
L’estrema destra di AfD in Germania è la grande vincitrice delle ultime elezioni, attenta a ripulirsi fuori ma intimamente ancorata ai vecchi pregiudizi antisemiti. Un pericolo per la vita ebraica? Molti dicono di sì. All’estremo opposto, in Francia, è invece la sinistra radicale della France Insoumise
a nascondere – dietro il paravento dell’antirazzismo -, il più efferato dei sentimenti antisionisti
e antiebraici (poiché oggi è permesso dichiararsi contro il razzismo e, insieme, odiare gli ebrei).
Nel gioco perverso degli opposti estremismi, il mondo ebraico è il vaso di coccio tra i vasi di ferro
Cara lettrice, caro lettore,
guardo alla televisione francese le immagini di teen ager che sfilano durante una manifestazione: sono ragazzi che indossano la chultzà blu dell’Hashomer Hatzair e la camicia bianca del Benè Akiva, hanno tra i 15 e i 18 anni, camminano tenendosi per mano e marciano nei boulevard parigini durante i cortei contro il razzismo e l’antisemitismo avvenuti negli ultimi mesi. Sono un gruppo numeroso, innalzano striscioni con scritte in blu e rosso: Mes origines, notre combat, recita il primo cartello; e ancora, Je me defends, donc je suis; La honte c’est d’avoir peur (Le mie origini, la nostra lotta; Mi difendo, quindi sono; La vergogna è aver paura).
Guardo le immagini alla tv, ascolto le loro dichiarazioni e intuisco che il loro livello di sensibilità e di inquietudine non è paragonabile a quanto – più blando – avviene in Italia. Non sanno darsi ragione di quanto stia accadendo agli ebrei francesi e a loro stessi, del perché non possano più frequentare scuole pubbliche o palestre sportive dove, negli spogliatoi, rischiano di essere individuati come ebrei. Non capiscono perché si continuino a denunciare nazisti immaginari (Israele), per meglio nascondere gli antisemiti palesi (gilet jaune, gruppi salafiti…), del perché una certa sinistra nazifichi tutto ciò che non corrisponde alla propria ideologia appoggiando apertamente Hamas e quanto avvenuto durante il sabato nero del 2023. Nelle parole di questi teen ager, sui loro volti, emerge lo sconcerto, l’impossibilità di capire ciò che li circonda e le ragioni che stanno dietro. Non hanno vissuto le epoche oscure dei loro nonni, ne hanno solo sentito parlare.
Ma come i loro nonni, ora avvertono lo sgomento come un punto di partenza, il dolore della condizione umana dentro la giovinezza. Una difficoltà dentro un’età adolescente che si vorrebbe intenta a disegnare geometrie del cuore, impegnata a togliere maschere e a cercare un cuore che si vuole nudo, vero, autentico. Sono ragazzi e la complessità politica è diventata parte della loro vita. Uno di questi giovani, Philippe, mostra modi esitanti, sospesi: nell’intervista che gli fa il cronista televisivo, Philippe cita Franz Kafka e il personaggio enigmatico di Josef K., in perpetua ricerca della propria identità nell’inutile tentativo di raggiungere Il Castello.
Noi siamo come Josef K., afferma Philippe (nel filmato, gli altri ragazzi annuiscono), il Castello è questa Europa, questa Francia che non ci vuole, che ci lascia fuori e ci respinge. Philippe dimostra di aver colto perfettamente la metafora kafkiana. Sono ragazzi, ma hanno già capito che il punto cruciale qui è l’Europa, il continente che rischia la frantumazione, agitato da forze centrifughe e che ha perso l’idea di un destino comune, ha smarrito l’idea di una collettività politica non più partecipe di una storia condivisa.
È triste dirlo ma l’Europa ebraica è tornata, demograficamente, ai livelli del Medioevo, gli ebrei europei che erano il 90 per cento degli ebrei del mondo a fine Ottocento, rappresentano oggi il 9 per cento della presenza ebraica sul pianeta, ha dichiarato recentemente Sergio Della Pergola, con una demografia ebraica che si è spostata numericamente su Israele e gli Stati Uniti. Ed è come se, ancora una volta, nel destino ebraico si rispecchiasse il destino europeo, la crisi dell’uno nel riflesso dell’altro. Per questo forse, dinanzi al ritorno impetuoso di un odio disinibito e di un antisemitismo esibito, ci sarebbe davvero bisogno di un “sussulto collettivo” e di un rinnovato abbraccio tra le generazioni ebraiche, per lavorare sulla riformulazione di un giudaismo profondamente umanista, liberale, europeo.
Fiona Diwan