di David Zebuloni
“Al-Sheikh è una delle figure più longeve nella scena politica palestinese,” afferma il Professor Michael Milshtein, direttore del Forum per gli Studi Palestinesi presso il Centro Moshe Dayan. Ma è anche una figura divisiva nel mondo palestinese: è infatti considerato più moderato rispetto ad altri leader palestinesi, cosa che a molti non piace.
Dopo tre giorni di accese discussioni, il Consiglio Centrale Palestinese ha ufficializzato la nomina di Hussein Al-Sheikh come successore designato di Abu Mazen alla guida dell’Autorità Palestinese. La sua nomina a vice presidente del Comitato Esecutivo dell’OLP rappresenta in qualche modo la continuità del movimento, ma dietro quest’apparente armonia si nascondono profonde tensioni politiche.
“Al-Sheikh è una delle figure più longeve nella scena politica palestinese,” afferma il Professor Michael Milshtein, direttore del Forum per gli Studi Palestinesi presso il Centro Moshe Dayan, in un’intervista a Makor Rishon. “Chiunque abbia seguito da vicino la questione palestinese negli ultimi quarant’anni, conosce molto bene il personaggio in questione”.
Specie negli ultimi dieci anni, Al-Sheikh ha ricoperto un ruolo centrale all’interno dell’OLP come braccio destro di Abu Mazen, anche se mai formalizzato dai vertici del movimento. Ora, con questa nomina improvvisa, il suo posto accanto al trono diventa ufficiale. Tuttavia, secondo Milshtein, non si tratta di una vera svolta rivoluzionaria.“L’equilibrio di potere resta immutato”, spiega l’esperto. “Al-Sheikh non ha ricevuto nuove prerogative sostanziali, se non un incremento del prestigio formale”.
Ecco, nonostante l’ascesa politica, Hussein Al-Sheikh non gode di un sostegno unanime dal mondo palestinese. All’interno di Fatah è considerato una figura divisiva, poiché in conflitto con altri leader storici del movimento. In particolare con Jibril Rajoub. Fuori da Fatah, la sua posizione è ancora più fragile: Hamas lo disprezza apertamente, definendolo “il rappresentante di Israele a Ramallah” o “il cagnolino che lecca gli stivali di Israele”.
Anche la sua immagine pubblica è macchiata da anni di accuse di corruzione e scandali personali. “Il suo nome è stato più volte associato a episodi di molestie e corruzioni,” rivela il Professor Milshtein. “I suoi figli, nonostante la loro giovane età, dirigono dei ministeri e pubblicano in rete delle fotografie con auto di lusso e in uffici sfarzosi. Non è un bel messaggio per la popolazione.”
In realtà, da un punto di vista giuridico, la legge palestinese prevede che il successore del Presidente dell’OLP sia il Presidente del Parlamento, ruolo attualmente occupato da Aziz Dweik – un esponente di Hamas. Tuttavia, vi è un dettaglio non trascurabile: il parlamento palestinese non si riunisce da vent’anni, il che rende di fatto la sua carica praticamente irrilevante. Nonostante ciò, in caso di successione, è molto probabile che l’ascesa di Al-Sheikh venga contestata. “Molti chiederanno delle nuove elezioni e Hussein dovrà affrontare questa nuova sfida politica,” spiega Milshtein.
Per quanto riguarda i suoi rapporti con Israele, Al-Sheikh è considerato più moderato rispetto ad altri leader palestinesi. “Ci sarebbero potuti essere scenari peggiori,” conferma l’esperto. “Se ad esempio Marwan Barghouti fosse stato eletto presidente dal carcere, sarebbe stato un segnale di escalation. Lo stesso Rajoub ha posizioni molto più militanti di Hussein”.
Al-Sheikh, infatti, ha costruito nel corso degli anni un rapporto stabile con Israele e gli Stati Uniti, soprattutto durante il suo lungo mandato come Ministro per gli Affari Civili dell’Autorità Palestinese. Tuttavia, l’esperto invita alla prudenza. “Israele non dovrebbe commettere l’errore di lodarlo pubblicamente o definirlo un alleato. Questo tipo di dichiarazioni rischierebbe di comprometterlo politicamente agli occhi del suo stesso popolo”, puntualizza il Professor Milshtein. “Nonostante alcune diatribe importanti, Al-Sheikh è visto in Israele come un interlocutore con cui si può dialogare”.
(Foto: husseinalsheikh.com)