di Redazione
Corrado Israel De Benedetti è mancato nel suo Kibbutz, Ruchama, il 2 agosto, all’età di 95 anni. Nato a Ferrara nel 1927, nel novembre 1949, dopo le traversie della guerra e dell’occupazione nazista, scelse l’alyà in Israele, alla quale si era addestrato nel movimento pionieristico Hechaluz, e con i compagni si stabilì nel kibbuz di Ruchama nel Neghev settentrionale (che era stato fondato da ebrei russi nel 1911) dove ha speso tutta la sua lunga e straordinaria esistenza.
Nel 2013 aveva ricevuto l’onorificenza Stella al Merito del Lavoro rilasciata dal Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano.
Ha raccontato le sue scelte, i suoi amori, la sua passione per Israele e il sionismo, in diversi libri: I sogni non passano in eredità (Giuntina, 2001) nato per chiarire “a chi l’ha scritto e a chi lo vorrà leggere il succedersi dei cambiamenti nella vita di un kibbuz, che hanno portato questo modello di vita comunitaria a un graduale rigetto dei valori socialisti su cui si fondava. Cause ed effetti del processo tuttora in corso si possono intravedere seguendo le vicende di un membro del kibbuz, uno tra le decine di migliaia che scelsero di vivere questa esperienza straordinaria”; Anni di rabbia e di speranze, 1938-1949 (Giuntina, 2003) dove, dalla scuola ebraica di via Vignatagliata alla strage del 15 novembre 1943, dalla fuga in Romagna al ritorno a casa si snoda la storia di un ragazzo ebreo ferrarese negli anni bui delle persecuzioni, della guerra, del terrore. Ma con il ritorno a Ferrara comincia un’altra avventura: l’affermazione della propria identità ebraica, la militanza nel movimento sionista, la preparazione per l’emigrazione in Israele, alla ricerca di una nuova vita e di nuove speranze; Racconti di Israele (Le Château Edizioni, 2011) e Un amore impossibile nella bufera (Claudiana, 2013) del quale disse “Sul mio romanzo è stato detto che non ci sono tre protagonisti, ma è la Storia che è la protagonista; ed è quello che ho cercato di dire, perché l’atmosfera che si respirava a Ferrara nell’estate del ’38, quando eravamo giovani noi, cambiò radicalmente nel settembre con le Leggi razziali e ancora di più nel luglio del ’40, quando l’Italia entrò in guerra. La mia generazione ha dovuto chiudere il cassetto dei sogni cercando di rimanere con la testa fuori dall’acqua”. E ancora: “È come se avessimo un’idea molto chiara della vita; ci siamo sposati giovani, abbiamo scelto la nostra vita da giovani e la vita stessa è iniziata da subito. Uno dei meriti, forse l’unico, che ho ricevuto dalla Storia è stato quello di dover scegliere la strada che volevo percorrere”. E la strada è stata quella dell’alyià, del kibbuz.
Corrado Israel De Benedetti era nato a Ferrara nel 1927, da una famiglia della media borghesia ebraica ferrarese. Il padre, ufficiale di carriera del Regio Esercito Italiano, ne fu espulso in seguito alle leggi razziali. Negli anni della Repubblica Sociale Italiana la famiglia si nasconde sotto falso nome in Romagna, per evitare la deportazione. Dopo la Liberazione De Benedetti si iscrive all’Università di Ferrara. Contemporaneamente entra nel movimento Hechaluz che organizza giovani ebrei per emigrare in Palestina. È in questa prospettiva che nel 1947, lascia Ferrara e la famiglia per recarsi con un gruppo di compagni nella fattoria di S. Marco (Pontedera) e prepararsi alla vita di kibbuz. Per due anni è membro della direzione del movimento Hechaluz e redattore dell’omonimo quindicinale che si stampa a Pisa. Nel novembre 1949 “sale” in Israele e con i compagni raggiunge il kibbuz di Ruchama nel Neghev settentrionale. In kibbuz ha ricoperto l’incarico di direttore d’azienda e successivamente di segretario. Ha fatto parte della direzione economica del movimento kibbuzistico; più volte è stato inviato in Italia a rappresentare sia il movimento giovanile sia l’Organizzazione Sionistica Mondiale. È stato membro della direzione del Partito Merez, della sinistra israeliana.