La tecnologia al servizio della memoria: a New York l’AI racconta le testimonianze della Shoah

Personaggi e Storie

di Pietro Baragiola
Lunedì 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, il Museo dell’Eredità Ebraica di Battery Park, a Manhattan, ha iniziato ad utilizzare l’intelligenza artificiale per dare vita ad un’installazione interattiva che consente ai visitatori di ascoltare le testimonianze della Shoah direttamente dai suoi sopravvissuti.

Gli educatori della Shoah hanno cercato per anni un metodo sicuro per preservare la memoria delle atrocità compiute durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre il numero dei superstiti ha continuato ad assottigliarsi sempre più.

La nuova esposizione, chiamata “Survivor Stories”, permette ai visitatori del museo di porre domande alle proiezioni di 10 sopravvissuti e ricevere risposte accurate su svariati temi.

Alla cerimonia di apertura di lunedì hanno partecipato oltre 200 superstiti della Shoah insieme a diversi funzionari locali, tra cui il deputato democratico Daniel Goldman e Julie Menin del Consiglio comunale di New York.

“Questa installazione rappresenta un’opportunità straordinaria per far parlare i sopravvissuti in eterno, anche quando non ci saranno più” ha dichiarato il direttore del museo Bruce Ratner, orgoglioso di aver reso la nuova esposizione parte integrante della struttura.

 

Progettare l’installazione

Fondato nel 1997, il Museo dell’Eredità Ebraica si occupa ogni anno di educare decine di migliaia di giovani studenti sulla storia della Shoah per promuovere la tolleranza e combattere l’antisemitismo in tutto il mondo.

La struttura ha iniziato a lavorare sulla nuova esposizione un anno fa, grazie ad una sovvenzione di 300.000 dollari sostenuta in gran parte dalla Myron and Alayne Meilman Family Foundation, dagli esperti della USC Shoah Foundation e dalla USC Library.

Nel mese di luglio gli organizzatori hanno ripreso le interviste ai 10 sopravvissuti che facevano già parte del suo Speakers Bureau, volontari che partecipano spesso a programmi educativi nelle scuole di New York e degli altri Stati.

Ciascun sopravvissuto è stato filmato mentre era seduto davanti ad uno sfondo bianco, rispondendo a 100-125 domande sulla propria esperienza prima, durante e dopo la Shoah, oltre che ad altri quesiti di natura personale.

È stato chiesto agli intervistati di semplificare il più possibile le proprie risposte, cercando di riassumerle in 30 secondi o meno. Il team di produzione poi si è occupato di modificare questo materiale tagliando le domande dal filmato in modo da inserire nel sistema solamente le risposte dei sopravvissuti.

Una volta davanti all’esposizione, dunque, i visitatori del museo dovranno solo tenere premuto il pulsante posizionato sullo schermo e porre una domanda. L’algoritmo interpreterà il quesito e, in modo da fornire una risposta pertinente, sceglierà una tra le testimonianze presenti in archivio riproducendone il filmato su uno schermo adiacente.

“Se ad esempio qualcuno chiedesse ‘com’era la vita nei campi di concentramento?’ l’algoritmo potrebbe mostrargli un filmato della 93enne Alice Ginsburg che racconta di come, a soli 13 anni, è stata deportata con la sua famiglia ad Auschwitz-Birkenau e di come è stata forzata a contribuire alla produzione di munizioni per la macchina da guerra nazista” ha spiegato Mike Jones, direttore delle tecnologie di automazione presso la USC Library, durante l’intervista rilasciata al Times of Israel.

Altri sopravvissuti non sono mai stati mandati nei campi, anche se hanno subito altri tipi di atrocità. Tra questi c’è la 90enne Toby Levy, rimasta nascosta per due anni in un fienile di una donna polacca che era stata cliente del negozio di tessuti del padre.

“Ognuno di noi ha una storia di sopravvivenza diversa” ha affermato Levy durante la cerimonia di inaugurazione. “Ognuno di noi è un miracolo.”

Dato l’elevato numero di negazionisti della Shoah, i responsabili del museo sono stati attenti ad evitare qualsiasi abbellimento o invenzione, scegliendo di utilizzare un’intelligenza artificiale non generativa che si attiene unicamente al materiale raccolto durante le interviste, senza aggiungere nulla.

“Queste testimonianze non sono in alcun modo artificiali” ha dichiarato il 90enne Mark Schonwetter, sopravvissuto alla Shoah dopo essere stato rinchiuso per mesi in un ghetto ebraico. “Sono persone vere e testimonianze vere”.

I limiti dell’AI

Pur avendo fatto grandi passi avanti nel preservare l’educazione della Shoah, la nuova installazione ha mostrato anche i limiti dell’intelligenza artificiale.

“Generalmente il sistema tende ad assegnare un punteggio per la corrispondenza tra domanda e risposta” ha spiegato Jones. “Se questo punteggio supera la soglia prestabilita viene mostrato un video della risposta del sopravvissuto, altrimenti viene mostrata una ‘risposta di ripiego’ che afferma qualcosa come: ‘È una domanda fantastica! Non me l’hanno mai fatta.’”

Prima delle interviste i sopravvissuti sono stati istruiti ad evitare di rispondere alle domande con semplici “sì” o “no” per garantire che le testimonianze riportate fossero più flessibili da gestire per l’algoritmo.

“Alla domanda sull’età, ad esempio, hanno indicato l’anno di nascita” ha precisato Jones. “In modo tale che la risposta fosse valida anche tra 20 anni.”

Secondo quanto dichiarato al Times of Israel, i produttori del progetto hanno optato per un’intelligenza artificiale non generativa affinché questa installazione non potesse essere sfruttata per scopi nefasti come far dire ai sopravvissuti qualcosa a favore dei nazisti.

“Oggi l’algoritmo tende a fornire risposte di ripiego se una domanda si trova in una zona grigia” ha concluso Jones nella sua intervista. “Se qualcuno, ad esempio, tenta di dire ‘Hitler non era poi così cattivo’ o a fare altre domande terribili su cui [i sopravvissuti] non sarebbero mai d’accordo, si passa alla risposta di ripiego. Le corrispondenze miglioreranno man mano che la macchina imparerà dai successi e dagli errori compiuti.”