I palestinesi nascondono le prove necessarie a stabilire la verità. Ma il colpevole è Israele, anche per i media occidentali

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente] Chi ha ucciso la giornalista arabo-palestinese Shireen Abu Akleh? Per il lontano Occidente la risposta è automatica: è stato un soldato israeliano. Anzi, un cecchino israeliano che avrebbe sparato di proposito sulla reporter durante un’operazione a Jenin. Nei giorni scorsi in verità l’Anp ha finalmente, dopo lungo insistere, acconsentito a consegnare il proiettile che aveva colpito Abu Akleh alla testa, uccidendola. Le autorità israeliane avevano fatto analoga richiesta per stabilire se il colpo fosse partito da un’arma (e quale) in dotazione a Tsahal. Ma i palestinesi avevano respinto la proposta perché “non si fidavano” degli esami balistici affidati ai nemici, per quanto il comando militare avesse garantito piena pubblicità su tutti i passaggi delle analisi e avesse invitato osservatori palestinesi e americani (Abu Akleh aveva anche un passaporto degli Stati Uniti). Alla fine l’ogiva è stata messa a disposizione e consegnata: non agli israeliani ma a funzionari dell’ambasciata statunitense. Poco male, direte voi: tanto gli esami sono stati condotti da esperti di Gerusalemme insieme agli americani, dunque i risultati sarebbero stati riconosciuti come “oggettivi”. Peccato che il proiettile consegnato – un semplice frammento – fosse così piccolo e alterato dall’impatto da risultare inutile per qualunque analisi balistica. Insomma: impossibile determinare l’arma da cui proveniva e ancor meno se fosse davvero quello che aveva colpito la giornalista, dato che non conservava alcuna traccia di Dna sulla sua ridottissima superficie. In pratica, il proiettile esaminato poteva arrivare da ovunque: un muro, un veicolo, una strada. La reporter di Al Jazeera è stata uccisa l’11 maggio scorso. Il proiettile è stato consegnato ai primi di luglio. Perché tanto tempo, quando gli americani si erano offerti di valutare da subito i fatti? Alla fine, così, le analisi non hanno potuto concludere un bel niente: “Reperto troppo danneggiato per attribuire una responsabilità certa”. Curiosamente, i palestinesi si sono infuriati per queste affermazioni che, a loro dire, smentivano ogni “certezza sulla colpa dei soldati sionisti”. Se la rabbia dei palestinesi appariva scontata, molto meno – a mio avviso – è stata la reazione degli organi di informazione del lontano Occidente, a partire dal New York Times (giornale che ha deciso di sostenere le ragioni di Ramallah sempre e comunque) che ha riportato le conclusioni degli esperti (“Non sappiamo chi abbia sparato”) aggiungendo però che “con buona probabilità sono stati i soldati israeliani” anche se “non di proposito”. Come potevano, i giornalisti Usa, saperlo? Perché naturalmente avevano condotto una loro inchiesta (principalmente su informazioni palestinesi) che aveva portato a quelle conclusioni (e naturalmente non teneva conto di tutte le variabili sulle posizioni effettive di soldati e miliziani emerse da parte israeliana). In Italia agenzie di stampa e giornali schierati (con poche eccezioni, tra queste il Corriere della Sera e Repubblica) sin dall’inizio hanno raccontato una versione dei fatti unilaterale (colpa di Tsahal), qualcuno ha sposato sin dall’inizio la versione integrale palestinese (“uccisa di proposito da parte di un cecchino”), in ogni caso non si sono mai posti le domande: perché i palestinesi non hanno consegnato, subito, il vero proiettile? Che cosa avevano da perdere, dato che erano certi di non aver esploso loro quel colpo mortale? Perché, poi, mettere a disposizione soltanto un frammento quando, considerata la modalità della tragica morte, era altamente probabile che l’ogiva, pur frantumandosi, doveva essere comunque recuperabile (la giornalista indossava un elmetto)? Intendiamoci, non trovo più di tanto sorprendente il comportamento dei palestinesi: il loro intento è dare addosso a Israele, colpirlo con le armi della propaganda apprese sin dai tempi in cui il gran muftì di Gerusalemme Haj Amin al Husseini frequentava assiduamente gli amici nazisti nella Germania hitleriana. Quel che mi sorprende ancora è la predisposizione del mondo “civile” di accogliere ogni menzogna palestinese come fosse reale. Certo, in una situazione come quella di guerriglia urbana tutto è possibile, anche che un soldato israeliano abbia colpito per errore la giornalista. E infatti il comando di Tsahal non lo ha affatto escluso. Purtroppo, quando si tratta di Israele, l’Occidente – vicino o lontano – perde ogni capacità di ragionamento pacato. Noi sappiamo perché e non ci stancheremo mai di dirlo a voce chiara e alta: è l’antico e persistente pregiudizio anti ebraico.