La legge sugli insediamenti? Non cambia lo status quo, anche se i media gridano allo scandalo

Taccuino

di Paolo Salom

Oggi vorrei affrontare un argomento delicato, controverso che tuttavia ha suscitato l’unanime condanna – nessuna sfumatura – nel lontano Occidente. Mi riferisco alla legge approvata dalla Knesset che consente l’esproprio (dietro compensazione) di terreni privati appartenenti agli arabi palestinesi nei Territori, sui quali siano state edificate(illegalmente) parti di insediamenti a condizione che lo Stato ne abbia in qualche modo favorito, difeso o aiutato la costruzione. In ballo ci sono 16 appezzamenti con circa 4 mila case oltre la Linea Verde.

Ora, senza entrare nelle finezze legali, lasciando da parte le ragioni politiche sulla tenuta del governo Netanyahu (il premier aveva chiesto un differimento del voto), quello che vorrei esaminare qui è l’atteggiamento globale nei confronti d un atto che, in effetti, non cambia sostanzialmente i fatti sul terreno e, soprattutto, non pregiudica minimamente un futuro accordo con i palestinesi. Perché? Semplice, come già dimostrato in passato, più volte, a fronte di una sincera volontà di pace e la disponibilità a firmare un accordo equo, Israele è sempre pronta a fare la sua parte. Nei dettagli: smantellare eventuali insediamenti che risultino, in seguito a trattative, al di là dei confini nazionali. E’ successo nel Sinai e poi a Gaza.

Dunque, perché il lontano Occidente riesce a trovare un’unica voce solo e soltanto quando si tratta di condannare il governo di Gerusalemme? E’ evidente a tutti che gli eventuali futuri confini tra Israele e lo Stato di Palestina non potranno in alcun modo ricalcare il percorso della linea dell’armistizio del 1949, i “confini di Auschwitz”, secondo una spesso citata definizione di Abba Eban. Ed è altresì evidente che Tsahal dovrà continuare a pattugliare i confini orientali per lunghi anni (forse per sempre) vista l’instabilità della regione che certo non è dovuta al contenzioso tra israeliani e palestinesi.

Eppure tutte le cancellerie si sono affrettate a stigmatizzare il “colpo” inferto alla soluzione a due Stati. “E’ stata superata una spessa linea rossa”, ha fatto sapere il portavoce dell’Onu. “Un atto di guerra”, è il commento di Abu Mazen (forse il meno sorprendente). Il più prudente è stato il presidente americano Trump che ha chiarito l’intenzione di “esaminare la questione” nel suo incontro con Netanyahu, alla Casa Bianca, il 15 febbraio.

In realtà, a nostro parere, la legge non pregiudica nulla. Semplicemente si limita a gettare la palla nel campo di Ramallah. I palestinesi vogliono la pace? Si siedano a un tavolo e comincino trattative serie: qualcosa dovranno cedere, altro potranno guadagnare. Ma se il loro sogno resta quello di distruggere lo Stato ebraico, beh, nonostante la sponda del lontano Occidente, prima o poi dovranno accettare la realtà. Israele è saldo nella sua terra.