per un appassionato di storia, il tema dell’oblio non è mai indolore. Come un palombaro, un becchino, uno sciamano, uno speleologo, chi scrive e legge di storia è ingaggiato in un perenne corpo a corpo con la dimenticanza, con la vita inabissata, col ricordo che sfuma e la materia sensibile che svanisce. Non solo lo storico, ma l’intero mondo ebraico ne è ugualmente ossessionato, per questo ha ritualizzato la memoria storica e l’ha sacralizzata (Pesach, Purim, Chanukkà…). Che traccia lasciamo? Quanto a lungo permane prima che il tempo la cancelli? Cosa resta di noi, di loro, di tutti quanti, uomini e donne, grandi e piccoli? La trasmissione del ricordo sta nel libro, nella pagina scritta, unici in grado, forse, di sconfiggere la morte, ci ricorda Harold Bloom, il grande critico letterario ebreo-americano. In How to read and why (Come si legge un libro e perché, Bur), Bloom ricorda che iniziamo a leggere per rafforzare l’Io, “per sapere chi siamo, per schiudere e purificare le porte della percezione e ricordarci che vogliamo avere cuori pieni e spaziosi, capaci di fare esperienza del deserto come dell’acqua”.“La fiducia in se stessi non è un talento naturale, e la rinascita della mente avviene dopo anni di attenta lettura”. Come scriveva la poetessa Emily Dickinson, leggiamo per imparare a “camminare”, per dare un senso a “quell’andare incerto che chiamiamo esperienza…”.
Uomini che amano i libri. Siamo noi: il sondaggio-inchiesta del Bollettino è dedicato a questo tema. Un tentativo di identikit delle letture di una collettività, quella ebraica di Milano e, per certi versi, anche di quella ebraico-italiana.
Ma la nostra lista di titoli vuol essere anche un omaggio alle biblioteche morte, uccise da uomini che odiano i libri. Lo sapevate che il XX secolo si porta a casa un altro triste primato, quello di aver distrutto il maggior numero di biblioteche sul pianeta? Lo racconta una recente statistica stilata da Global Datavault e pubblicata da tutti i media. Uno scempio dovuto a incendi, guerre e bombardamenti. Il più recente è la Biblioteca di Bagdad andata in fumo nel 2003, centinaia di migliaia di volumi antichi sulla cultura e poesia araba, rasi al suolo. Poi quella dell’Istituto orientale di Sarajevo, nel 1992, durante la Guerra jugoslava (qui si custodiva la celebre Haggadà di Sarajevo, vedi I custodi del libro, di Geraldine Brooks, Neri Pozza); quella di Kabul, nel 1998, abbattuta dal fuoco incrociato delle opposte fazioni; quella di Jaffna, nello Sri Lanka, nel 1981, col suo patrimonio di testi religiosi antichissimi; la Biblioteca della Bosnia Erzegovina nel 1992, quella nazionale dell’Abkhazia, sempre nel 1992, distrutta durante il conflitto con la Georgia caucasica. E che dire degli incredibili manoscritti di Timbuctù, nel Mali, risalenti all’Anno Mille, in parte incendiati nel 2013 dalla furia dei jihadisti? Senza dimenticare altre distruzioni: la Biblioteca Nazionale di Serbia nel 1942, le biblioteche ebraiche, polacche e tedesche da parte dei nazisti. Un totale – per difetto -, di circa, di 231 milioni di volumi. Distruggerli, voleva dire azzerare l’identità. Come forma di requiem, adesso, non ci resta che leggere.
Fiona Diwan