Artisti israeliani esprimono ansie e angosce, ma anche luce e speranza nella mostra Or Gadol al porto di Jaffa

di Marina Gersony
C’è qualcosa di straordinario nel modo in cui gli artisti israeliani si sono uniti dopo gli spaventosi attacchi di Hamas del 7 ottobre nelle comunità di confine di Gaza. Come un rituale di guarigione, la mostra “Or Gadol” inaugurata il 7 dicembre al porto di Jaffa (fino al 23 dicembre), è emersa come una risposta creativa, offrendo un’espressione toccante della resilienza umana. Mentre il mondo osservava attonito, la mostra accoglie 98 opere d’arte di 75 artisti, da nomi noti a giovani creativi del sud, tutti uniti nell’affrontare l’indicibile. i proventi della mostra vanno agli sforzi di recupero, con particolare attenzione alle istituzioni culturali e artistiche del sud. (Info in calce all’articolo).

A cura di Tali Ben Sira e prodotta da Tamar Ordan, la mostra si concentra su dipinti, sculture e installazioni che fanno riferimento alla situazione attuale o anticipano e prevedono il presente o il futuro. Le opere mirano a esprimere la tensione tra ansia e compassione da un lato, resilienza, eroismo e la rinnovata creazione di vita e normalizzazione in Israele dopo gli attacchi, dall’altro.

Si tratta di artisti come Or Yogev, tra i più giovani, che ha elaborato immagini grafiche sugli ostaggi, in particolare la famiglia Bibas: l’immagine “The Twins” (nella foto in alto) che ha pubblicato sui social è diventata subito virale; oppure artisti come Ziva Jelin, curatrice della galleria Kibbutz Be’eri, che ha recuperato le sue tele dipinte sebbene fossero state danneggiate dagli uomini armati di Hamas; e ancora scultori come Sigalit Landau, che ha iniziato a scolpire una madre e un bambino avvolti l’uno nelle braccia dell’altro in mezzo a una pila di teschi.

Pittori, scultori e creativi, ognuno con il suo bagaglio di emotività e dolore. Le opere, appese sulle pareti dell’Hangar 2, tessono una narrazione che abbraccia il passato, il presente e il futuro, offrendo uno sguardo penetrante sugli eventi del 7 ottobre. Un mosaico di espressioni artistiche, tra cui diverse opere che hanno captato la tragedia prima che si materializzasse. In un’intervista con il Times of Israel, Ben Sira riflette sulla profonda connessione tra la sensibilità artistica e la capacità di percepire l’inaspettato. «Gli artisti sono persone molto sensibili, hanno sensori, possono sentire le cose prima che accadano», ha sottolineato, rivelando il loro ruolo profetico nel dare voce alle angosce collettive.

La mostra Or Gadol (foto: courtesy)

E a proposito di opere profetiche, colpisce la scultura di una tanica, creata da Aviv Atzili del Kibbutz Nir Oz, che inizialmente si presumeva fosse stato rapito a Gaza. Solo dopo si è scoperto che Atzili è stato ucciso il 7 ottobre mentre combatteva i terroristi come parte della squadra di emergenza Nir Oz. La sua opera “Recruited Artist” rappresenta ciò che poi è accaduto.

Tra le opere, spicca “Al Bureij” di Haran Kislev, un dipinto oscuro e minaccioso che raffigura lo skyline di Gaza da Be’eri. L’intento dell’artista, respinto dalle forze dell’esercito mentre cercava di dipingere quell’atmosfera pastorale, è stato quello di catturare l’ansia sottostante, o meglio, ciò che ribolliva sotto la superficie in una potente dissonanza tra normalità apparente e tragedia.

Efrat Hasson de Botton “Bring Them Home #2”

Il contributo di Ziva Jelin, con le sue tele perforate da proiettili e schegge, è una testimonianza vivente della devastazione causata dall’assalto terroristico. Le opere danneggiate, ora esposte come “profezie avveratesi”, sono un ricordo tangibile di quanto sia fragile la vita.

Un’opera di Neta Harari-Navon è stata realizzata nel 2009, in un festival musicale molto simile a Supernova, il rave nel deserto dove 360 ​​persone furono massacrate e dozzine rapite dai terroristi di Hamas. Il pezzo riecheggia quanto accaduto a Supernova, mostrando un campo con persone sparse, ferite, fasciate.

“The Girls” di Michal Mozes mostra due bambini che dormono pacificamente nel letto, un’immagine che ricorda agli spettatori il 7 ottobre, quando intere famiglie furono massacrate nei loro letti e nelle loro stanze sicure.

Colpiscono poi le opere di Efrat Hasson de Botton, una in particolare intitolata “Bring Them Home #2”, in cui si vede tatuata su un braccio la data 071023. Questa immagine evoca immediatamente la memoria degli eredi dei sopravvissuti all’Olocausto, che portano ancora impressi sugli avambracci i numeri dei campi di concentramento dei loro antenati.

Poco distante, c’è il capolavoro di arte digitale AI di Nadav Brill, una rivisitazione de “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer. Sorprendentemente, la pelle perfetta del soggetto è deturpata e ferita, un tocco audace che cattura l’attenzione dello spettatore. Un altro tributo  arriva da Reut Asimini con il suo disegno intitolato “This Is Not a Hat”, un chiaro richiamo a Il Piccolo Principe. L’immagine mostra una madre accovacciata in atteggiamento protettivo su un bambino, simboleggiando la salvaguardia contro razzi o attentatori.

L’opera di Nadav Brill

Nel cuore della galleria, spicca l’installazione di Martha Rieger intitolata “The Road We Take Is Long and Winding”, un percorso composto da piccoli piatti bianchi di porcellana dipinti con immagini azzurre che richiamano la bandiera israeliana. Con questa rappresentazione Rieger evidenzia la fragilità della vita, dimostrando che dai frammenti può emergere un nuovo percorso. Non mancano opere che portano speranza, come i fiori in fiore nell’opera “Blooming” di Carmel Ilan e gli “Anemones Spam” di Keren Spilsher.

La seconda sezione della galleria presenta infine una parete dedicata a “Home Hope”, un’opera di due artisti di strada, Boaz Untay e Guy Pitchon. La rosa a gambo lungo di Pitchon richiama la cultura dei tatuaggi in Israele, dove tatuarsi con una rosa è un segno di aver superato una sfida significativa.

L’arte, più che mai in questo frangente, ricopre un ruolo centrale nell’elaborazione di un trauma molto profondo offrendo un ruolo terapeutico molto importante. La mostra Or Gadol, con la sua tavolozza di emozioni e significati, è molto più di un’esposizione artistica. È un atto di resistenza, un’illuminazione nel buio, una testimonianza di speranza nel caos. Al porto di Jaffa, tra le opere d’arte che narrano la storia del 7 ottobre, sorge un monito eloquente sulla forza della creatività anche nei momenti più bui.

 

INFO “Or Gadol”, dal 7 al 23 dicembre, da domenica a giovedì, 16-21, venerdì, 10-15, sabato, 12-21. È possibile acquistare le opere online. info@or-gadol.org.il. I proventi della mostra vanno agli sforzi di recupero, con particolare attenzione alle istituzioni culturali e artistiche del sud.