Il Boia è morto

Il boia delle Fosse Ardeatine, così era chiamato Erik Priebke, e così, con quel nome rimarrà nella memoria dei famigliari (e non solo) delle vittime delle Fosse Ardeatine. Erik Priebke, nell’anno dei suoi contestati cento anni, è morto. E’ morto nella sua casa romana del quartiere Aurelio, agli arresti domiciliari – la blanda pena riconosciutagli per aver comandato e aver partecipato il 24 marzo del 1944 all’uccisione di 335 ostaggi, come rappresaglia per l’eccidio di via Rasella.

Il processo nei suoi confronti era cominciato nel 1996, dopo l’estradizione chiesta nel 1994 dal governo italiano all’Argentina – paese dove Priebke risiedeva e dove era stato trovato da una Tv americana – e concessa l’anno successivo.
Dopo un anno,

Nel novembre 1995 Priebke fu rinchiuso nel carcere militare di Forte Boccea a Roma. La Procura militare chiese ed ottenne il suo rinvio a giudizio per crimini di guerra. In seguito Priebke fu imputato di “concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani” per i fatti delle Fosse Ardeatine.
Il 1 agosto del 1996 il Tribunale militare dichiarò il reato prescritto e la immediata scarcerazione dell’imputato. Alla pronuncia di tale sentenza nel Tribunale militare si Roma si scatenò una violenta protesta che si concluse solo dopo l’intervento dell’allora ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, che a nome del governò garanti la non scarcerazione di Priebke (nonostante la sentenza del Tribunale Militare).

Tale decisione fu commentata dal presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche, Tullia Zevi, come “un atto epocale” perchè pronunciava una sentenza definitiva nei riguardi dei crimini contro l’umanità. “i crimini contro l’umanità non possono andare in prescrizione” disse.

La Corte di Cassazione annullò la sentenza del Tribunale Militare e dispose un nuovo processo che terminò con la condanna a 15 anni (poi ridotti a 10 per motivi di salute). La Corte d’appello militare nel 1998 condannò Erich Priebke ( e con lui l’altro criminale nazista Karl Hass) all’ergastolo – sentenza che fu confermata lo stesso anno anche dalla Corte di Cassazione. Per ragioni di età, Priebke fu condannato a scontare la pena agli arresti domiciliari.

Oggi, 11 ottobre, all’annuncio della morte dell’ex ufficiale nazista, il presidente della Comunità di Roma, Riccardo Pacifici,  ha rilasciato all’AGI la seguente dichiarazione:

“Non riesco a provare né pietà né gioia, non mi viene né da piangere né da sorridere per la morte di quello che era un essere vivente, non un uomo”. Dalla sua storia traiamo una grande lezione “le belve come lui sono tali non solo nell’istinto, ma anche nella razionalità. Ciascuno deve confrontarsi con la propria coscienza, se ne ha una: Priebke non ha mai avuto nemmeno un attimo di commozione davanti ai familiari delle sue vittime. Non gli sarebbe costato nulla, nessuno lo sarebbe andato a cercare. Non l’ha mai fatto”. “Non voglio essere frainteso, non provo alcuna pietà o niente di simile”, spiega ancora Pacifici, “credo però che il processo a Priebke, conclusosi con l’inevitabile condanna, ci abbia insegnato molte cose, abbia aiutato questo Paese ad aprire un dibattito, a ragionare su una pagina storica che qualcuno voleva restasse chiusa, ad affrontare le proprie responsabilità. Chi, come il procuratore Intelisano, ha fatto sì che potesse essere aperto l’ ‘armadio della vergogna’, ha impedito un processo di rimozione innescato forse, all’indomani della fine della guerra, dalla fretta di riprendere un vita normale. Ma l’Italia, al pari della Germania, non poteva permettersi di dimenticare, perchè aveva prodotto il fascismo e aveva anticipato lo stesso Hitler con le leggi razziali”. “Priebke – ricorda ancora Riccardo Pacifici – non si è mai pentito, ha sempre raccontato una versione non vera, quella di aver dovuto obbedire a degli ordini, ma nella realtà non ebbe alcun esitazione di fronte a quei vivi che, posati sui morti e raggiunti da un colpo alla nuca, si ammucchiavano fino a formare una orribile catasta di oltre 300 corpi. Purtroppo parte degli ideali di gente come lui ha fatto proseliti nelle generazioni a venire e questo è un rischio ancora oggi da non sottovalutare”.

Sulle polemiche relative ai suoi funerali, è intervenuta l’UGEI, Unione dei giovani ebrei italiani con questo comunicato:

GIOVANI EBREI: “L’ITALIA SI RIFIUTI DI OSPITARE I FUNERALI DEL NAZISTA PRIEBKE”

“La tradizione ebraica insegna che di fronte alla morte di un uomo non ci si allegra mai, a bisogna invece riflettere sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a D-o e agli uomini. E’ per questo motivo che – afferma Alessandra Ortona, presidente UGEI – in linea con la decisione assunta dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, abbiamo preferito rimanere in silenzio di fronte alla morte del criminale nazista Priebke. Non avremmo potuto però – continua – rimanere inermi di fronte al testamento che Priebke ha lasciato ai posteri e alla possibilità che un tale assassino venga seppellito in Italia, a Roma.

Il nostro Paese e le istituzioni che ne hanno facoltà – prosegue – non possono permettere che il corpo di chi con tanta brutalità ha preso parte all’uccisione di 335 italiani senza mai pentirsene, trovi sepoltura sotto la stessa terra che è stata testimone delle atrocità da lui commesse. Da italiani e da ebrei, non potremmo considerarlo altro se non un terribile insulto alla memoria delle vittime di quella barbarie. Non da ultimo – continua Ortona – va con tutte le forze evitato di fornire ai suoi ammiratori un ulteriore motivo di celebrazione dell’individuo e di creazione di un luogo di venerazione. Ci appelliamo quindi alle istituzioni – conlcude la nota – affinchè sia trasmesso coi fatti a tutti gli italiani, ed in particolare alle nuove generazioni, il messaggio civile e culturale che il nostro paese si rifiuta di ospitare il corpo di un simile assassino.”
La Segreteria UGEI