Monsignor Francesco Repetto e padre Marie Benoit

Il ruolo dei conventi e monasteri durante la Shoah, fra aperture e invito alla chiusura

di Ilaria Myr
“Nel periodo delicato fra il settembre e il novembre del 1943, dopo l’ingresso dei nazisti in Italia, gli ebrei capirono che non potevano tenere in funzione le organizzazioni di assistenza ai correligionari, come la Delasem e le varie attività delle diverse comunità. E prima di farsi travolgere completamente dagli eventi alcuni responsabili ebrei si attivarono per continuare a dare assistenza, mettendosi in contatto con un rappresentante ecclesiastico locale. Questo dimostra che gli ebrei non furono passivi davanti alla sorte avversa, ma che ci fu una presa di responsabilità attiva». Parola dello storico Michele Sarfatti, autore di un articolo appena uscito sul fascicolo 98 del luglio 2023 della rivista Quaderni di storia, diretta da Luciano Canfora, che rivela il ruolo attivo di alcune comunità ebraiche in quel periodo e che arricchisce di contenuti il dibattito oggi in corso sul ruolo della Chiesa nel salvataggio degli ebrei, alla luce dei nuovi documenti resi consultabili negli Archivi Vaticani.

Cosa avvenne a Genova, Firenze e Roma

Nella sua ricerca lo storico ha indagato ciò che è avvenuto a Genova, Firenze e Roma, scoprendo fatti fino a oggi non conosciuti. Ripercorrendo la storia dell’Italia dal 25 luglio 1938 all’8 settembre 1943, Sarfatti ricorda l’opera di assistenza del mondo ebraico attiva già da poco dopo l’emanazione della legislazione antiebraica.

“Nel 1939 l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII), presieduta da Dante Almansi, aveva istituito al proprio interno, con la necessaria autorizzazione del governo, un dipartimento avente il compito di facilitare l’uscita dall’Italia degli ebrei stranieri e di assisterli in attesa della partenza: la Delegazione per l’assistenza agli emigranti – Delasem, diretta da Lelio Vittorio Valobra, vicepresidente dell’UCII3 (nella foto a Genova con un gruppo dell’associazione) – scrive nell’articolo -. La Delasem aveva sede a Genova (la città ove abitava Valobra) ed era in contatto con le varie Comunità ebraiche e con i principali campi di internamento e comuni di residenza forzata, istituiti dall’Italia dopo l’ingresso in guerra nel giugno 19404 . Nel 1941 Valobra estese la rete ai territori ex-jugoslavi annessi o occupati; invece il soccorso nei territori occupati in Francia sudorientale fu gestito da comitati locali”.

Bernardo Grosser, Ritratto di un gruppo di profughi in partenza per la Colombia con Lelio Valobra e Enrico Luzzatto davanti alla sede della Delasem di Genova nel 1939″ (Archivio Fondazione CDEC)

 

Nel settembre 1943, Fu proprio Valobra a chiedere di incontrare a Genova il cardinale Pietro Boetto arcivescovo della città, o forse il suo segretario, don Francesco Repetto (a destra nella foto). “Repetto ha ricordato che Valobra, “in maniera riguardosa e pure in uno slancio di fiducia, venne a tastare il terreno per conoscere se il Cardinale avrebbe accettato di assumere l’assistenza agli ebrei, specialmente stranieri, in Italia, svolto [recte: svolta] fino allora dalla Delasem”, che egli riferì il colloquio a Boetto chiedendo “se si doveva accettare la domanda della Delasem, oppure declinarla”, che il cardinale rispose di accettarla12 – continua Sarfatti nell’articolo -. In sostanza, Valobra propose e Boetto accettò la gestione dell’opera di distribuzione del soccorso ebraico agli ebrei. Fu un patto di fiducia e di impegno. L’arcivescovo incaricò del lavoro il proprio segretario”.

Valobra passò i fondi della Delasem e gli indirizzi delle persone assistite a Repetto, che costituì una rete collegandosi a tutte le curie d’Italia e sollecitando l’aiuto di tutti nel salvare gli ebrei.

«È assolutamente doveroso riconoscere la generosità e la risposta pronta di curie, conventi e monasteri, ma è anche importante riconoscere che gli ebrei non furono imbelli e passivi», commenta a Bet Magazine-Mosaico lo storico.

Una vicenda simile accade a Firenze, dove, subito dopo l’occupazione tedesca, si era costituito un gruppo di persone generose (fra cui il rabbino capo Nathan Cassutto), che forniva assistenza ai profughi ebrei. Fu questo gruppo ad attivarsi per trovare alloggi ai fuggiaschi. “Mancava la possibilità di ospitare i fuggiaschi nei locali della Comunità; con la mirabile attività dei singoli componenti del Comitato, con l’aiuto della Autorità ecclesiastica e dei generosi privati, furono trovati alloggi temporanei o anche stabili per decine di persone; fu mantenuta una mensa; furono dati biglietti ferroviari a molti – scrive Sarfatti -. Padre Cipriano Ricotti, del convento domenicano di San Marco, ha ricordato che il 20 settembre, o poco prima, fu convocato dal cardinale Elia Dalla Costa, che, alla presenza del suo segretario Giacomo Meneghello, (che aveva incaricato di coordinare questa nuova attività), chiese “se me la sentivo di dedicarmi all’assistenza degli Ebrei. Subito mi consegnò una lettera di presentazione, scritta di suo pugno, perché più autorevolmente potessi bussare alle porte dei conventi””.

