Dina Rubina (foto Wikimedia Commons. Rodrigo Fernández)

Non dipende dal contesto: la (poco diplomatica) risposta di Dina Rubina al mondo accademico

di Anna Balestrieri
“La Pushkin House ha pubblicizzato la nostra prossima conversazione sui social media e ha immediatamente ricevuto messaggi critici sulla tua posizione sul conflitto israelo-palestinese. Vorrebbero capire il tuo punto di vista su questo tema prima di reagire in qualsiasi modo. Potresti esplicitare il tuo parere e inviarmelo il prima possibile?”

Questa richiesta è stata ricevuta da Dina Rubina, la più famosa scrittrice russo-israeliana vivente, invitata dal centro culturale russo e dall’Università di Londra a tenere un incontro sulla propria produzione letteraria. L’interesse dell’auditorio si è dimostrato risiedere non nei libri, bensì nelle idee politiche dell’autrice, che non ha fatto attendere la sua risposta con una lettera aperta di cui ha incoraggiato la diffusione, generando un vero e proprio tam tam di repost e condivisioni tra lettori e simpatizzanti.

Non è la prima volta che la scrittrice, parte della straordinaria aliyah degli anni ’90 dall’ex Unione Sovietica, si è fatta voce dei sentimenti degli ebrei e degli israeliani di lingua russa. Un’interprete ironica di come la minoranza culturale ebraica, come ogni cultura etnica, sia stata soppressa e umiliata nell’”amicizia delle nazioni” sovietica. E di quanto la minoranza (relativa, se si pensa ai numeri) culturale russa sia stata accolta con diffidenza, fastidio, persino con razzismo, nell’Israele degli anni Novanta.

La lettera indirizzata alla moderatrice è un manifesto pro-Israele contro il fenomeno recente dell’”antisemitismo accademico” e viene per questo presentata in traduzione nella sua interezza. Avvertiamo i lettori che il contenuto ed il linguaggio della lettera sono crudi.

 

“Cara Natalya!

Hai scritto magnificamente dei miei romanzi. Mi dispiace molto che tu abbia sprecato il tuo tempo, ma a quanto pare dovremo annullare il nostro incontro. L’Università di Varsavia e l’Università di Toruń hanno appena cancellato le lezioni del celebre scrittore israeliano di lingua russa Yakov Schechter circa la vita degli ebrei della Galizia nei secoli XVII-XIX “per evitare l’aggravamento della situazione”. Sospettavo che sarebbe successo lo stesso anche a me, dato che oggi l’ambiente accademico è il principale terreno fertile per l’antisemitismo più disgustoso e rabbioso, quello che si nasconde dietro la cosiddetta “critica di Israele”. Mi aspettavo una cosa del genere e mi sono persino seduta tre volte per scriverti una lettera su questo argomento… ma ho deciso di aspettare, ed ecco che non ho aspettato invano.

Questo è ciò che voglio dire a tutti coloro che si aspettano da me un rapporto rapido e ossequioso sulla mia posizione nei confronti del mio amato Paese, che ora (e da sempre) vive accerchiato da ardenti nemici che cercano la sua distruzione; sul mio Paese, che ora sta conducendo una giusta guerra patriottica contro un nemico frenetico, spietato, ingannevole e sofisticato.

L’ultima volta nella mia vita che ho trovato delle scuse è stato nell’ufficio del preside, in prima liceo. Da allora, ho fatto ciò che ritengo giusto, ascoltando solo la mia coscienza ed esprimendo esclusivamente la mia comprensione dell’ordine mondiale e delle leggi umane di giustizia.

Ebbene, mi dispiace davvero, Natalya, per i tuoi sforzi e le tue speranze che “si potesse cucinare con me un piatto che potesse piacere a tutti”. Ti chiedo pertanto personalmente di inviare la mia risposta a tutti coloro che sono interessati:

“Sabato 7 ottobre, la festa ebraica di Simchat Torah, il regime terroristico spietato, ben addestrato, attentamente preparato e ben equipaggiato di Hamas, al potere nell’enclave di Gaza (che Israele lasciò circa 20 anni fa), ha attaccato dozzine di kibbutz pacifici, bombardando contemporaneamente il territorio del mio paese con decine di migliaia di missili. Atrocità che nemmeno la Bibbia può descrivere, atrocità ed orrori che impallidiscono di fronte ai crimini di Sodoma e Gomorra (riprese, tra l’altro, dalle telecamere sulla testa e sul petto degli stessi assassini e da loro orgogliosamente inviate in tempo reale su Internet), atrocità che possono scioccare qualsiasi persona normale. Per diverse ore, migliaia di animali gioiosi e ubriachi di sangue hanno violentato donne, bambini e uomini, sparando alle vittime all’inguine e alla testa, tagliando i seni delle donne e giocandovi a calcio, estraendo i bambini dal ventre delle donne incinte e decapitandoli subito dopo, legando e bruciando bambini piccoli. C’erano così tanti cadaveri carbonizzati e completamente bruciati che per molte settimane gli anatomo-patologi non sono riusciti a far fronte all’enorme carico di lavoro necessario per identificare gli individui.

