sugli ebrei dell’Europa dell’Est e, in particolare, sui 300 mila ebrei ucraini e 157 mila ebrei russi incombe, ancora una volta, la paura. A scatenarla oggi è la spinta sussultoria del nazionalismo, insieme ai movimenti tellurici di forze popolari pilotate da interessi economici e politici. Accade ogni qual volta si mette in moto la macchina del mutamento. In queste terre slave, l’atavico risentimento antiebraico pesca, da secoli, nel retaggio cristiano-ortodosso, nella teoria del complotto ebraico e nella necessità ricorrente del capro espiatorio, per dirottare la rabbia popolare. Ed è come se per le steppe russe e per le pianure ucraine quasi non ci fosse redenzione da quella patologia sociale. Come se il tempo e la storia, per gli ebrei di laggiù, si fossero cristallizzati in un eterno presente, un copione che si ripete da secoli. «Ho toccato con mano il parossismo antisemita solo quando sono andato nei Paesi dell’est Europa: nulla in Occidente è paragonabile a quell’odio», mi ha raccontato un giorno Gabriele Nissim, esperto di questione ebraica nel mondo slavo e animatore del sito Gariwo dedicato alle figure dei Giusti. «Ogni qual volta un nuovo politico si affaccia sulla scena, viene accusato di essere ebreo, zhjid, ancor oggi considerato il più grave tra gli insulti, sinonimo di traditore», mi ha detto una volta, durante un’intervista, la slavista italiana Serena Vitale.
Accade oggi anche per il nuovo premier ucraino Arsenij Yatsenyuk (ma lui ha sempre negato di avere origini ebraiche). I suoi rivali politici usano la sua presunta discendenza da un antica famiglia talmudica per screditarlo politicamente, visto che in Ucraina l’essere ebreo in politica, come scrive il celebre politologo russo-ebreo Radzikhovskij, è paragonabile ad essere una spia (e sulla Rete girano numerosi siti filo-russi che addirittura sostengono che tutti i principali rappresentanti del nuovo governo di Kiev siano ebrei – Klichko, la Timoshenko… -, e che tutta la rivolta di Kiev sia un complotto ebraico). Senza contare che anche in Russia, ieri come oggi, quando si tratta di gettar fango su un politico si dice che è ebreo (accadde addirittura con Boris Eltsin, russo che di più non si potrebbe).
Oggi, nel sud-est dell’Ucraina, diverse sinagoghe sono state oggetto di attacchi incendiari, creando un diffuso stato di ansia. Eppure, non è facile capire quanto la minaccia sia grave, viste le contraddittorie dichiarazioni (vedi pag. 8 ) degli stessi ebrei: che minimizzano o amplificano il pericolo a seconda delle simpatie filo-Putin o pro-piazza Maidan. Per questo siamo andati a verificare di persona: grazie ad Anna Lesnevskaya, giovane reporter che tra Mosca e Kiev ha scritto per noi un eccezionale reportage, un’inchiesta sul campo di grande valore giornalistico, raccogliendo voci ebraiche in loco. Un’istantanea che è anche uno spaccato del mondo ebraico a Mosca e Kiev nell’ultimo secolo di storia.
Fiona Diwan