perchè no». Mitzvà che, in parte, Ghila Valabrega ha già realizzato, grazie all’aiuto degli sponsor, tra i quali il Gruppo Proedi, nonché le stesse Comunità Ebraiche di Milano e Mantova, e l’Ucei, che hanno patrocinato il film.
Quando si lavora molto a un racconto, ci dice Ghila, spesso accade di sentire davvero la presenza del proprio personaggio: «Stavo girando l’ultima scena del film quando la presenza di Felice mi è sembrata quasi concreta, fisica. Così, tra me e me, gli ho chiesto: “Sei contento?”, e in quel momento mi hanno fatto una domanda a cui io distrattamente ho risposto “sì”. L’ho interpretato come un segno; inutile dire che le riprese sono andate splendidamente!».

Le donazioni sono state fondamentali, confida Ghila, e molte sono state made in USA: la disponibilità ridotta di liquidi ha comunque permesso la realizzazione di un film completo, con scenografie curate ed effetti speciali degni di ogni film che parli di spiriti e fantasmi. La cura dei dettagli, nonostante il budget, è stata massima: dalle auto ai vestiti è tutto tipicamente anni Settanta. Proprio ora in post-produzione, stanno lavorando per ritoccare il colore e dare al film un tocco vintage. A breve il trailer mentre per il film vero e proprio dovremo aspettare: «Sto lavorando con l’Assessore Daniele Cohen e la regista Andrèe Ruth Shammah per proiettare un’anteprima al Franco Parenti, per la Comunità ebraica di Milano, con le musiche klezmer dal vivo; fra pochissimo verrà presentato al Jewish Film Festival di Atlanta. Lo abbiamo girato in italiano, coi sottotitoli inglesi; sarebbe stato un peccato tradurlo, in fondo parliamo di ebraismo italiano. Ammetto di aver avuto qualche difficoltà nel dirigerlo, per via della mia formazione americana: è più facile sentirmi dire action, piuttosto che azione».

Screen Shot 2014-11-03 at 12.35.31Tra gli obiettivi di Ghila c’è anche il Film Festival di Berlino: «C’è un detto americano che dice punta sempre alla luna, male che vada avrai girovagato tra le stelle: io punto sempre in alto, anche se a volte mi danno dell’illusa. Figurarsi che per Felice sognavo Woody Allen, o Dustin Hoffman, a cui comunque so che è arrivata la mia sceneggiatura…».
In cantiere ci sono già altri due film: il progetto è una trilogia, incentrata sulla famiglia Valabrega. Il secondo capitolo sarà il racconto del matrimonio dei genitori della regista, e sarà un lungometraggio: avrà bisogno, questa volta, di un coproduttore israeliano, perché sarà girato tra Milano, Roma, Gerusalemme e Tel Aviv.
E così, per tornare al film, ecco che come una sorta di dybbuk, Felice riesce a tornare a casa solo dopo trent’anni, finalmente in pace con la sua lapide. Fuori dall’immaginazione di Ghila la sua vera vita è avvolta nel mistero: le uniche informazioni recuperate sono quelle anagrafiche di nascita e di morte. Ma con questo film, forse, diventerà immortale.

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