Donald Trump al Muro del Pianto

Dopo il 7 ottobre gli Usa non hanno preso le difese di Israele sotto attacco, ma le hanno fatto solo pressioni. Una strategia politica incomprensibile

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente] Si è appena conclusa una stagione dettata da una visione del mondo secondo i principi dell’amministrazione democratica del presidente Usa Joe Biden, e siamo all’inizio di una nuova di cui, credo, vedremo presto gli effetti una volta che il repubblicano Donald Trump avrà avviato in pieno la nuova macchina del governo a sua immagine e somiglianza. Nel frattempo vorrei registrare i commenti finali del segretario di Stato uscente, Antony Blinken, diffusi con generosità dai media israeliani.
In sostanza, Blinken ha ammesso che il conflitto a Gaza si è protratto così a lungo, e gli ostaggi sono rimasti nelle mani dei terroristi per un periodo semplicemente inaccettabile, perché “Hamas faceva un passo indietro, quando la trattativa sembrava giunta al traguardo, ogni volta che osservava aumentare la pressione internazionale su Israele”. Blinken si è anche detto “stupefatto” della totale assenza di analoga pressione su Hamas: “Se gli ostaggi fossero stati liberati, la guerra sarebbe subito finita”.

Se permettete, io sono invece stupefatto dello stupore dell’ormai ex segretario di Stato. Mi sarei aspettato un briciolo di consapevolezza maggiore da parte di un uomo responsabile della politica estera della più grande Potenza mondiale dai tempi dell’antica Roma. Intanto, pronunciare queste parole quando la guerra crudele, voluta e scatenata da Hamas (con i burattinai iraniani a tenere i fili), è stata di fatto risolta dallo Stato ebraico – con un prezzo in vite umane e risorse spaventoso, certo – suona francamente fuori luogo.

Per un anno e mezzo gli americani hanno rappresentato la prima e maggiore fonte di pressione su Israele: perché non invadesse Gaza, perché non entrasse a Rafah, perché facesse entrare più aiuti umanitari ai civili, perché accettasse i termini proposti dagli aguzzini di Hamas, perché consentisse tregue e cessate il fuoco… aggiungete pure a questo elenco delle cose “da non fare o da fare” tutto quello che vi viene in mente, perché gli americani (e gli alleati europei, con poche eccezioni) lo hanno detto ripetutamente, mettendo sul banco degli accusati non i terroristi del 7 ottobre e i loro complici, quanto piuttosto (e sempre) lo Stato ebraico. Tutto questo non solo non ha aiutato, al contrario ha allungato la guerra e, quindi, il costo in vite umane che ogni conflitto comporta.

Come sapete io preferisco non entrare nella politica interna israeliana: ritengo che solo chi viva la realtà di quel Paese abbia un diritto naturale di giudizio. Una cosa, arrivati a questo punto, però è certa: se a guidare il governo dí Gerusalemme non ci fosse stato Benjamin Netanyahu, vincere su sette fronti, decapitare i vertici di organizzazioni terroristiche quali Hamas, Hezbollah, gli Houthi, assestare una lezione mai vista al regime degli ayatollah non sarebbe stato possibile. Comunque non con i risultati davvero stupefacenti ottenuti contro i pareri e la volontà di tutti, dentro e fuori Israele.

Il mio non è un giudizio politico ma una semplice osservazione della realtà. E, peraltro, avrete notato anche voi che, passate le elezioni presidenziali in America, le voci “contro” il premier e le sue scelte si sono fatte molto, molto più discrete (con la perniciosa eccezione, ahimè, di papa Francesco): segno che non erano così fuori dal mondo.

Resta per me sorprendente se non incomprensibile osservare a ritroso la politica della Casa Bianca di fronte a una guerra tanto atroce nata da una strage contro i civili ebrei mai vista dai tempi della Shoah. Un vero leader, e qui mi riferisco alla Casa Bianca tutta, sa prendere decisioni in nome degli interessi più alti della propria nazione e di quelle alleate. Non farlo significa perdere il proprio status morale, il proprio diritto implicito al primato. E questo, alla lunga, non porta alla pace. Al contrario stuzzica gli appetiti di chi si sente pronto a conquistare il posto d’onore nella guida del mondo. Prepariamoci a tempi difficili. Per fortuna per noi, Israele c’è.