L’incidente a Hebron e la dirittura morale di Israele

Taccuino

di Paolo Salom

Oggi vogliamo parlarvi di una vicenda delicata, certamente dolorosa. Parliamo dall’incidente a Hebron, quando alcuni giorni fa un soldato della Brigata Kfir ha sparato un colpo di fucile contro un terrorista già ferito e inerme al suolo. Il soldato è stato immediatamente arrestato e confinato nella sua base. L’episodio ha destato grande scalpore in Israele: giornali e televisioni non hanno parlato d’altro per giorni anche perché tutto è stato ripreso in video e poi reso pubblico da un militante di  B’Tselem. La dinamica appare fuori discussione: il terrorista, che poco prima, con un complice, aveva accoltellato un altro soldato, non presentava un pericolo apparente, per quanto poteva anche esserci il fondato timore di un esplosivo nascosto.

Insomma, si è trattato, per quanto si capisce al momento (un’inchiesta è in corso e dovrà stabilire se si è trattato di omicidio volontario o colposo) di un’uccisione gratuita. Curiosamente, nel lontano Occidente – solito ad addossare ogni intento crudele e violento all’esercito israeliano – il video è stato pressoché ignorato. Forse perché le autorità militari e civili hanno reagito immediatamente seguendo regolamenti e leggi. E il soldato è apparso in manette in un’aula di tribunale.

Nessuno gioisce, in Israele, per la morte di un nemico. E, in una situazione di guerra sotto traccia, con attentati quotidiani contro militari e civili il più delle volte all’arma bianca ma anche con fucili e ordigni, si arriva al punto di punire senza esitazioni un soldato che uccide una volta che il pericolo immediato si è dissolto.

Non sappiamo quale sia la morale di tutto questo. In condizioni normali, seduti comodamente nel salotto di casa, nel lontano Occidente il bianco è bianco è il nero è nero. Ovvero: chi spara a un terrorista già ferito a terra non è in alcun modo giustificabile. Questa è anche la nostra posizione. Ma soprattutto, è quella di Israele che, al contrario di noi, vive una quotidianità di continua tensione, faccia a faccia con una realtà dove il grigio è spesso il confine tra vita e morte, e una decisione presa in una frazione di secondo può significare la fine di un’esistenza. O la sua salvezza. Dunque? “Right or wrong, my Country”, diciamo perché non ci siano dubbi su dove sta la nostra solidarietà. E ci inchiniamo alla forza morale di uno Stato che riesce a non perdere la sua dirittura morale anche sotto attacco.