Infine Sarfatti ricostruisce quello che accadde a Roma, dove due frati cappuccini – Marie Benoit, detto Benedetto (a sinistra nella foto), e Giovanni da San Giovanni in Persiceto – si attivarono in modo importante dopo essere entrati in contatto con rappresentanti della comunità ebraica locale, sia prima che dopo la retata del 16 ottobre.

Nei tre casi, emerge il ruolo attivo della comunità ebraica e la risposta altrettanto pronta e reattiva delle realtà ecclesiastiche locali.

Quando la Curia chiese di allontanare i rifugiati dai conventi

Di fronte a queste prove di assistenza da parte del mondo cattolico, cercato e voluto dal mondo ebraico, suscita dunque perplessità la scoperta fatta da Sarfatti sfogliando i giornali del periodo della Repubblica Sociale Italiana. «Mentre facevo le ricerche mi sono imbattuto in un articolo, pubblicato da qualche quotidiano il 10 gennaio 1944 – fra cui il Corriere della Sera, che titola ‘Divieto di ospitare estranei nei monasteri e nei conventi’ -, che in breve parlavano di una disposizione della Curia vaticana per fare uscire dai conventi persone che vi erano ospitati – spiega a Bet Magazine -. Non mi è ancora dato sapere chi fossero le persone che dovevano essere allontanate dai conventi, la mia sensazione è che ci si riferisse principalmente ai militari italiani che si erano nascosti. Quello che però è certo che la disposizione allarmò il mondo ebraico, tanto che Valobra, rifugiatosi in Svizzera, comunicò il contenuto al Joint Committee a New York. È anche molto probabile che leggendo la disposizione, qualche ebreo avesse deciso di non cercare rifugio nelle strutture cattoliche. A oggi non ci sono noti allontanamenti di ebrei dalle strutture ecclesiastiche, ma la ricerca è ancora in corso».

La scoperta di Sarfatti, che per primo ha posto l’attenzione su questa direttiva della Santa Sede, fa dunque riflettere sul fatto che non solo non ci fu – almeno per quanto se ne sa al momento – una direttiva del Pontefice per l’accoglienza dei fuggitivi, inclusi gli ebrei, ma che anzi ci fu una direttiva che chiedeva invece l’allontanamento e l’espulsione.

La Chiesa durante la Shoah: un convegno alla Pontificia Università Gregoriana

Le rivelazioni dell’articolo di Sarfatti vengono pubblicate a pochi giorni dal convegno internazionale alla Pontificia Università Gregoriana sul ruolo della Chiesa durante la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, alla luce dei nuovi doocumenti consultabili solo da poco. Il convegno si terrà dal 9 all’11 ottobre ed è intitolato New Documents from the Pontificate of Pope Pius XII and their Meaning for Jewish-Christian Relations: A Dialogue between Historians and Theologians (“I nuovi documenti del Pontificato di Pio XII e il loro significato per le relazioni ebraico-cristiane: un dialogo tra storici e teologi”).

Il convegno, che si svolgerà sia in italiano che in inglese nell’Aula Magna dell’ateneo, è suddiviso in sette sessioni per tre giorni: la prima sessione, che si terrà lunedì 9 ottobre, affronterà le politiche adottate da Pio XII nei confronti del fascismo, del nazismo e del comunismo.

La seconda sessione, martedì 10 ottobre, esplorerà la visione del mondo del Vaticano in generale e sulla Shoah in particolare, con riferimenti ai punti di vista che plasmarono le decisioni dei funzionari, prelati e laici facenti parte della cerchia del Papa. Nella terza sessione verranno trattate la teorizzazione e la messa in atto delle leggi razziali, prima in Germania e poi in altre nazioni europee, tra cui l’Italia. La quarta sessione sarà dedicata al salvataggio degli ebrei, con particolare attenzione all’80° anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma.

Mercoledì 11 ottobre si terranno la quinta, sesta e settima sessione. Innanzitutto verranno illustrate le reazioni dei diplomatici papali di fronte alla crisi dei rifugiati e agli orrori della Shoah. In seguito verranno raccontati episodi in cui il Vaticano aiutò criminali di guerra nazisti condannati in tribunali militari internazionali. Infine, verrà ripercorso il graduale cambiamento interno alla Chiesa che portò alla dichiarazione Nostra Aetate del 1965, quando il Concilio Vaticano II pose fine all’impostazione antisemita che per secoli ha ne ha segnato i rapporti con il mondo ebraico.

Tra gli ospiti, figurano Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma; Iael Nidam-Orvieto, Direttrice dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme; Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma; e gli storici della Fondazione CDEC di Milano Liliana Picciotto e Michele Sarfatti. Mentre al termine dei lavori, i discorsi conclusivi saranno tenuti dalla Presidente UCEI Noemi Di Segni e da Raphael Schulz, Ambasciatore israeliano presso la Santa Sede.

Chi fosse interessato a seguire il convegno dal vivo, può registrarsi cliccando qui. Inoltre, l’evento verrà trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube della Gregoriana.