Non si può pretendere che uno Stato accolga a braccia aperte i suoi nemici. Eppure a Israele lo si chiede. Perché?

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente]

Sapete come funziona nel lontano Occidente, qualunque cosa faccia Israele, è comunque sbagliata. Dunque non ci siamo stupiti quando Benjamin Netanyahu, lo scorso agosto, ha deciso di non permettere l’ingresso nello Stato ebraico di due deputate americane, Rashida Tlaib (origini arabo-palestinesi) e Ilhan Omar (nata in Somalia), sollevando un putiferio nel lontano Occidente. Entrambe accese sostenitrici del Bds, il movimento che si propone la distruzione dello Stato di Israele attraverso il boicottaggio (assimilandolo al Sudafrica dell’Apartheid), sono tra le figure più in vista della sinistra americana, sicuramente le più impegnate nella delegittimazione di quello che vedono come un “abominio” in Medioriente. Non ci siamo sorpresi naturalmente non della scelta del governo di Gerusalemme, piuttosto delle reazioni scatenate da quella decisione: “Israele ha sbagliato”; “È da deboli evitare il confronto”; “In democrazia non si possono lasciare fuori le idee di chi la pensa diversamente”; “Così si è dato carburante alla propaganda dei nemici di Israele”.

Tutto questo mi porta a una riflessione. Se qualunque cosa faccia Israele è sbagliata (il coro comprendeva, negli Stati Uniti almeno, sia avversari che supposti amici, tra i democratici e tra i repubblicani), proviamo a ipotizzare una situazione analoga per un altro Paese. Gli Usa, per esempio, concederebbero il visto a un esponente (politico) dei Fratelli musulmani? O di Al Qaeda? La Russia farebbe entrare un noto critico di Putin permettendogli di girare a piacere con l’intento di dimostrare l’illegittimità del regime? Quanti personaggi scomodi l’Italia ha fermato alla frontiera (o espulso dopo il loro arrivo)? Tanti. Perché così funziona nel mondo: e non si può pretendere che uno Stato accolga a braccia aperte i suoi nemici. Eppure a Israele lo si chiede. Perché? Torniamo al punto di partenza: evidentemente nella coscienza diffusa, lo Stato ebraico è qualcosa di non del tutto “vero”, una finzione, una creazione dell’intelletto più che della Storia. Pensate che nel programma della visita delle due suddette deputate, l’intestazione si riferiva a un viaggio “in Palestina”. La parola Israele? Inesistente. Così come queste persone continuano a credere. Ora, è giusto, in democrazia, ascoltare anche pareri discordanti, opposti perfino. Ma occorre che almeno sia condiviso un minimo comun denominatore: la legittimità dello Stato il cui territorio vuoi calpestare. Vuoi venire in Israele per criticarne le politiche nei confronti degli arabo-palestinesi? Bene, però almeno fammi capire che ne accetti l’esistenza: almeno questo. Altrimenti, se tu fai finta che lo Stato ebraico non esista, la risposta non può che essere una: ingresso vietato (e questa è la dimostrazione più chiara di sovranità).
Agli “amici” di Israele che continuano a ripetere come respingere le due pasionarie sia stato un errore noi rispondiamo che a sbagliare sono loro: gli ebrei ne hanno viste abbastanza nella loro lunga esistenza in seno all’umanità. E ora, ogni volta che è necessario, si tolgono i guanti: perché nessuno ci fa mai sconti, e comunque noi non possiamo più permettercelo.