Piero terracina, sopravvissuto alla Shoah

Addio a Piero Terracina, instancabile testimone della Shoah

di Redazione
È morto il 7 dicembre a Roma a 91 anni Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti italiani alla Shoah, lucido e prezioso testimone della vita nel campo di Fossoli e poi di Auschwitz, dove fu deportato a soli 15 anni con la sua famiglia e da dove tornò solo, unico reduce.

Nato a Roma il 12 novembre 1928, Terracina aveva due fratelli (Leo e Cesare) e una sorella (Anna), mai tornati dalla Germania. La sua famiglia viveva in piazza Ippolito Nievo, a Trastevere, e riuscì a scampare ai raid delle SS, vivendo in clandestinità dal 12 ottobre del 1943 fino a quando fu deportata. “Fummo traditi per 5000 lire a persona da un ragazzo fascista che tra l’altro corteggiava mia sorella. 8 persone totale 40.000 lire: a quei tempi era una bella cifra – raccontò – Vennero 7 SS in pieno assetto di guerra, urlando cose incomprensibili. Eravamo tutti insieme per festeggiare la pasqua ebraica”. Piero, allora 15enne, viene portato da quattro persone in borghese a Regina Coeli con la sua famiglia, quindi nel campo di Fossoli a Carpi, vicino Modena, e poi, dopo un mese, ad Auschwitz.

Dopo la Liberazione il ritorno alla vita, ma anche lo scontro con l’indifferenza. “Al mio ritorno a Roma da Auschwitz, solo e disperato, trovai indifferenza. L’indifferenza delle persone e delle istituzioni. Una indifferenza che ancora pesa sul nostro paese”.

Molte le voci di cordoglio per la sua morte. “Testimone instancabile della memoria della Shoah”, così lo ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella esprimendo “Ai suoi familiari e alla comunità ebraica di Roma sentimenti di vicinanza e di cordoglio”. “Un faro in tempi odio e negazionismo” per la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni che scrive: “Caro Piero, prendere commiato da te, dalla tua vita, dal tuo sorriso e dalla tua voce è straziante. Sei stato un gigante, un uomo formidabile capace di gettare il cuore oltre ogni ostacolo. (…) Continueremo in questo tuo cammino ad esigere verità e dignità per ogni essere che tu abbracciavi con la tua fede”.

“La Comunità Ebraica di Roma piange la scomparsa di un baluardo della Memoria – scrive Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma – Piero Terracina ha rappresentato il coraggio di voler ricordare, superando il dolore della sua famiglia sterminata e di quanto visto e subito nell’inferno di Auschwitz, affinché tutti conoscessero l’orrore dei campi di sterminio nazisti. Oggi piangiamo un grande uomo e il nostro dolore dovrà trasformarsi in forza di volontà per non permettere ai negazionisti di far risorgere l’odio antisemita”.  Lo ricorda su Twitter, citando Primo Levi, anche il presidente del Consiglio Guiseppe Conte.

Si unisce al dolore anche la direzione della Fondazione Cdec di Milano, che in una nota scrive: “Ci ha lasciati Piero Terracina. Un grande amico, voce e testimone della deportazione da Roma e dell’inferno di Auschwitz. Ha contribuito al primo e più importante film/documento sulla memoria italiana della Shoah. Instancabile nel suo confronto con le giovani generazioni. Grazie Piero per la tua tenacia, per il coraggio, per la forza. Continueremo a lavorare nella direzione che ci hai indicato”.

La sua testimonianza

Qui uno stralcio della sua testimonianza.

“Ero un ragazzo felice, l’ultimo di una famiglia di otto persone, protetto dall’affetto di tutti.
Tre giorni prima avevo compiuto 10 anni, il 15 novembre 1938 come tutti gli altri giorni entrai in classe e mi diressi verso il mio banco ed ebbi la sensazione che i miei compagni mi osservassero in modo insolito. L’insegnante fece l’appello ma non chiamò il mio nome; soltanto alla fine mi disse che dovevo uscire e alla mia domanda: ‘Perché? Cosa ho fatto?’ Mi rispose : ‘Perché sei ebreo.
Mi sentii smarrito, provavo rabbia e mi rendevo conto che stavo subendo una terribile ingiustizia.
E poi gli amici. Erano tutti lì in quella classe. Avrei potuto averli ancora come amici? No, non fu possibile. Non è mai arrivata una telefonata di un genitore per avere notizie. Tutti spariti. Ci sarà pure stato qualcuno che non era fascista, eppure nessuno ha mai mostrato indignazione per quello che stava accadendo ma neppure solidarietà. Evidentemente era una cosa che non riguardava la gente,ma riguardava gli altri e gli altri eravamo noi Ebrei.Passai subito alla scuola ebraica che era stata organizzata in tutta fretta per accogliere quel gran numero di ragazzi cacciati dalle scuole di ogni ordine e grado (anche non governativa, recitava la legge). Non fu certo difficile formare un corpo insegnante molto valido per il fatto che tutti i docenti ebrei dalle elementari all’università avevano dovuto abbandonare anch’essi la scuole pubbliche e si erano improvvisamente trovati senza lavoro.
Ho un ricordo molto bello dei miei insegnanti e in particolare del preside, il professor Cimino, un giovane professore non ebreo che era stato nominato dal Ministero. Entrava spesso nelle classi e ci incitava a studiare perché, diceva, voi e soltanto voi dovete e potete dimostrare che, malgrado quello che vogliono far credere non siete inferiori agli altri giovani della vostra età e queste parole erano per noi uno stimolo molto importante.Ma quella scuola funzionò soltanto fino all’anno scolastico 1942/44. Poi con l’ 8 settembre e l’occupazione tedesca ci fu il precipitare degli eventi: la fuga dalle nostre case braccati dai fascisti, la consegna, me e i miei familiari insieme a migliaia di nostri correligionari, ai loro alleati tedeschi per essere portati a morire per gas nei lager dell’est e per essere dati alle fiamme nei forni crematori.
Fummo traditi per 5000 lire a persona da un ragazzo fascista che tra l’altro corteggiava mia sorella. 8 persone totale 40.000 lire. A quei tempi era una bella cifra. Vennero 7 SS in pieno assetto di guerra, urlando cose incomprensibili. Eravamo tutti insieme per festeggiare la pasqua ebraica.La cosa più grave è l’indifferenza che ha visto negli altri, i che non fecero caso a questi treni merce riempiti all’ inverosimile, dove uomini donne e bambini furono rinchiusi sette giorni, senz’acqua in mezzo ai loro escrementi. Nelle stazioni nessuno che li degnasse di un solo sguardo, anche distratto.Tutto nella indifferenza.. Nessuno fece nulla.
Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo, ci picchiarono, ci divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratelli, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì alla maniera ebraica, mi abbracciò e disse “andate”.
Non l’ho più rivista.
Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno. Si girava, mi guardava, salutava, alzava il braccio. Noi arrivammo alla “sauna”, ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di matricola. “Dove sono i miei genitori?”, chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: “Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì”.
Non vi racconto le altre sofferenze perché secondo me, esiste un limite alla credibilità dell’orrore.
Quando siamo stati liberati avevo 17 anni, pesavo 38 chili”.