Una mia amica, che ha lavorato per 20 anni al pronto soccorso di un ospedale di New York, e poi ha trascorso altri 15 anni in Israele identificando cadaveri, è stata una dei primi ad arrivare ai kibbutz bruciati e insanguinati in un gruppo di soccorritori e medici… Non riesce tuttora a dormire. Un medico, abituato a fare a pezzi cadaveri, ha perso conoscenza a causa di ciò che ha visto e ha poi vomitato in macchina durante tutto il viaggio di ritorno. Ciò che queste persone hanno visto è impossibile da descrivere.  

Insieme ai militanti di Hamas, la “popolazione civile” si è precipitata nei buchi della recinzione, unendosi a pogrom di dimensioni senza precedenti, derubando, uccidendo, trascinando con sé a Gaza tutto ciò che capitava a portata di mano. Tra questi “civili palestinesi” c’erano 450 membri della marmaglia ONU dell’UNRWA. Tra i partecipanti tutti erano sostenitori di Hamas e, a giudicare dalla gioia violenta e totale della popolazione (ripresa nella nostra epoca poco opportunamente anche da centinaia di telecamere mobili), di sostenitori ce n’erano parecchi: Hamas era sostenuto e approvato, almeno prima dell’inizio di questi combattimenti, da parte di quasi tutta la popolazione di Gaza… Il problema principale: i nostri cittadini, più di duecento, tra cui donne, bambini, anziani e lavoratori stranieri senza valore, sono stati trascinati nella tana della bestia. Circa un centinaio di loro stanno ora marcendo e morendo nelle segrete di Hamas. Inutile dire che queste vittime, che continuano a essere bersaglio di torture, preoccupano poco la “comunità accademica”.

Ma non è di questo che sto parlando adesso. Non scrivo questo perché qualcuno possa simpatizzare con la tragedia del mio popolo.

Per tutti quegli anni in cui la comunità mondiale ha letteralmente versato centinaia di milioni di dollari in questo pezzetto di terra (la Striscia di Gaza) – e il bilancio annuale della sola UNRWA è pari a un MILIARDO di dollari! – nel corso di questi anni Hamas ha utilizzato questi soldi per costruire un impero costituito da un complesso sistema di tunnel sotterranei, accumulando armi, istruendo gli scolari dalle elementari a smontare e assemblare un fucile d’assalto Kalashnikov, stampando libri di testo in cui l’odio per Israele è indescrivibile, in cui persino i problemi di matematica vengono presentati così: “C’erano dieci ebrei, il martire ne ha uccisi quattro, quanti ne restano?…” Invocando l’assassinio degli ebrei con ogni parola.

E ora, quando, finalmente, scioccato dal mostruoso crimine di questi bastardi, Israele sta conducendo una guerra per distruggere i terroristi di Hamas, che hanno preparato così attentamente questa guerra, piazzando migliaia di bombe in tutti gli ospedali, scuole, asili… ecco che l’ambiente accademico di tutto il mondo si impenna, preoccupato per il “genocidio del popolo palestinese” – basato, ovviamente, sui dati forniti da… chi? Esatto, dallo stesso Hamas, dalla stessa UNRWA… La comunità accademica, che non si è preoccupata per i massacri in Siria, o per i combattimenti in Somalia, o per gli abusi contro gli uiguri, o per i milioni di curdi perseguitati per decenni da parte del regime turco, questa stessa opinione pubblica assai preoccupata si mette al collo la “kefiah” – il marchio degli assassini – per manifestare sotto i cartelli “Palestina libera dal fiume al mare!” – che significa la completa distruzione di Israele (e molti di questi “accademici”, come mostrano i sondaggi, non hanno idea di dove sia questo fiume, come si chiami, dove siano i confini…) – ora questo stesso pubblico mi chiede di “esprimere una posizione chiara sulla questione”.

Siete seri?! Davvero?!!

Io, lo sai, sono una scrittrice di professione. Per tutta la mia vita, da più di cinquant’anni, ho composto parole. I miei romanzi sono stati tradotti in 40 lingue, tra cui, tra l’altro, l’albanese, il turco, il cinese, l’esperanto… e tantissime altre.

Ora, con immenso piacere, senza troppa scelta di espressioni, sinceramente e con tutta la forza della mia anima mando a fare in CULO tutti gli “intellettuali” senza cervello che sono interessati alla mia posizione. Anzi, molto presto vi ci ritroverete tutti senza di me.

Dina Rubina”