Sosùa: una storia di speranza nei Caraibi

Mondo

di Marco Restelli

Sosùa è una tranquilla cittadina adagiata sulla costa settentrionale della Repubblica Dominicana, a 27 chilometri dal capoluogo della regione, Puerto Plata. Come altri centri di quest’isola caraibica, Sosùa vive soprattutto di turismo, grazie alla sua posizione fra spiagge bagnate dall’Atlantico e verdi colline. Ma ben pochi dei vacanzieri che giungono a Sosùa conoscono la storia della cittadina e tantomeno quando, come e perché essa fu fondata. A testimoniare quella storia restano oggi una piccola Sinagoga e soprattutto un Museo Judìo pieno di fotografie in bianco e nero di pionieri ebrei. È una storia di speranza e di coraggio, che inizia in Europa negli anni Trenta del secolo scorso.

Il mondo dell’epoca si presentava diviso in due parti: i Paesi che espellevano gli ebrei e i Paesi che si rifiutavano di accoglierli (o che lo facevano “col contagocce”). In tale contesto nel luglio 1938 il presidente americano Roosvelt convocò nella cittadina francese di Evian les Bains una Conferenza internazionale a cui parteciparono, oltre agli Usa, l’Australia, numerose nazioni europee e alcune latinoamericane. Tema della Conferenza: «L’organizzazione dell’emigrazione e del reinsediamento dei rifugiati politici e delle persone perseguitate per ragioni razziali o religiose». La Conferenza di Evian (alla quale peraltro le organizzazioni dei perseguitati furono ammesse tardivamente e solo in qualità di osservatrici) si concluse con tante belle dichiarazioni di principio, nessuna condanna verso la Germania nazista e quasi nessun risultato concreto. Pochissimi furono i Paesi che si mostrarono pronti a favorire l’emigrazione e il reinsediamento dei perseguitati; fra quei pochissimi ci fu la Repubblica Dominicana, che si dichiarò pronta ad accogliere centomila persone.

Una storia

Due organizzazioni ebraiche americane si adoperarano allora per creare un organismo che si occupasse di risolvere i problemi concreti del trasferimento dei profughi nella Repubblica Dominicana. Quell’organismo fu chiamato “Dorsa”: Dominican Republic Settlement Association. La Dorsa negoziò con il governo dominicano un Accordo che fu poi ratificato dal Parlamento. Nell’Accordo la Repubblica Dominicana garantiva ai profughi sostanzialmente tre cose: 1) rapide procedure d’immigrazione;  2) libertà e pari diritti in ogni campo della vita civile; 3) esenzione dalle tasse per i residenti. Da parte sua invece la Dorsa si fece carico di tre questioni: 1) la scelta delle persone da far migrare; 2) il costo del loro trasferimento; 3) l’acquisto della terra necessaria al reinsediamento.

La scelta della nuova terra per i profughi cadde su una regione quasi disabitata sulla costa atlantica della Repubblica Dominicana. Così nel 1940 con l’arrivo dei primi pionieri ebrei – quasi tutti tedeschi e austriaci – nacque la cittadina di Sosùa. Purtroppo però gli enormi problemi politici e burocratici opposti all’emigrazione ebraica sia dai Paesi di origine sia dai Paesi di transito produssero un risultato limitato: nel 1942 vivevano a Sosùa poco meno di 600 ebrei. Bisogna ricordare però che nello stesso periodo la Repubblica Dominicana aveva rilasciato a profughi ebrei più di 5.000 visti. Perciò, anche se la maggior parte di quei profughi non rimase e scelse di trasferirsi altrove, quei visti salvarono 5.000 vite.

Le navi dei profughi arrivarono a Sosùa dalla Germania in piccole ondate successive; l’ultima ondata arrivò dopo la guerra, nel 1947, ma era costituita da ebrei della comunità di Shanghai. L’età media degli abitanti di Sosùa era di 25 anni. L’ispirazione prevalente era quella socialista: i coloni iniziarono quindi basandosi sul modello dei kibbutzim e lo abbandonarono solo più tardi per dare vita a imprese industriali nel ramo caseario e in quello della carne, imprese che costituiscono tutt’oggi una voce importante nell’economia della città.

All’epoca della sua fondazione però Sosùa non era collegata al territorio da nessuna strada asfaltata, e così rimase fino al 1980. Per decenni quindi i coloni vissero in una sorta di enclave tropicale semi-isolato dal mondo. Con coraggio presero a costruire case, una scuola, un ospedale, una sinagoga, una biblioteca, un teatro, una banca, e poi fondarono un giornale. Sosùa attirò altri abitanti dal circondario, e divenne una cittadina. Oggi nelle vicinanze sorge un aeroporto da cui sbarcano migliaia di turisti ignari della storia della città. La comunità di Sosùa conta ormai poche decine di persone, guidate dal signor Herman Strauss; tanti giovani hanno fatto l’alyà, tanti altri si sono trasferiti negli Usa. La memoria dei fondatori ebrei della città rimane però nei nomi di alcune strade del centro, e nel nome della più vecchia scuola, oggi intitolata al suo primo preside.

Questa storia io l’ho letto nei volti di quei venticinquenni che continuano a sorridere dalle fotografie in bianco e nero, appese nel Museo Judìo di Sosùa. E così, ho pensato di condividerla con voi.

Per informazioni: museojudiososua@gmail.com