Festival di Sanremo e oltre: sono solo canzonette? Ebbene no, il caso Ghali lo dimostra

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente] Quando ero bambino, nel lontano Occidente, il ricordo della Shoah era ovunque. E l’antisemitismo, che pure covava in molte anime, era comunque un sentimento da nascondere, un’idea che suscitava orrore per il senso comune. Mai più, si diceva, mai più l’odio contro gli ebrei tornerà a correre nella nostra società, in Europa, nel mondo. Già, il mondo: allora era diviso in due. E l’Unione Sovietica sosteneva con parole e fatti l’unica parte di umanità che ancora sognava di distruggere gli ebrei, tutti, non soltanto Israele: sosteneva gli arabi.

Molte cose sono cambiate da allora. Alcune in meglio: lo Stato ebraico, a dispetto di una situazione di conflitto permanente e di tragedie ripetute, continua a progredire, a crescere, a vivere. Diversi Paesi arabi hanno firmato la pace con lo Stato ebraico, altri sono pronti a farlo. In Occidente, invece, il tempo sembra essere fluito al contrario. L’antisemitismo è riemerso nelle forme più odiose. Oggi viene chiamato antisionismo ma il significato è il medesimo. Gli odiatori degli ebrei e di Israele sono tornati a farsi vedere, a testa alta, nelle nostre strade, nei nostri quartieri, nelle scuole e nelle università. Agli ebrei è consigliato di non mostrare pubblicamente forme di religiosità che possano rivelare la loro identità. Capita che giovani e meno giovani siano aggrediti e picchiati, qualche volta ci scappa il morto (è successo a Los Angeles, qualche mese fa, quando un pensionato che manifestava per Israele è stato colpito sulla testa con un megafono da un docente di origine araba).
Qualcuno dirà: questo odio è di importazione, è arrivato insieme ai milioni di immigrati musulmani che hanno lasciato i loro Paesi per rifarsi una vita nel lontano Occidente. Sarà anche vero: ma per noi cosa cambia? Cosa cambia se un cantante famoso come Ghali (di famiglia tunisina) può permettersi, senza contraddittorio alcuno, di vomitare le sue menzogne (“fermate la guerra, fermate il genocidio!”) dal palco di Sanremo, mentre metà Italia (e chissà quanti altri Paesi collegati) ascoltano nei loro salotti le amene canzonette i cui motivi entrano subito nelle orecchie?

Che cosa cambia per noi quando il sistema mediatico (e badate: in Italia siamo messi molto meglio che altrove) ripete senza verifica alcuna le menzogne diffuse da Hamas e i loro padroni (leggi: Iran) su quanto accade a Gaza? I pochi, non soltanto ebrei, che osano dire la verità – e cioè che a Gaza non c’è stato alcun genocidio ma solo una guerra che Israele ha dovuto fare per la propria sopravvivenza e dopo essere stato attaccato – sono immediatamente aggrediti e messi all’indice come “servi dei sionisti”. In poche parole, un mondo all’incontrario, proprio come negli anni fatali del nazismo e del fascismo, dove chi lotta per il bene è considerato “il male assoluto”, e chi cerca il vero genocidio, quello degli ebrei (di nuovo!), è un “combattente per la libertà”.

È certo comprensibile che molti tra noi siano spaventati. Il futuro per la diaspora è tornato a mostrare nuvole oscure. Questa guerra, provocata ad arte con una crudeltà mai vista dai tempi tragici della Seconda guerra mondiale, ha scatenato le forze più malvagie dell’umanità, ha riportato il mondo all’epoca di violenze e pogrom inventati ad arte per nascondere i fallimenti e le mancanze di altri. Noi siamo un obiettivo facile. Ma abbiamo la forza della consapevolezza con noi: non siamo soli, e Israele è lì, solido e vitale, il nostro scudo dal male.