La storia dell’ostaggio di Hamas a Gaza diventato monaco buddhista

di Redazione
Questa è una storia che merita di essere raccontata ancora una volta, una vicenda che emana una luce di speranza anche nei momenti più bui.

Natthaporn Onkeaw, un giovane thailandese di 26 anni, si è trovato intrappolato tra le grinfie di Hamas a Gaza, in seguito all’attacco terroristico del 7 ottobre che ha dato inizio a una guerra ancora in corso. Rapito insieme ad altri connazionali, dei lavoratori agricoli sequestrati nei kibbutz intorno alla Striscia, Natthaporn ha vissuto giorni di terrore, implorando Buddha ogni giorno per la sua salvezza. In quelle ore oscure, imprigionato nel sottosuolo per due mesi, ha fatto una promessa a sé stesso: se avesse visto l’alba di un nuovo giorno, se fosse sopravvissuto a quell’inferno, sarebbe diventato monaco buddhista.

 

«Mi è mancata così tanto casa. È qualcosa che non ti aspetteresti mai che ti possa accadere», aveva detto a Reuters, indossando le bandiere tailandese e israeliana.

Ed è stato un momento commovente quando Thongkoon Onkaew, la madre di Natthaporn, aveva condiviso con voce trepidante la sua gioia con i media. «Sono indescrivibilmente felice per mio figlio e per gli altri cittadini tailandesi recentemente liberati dalla prigionia di Hamas – aveva dichiarato con emozione alla stampa -. Era alle 5 del mattino quando mia nipote mi ha telefonato, annunciandomi che mio figlio era stato liberato dagli ostaggi. Non potevo credere alle mie orecchie. Poi mi ha mandato una foto e ho visto il volto di mio figlio. In quel momento ho pensato: “Quello è mio figlio! Mio figlio!”».

In un aeroporto nel nord-est della Thailandia, i parenti hanno riempito Natthaporn di abbracci, fiori e ghirlande. Più tardi, la famiglia e gli amici si sono riuniti nel tradizionale rituale tailandese per celebrare il ritorno a casa legandogli dei fili sacri intorno al polso. Il giovane ha raccontato che gli era stato dato cibo e acqua ma non è riuscito a farsi mai neppure una doccia.

 

Ed è proprio in seguito al suo rilascio che Natthaporn Onkeaw ha deciso di mantenere la promessa di diventare buddhista. Come ha raccontato in quel periodo al quotidiano francese di ispirazione cattolica La Croix International, dopo essere rientrato in patria è andato a vivere in un monastero. Lì ha intrapreso il cammino verso la sua rinascita interiore. Il 15 gennaio scorso, a Ban Nongsang, provincia di Nakhon Pathom, è stato ordinato monaco. La cerimonia, intrisa di sacralità, ha visto Natthaporn ricevere la rasatura di capelli, sopracciglia e il vestito bianco, segnando il suo nuovo inizio.

La sua storia di conversione non è un’eccezione, ma riflette una pratica sempre più diffusa in Thailandia. Con il 90% della popolazione buddhista, diventare monaco temporaneo è un rito di passaggio comune per molti giovani thailandesi. L’ingresso nella vita monastica temporanea offre non solo una via per onorare la memoria dei propri cari o per ottenere il perdono, ma anche l’opportunità di accumulare meriti per il proprio karma.

Inizialmente, queste cerimonie duravano tre cicli lunari, dall’inizio di luglio fino a ottobre, durante il periodo delle piogge. Alcuni hanno protratto questa pratica oltre la tradizionale “Quaresima buddhista”, prolungandola per vari anni, evidenziando che diventare monaco per un breve periodo è ormai un’abitudine diffusa. Questa tradizione, soprattutto per le famiglie meno abbienti, non solo offre l’opportunità di accedere all’istruzione, ma allevia anche il carico alimentare in famiglia.

«L’ordinazione a 20 anni è uno dei riti di passaggio più significativi dall’infanzia all’età adulta – ha affermato Prakirati Satusut, professore di antropologia presso l’Università Thammasat, un ateneo pubblico di ricerca in Thailandia –. Tradizionalmente, è vista come un’educazione morale per i giovani: studiano con i monaci più anziani e vivono lontano dalle comodità della famiglia per acquisire valori preziosi prima di iniziare la carriera e mettere su famiglia».

Oltre 30.000 cittadini tailandesi si impegnano nella terra d’Israele, molti dei quali lavorano nei campi come braccianti agricoli, costituendo uno dei più grandi gruppi di lavoratori migranti nel Paese. La madre di Natthaporn Onkaew, ha rivelato che suo figlio era uno di questi lavoratori, il pilastro della famiglia, inviando regolarmente rimesse per sostenere i suoi cari, incluso il pagamento delle tasse scolastiche per la sua giovane sorella di 12 anni.

In un mondo segnato dalla violenza e dalla discordia, la storia di questo giovane ostaggio thailandese sopravvissuto all’inferno di Gaza, ci ricorda che anche nelle tenebre più profonde, c’è sempre una via verso la luce. La sua testimonianza di speranza e rinascita risuona come un richiamo alla resilienza umana e alla forza della fede.

 

(Foto: AsiaNews)