Peres: la vittoria di Rowhani è la voce dell’Iran che chiede il cambiamento

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Il presidente Shimon Peres si è congratulato ieri, domenica 16 giugno, con il popolo iraniano per l’elezione del moderato Hasan Rowhani a nuovo presidente del paese, mettendo così fino al lungo governo di Mahmoud Ahmadinejad. Per Peres il risultato ottenuto da Rowhani è l’espressione del forte desiderio di cambiamento diffuso per le strade dell’Iran.

In una intervista rilasciata all’Associated Press e alla Reuters, Peres ha salutato l’esito del voto iraniano come un colpo inferto al capo supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, il quale era “sicuro, ha detto Peres, che la gente avrebbe votato secondo le sue indicazioni”.

Quella che è emersa, ha aggiunto Shimon Peres è chiaramente la voce del popolo, una voce che dice: “Non siamo d’accordo con questo gruppo di leader”.

Peres tuttavia è stato anche cauto nel giudizio sul nuovo presidente ricordando che, pur moderato, Rowhani è stato comunque capo del gruppo negoziale iraniano sul nucleare, e che dunque un giudizio su di lui lo si potrà dare solo in futuro alla luce di quelle che saranno le sue azioni concrete.

Meno ottimista è parso invece il premier israeliano Benjamin Netanyahu che dubita che le cose in Iran possano effettivamente cambiare sotto la premiership di Rowhani.

“Cerchiamo di non illuderci,” ha detto Netanyahu durante la riunione di gabinetto settimanale. “La comunità internazionale non deve farsi prendere troppo dai complimenti ed essere tentata dall’allentare la pressione sull’Iran. Non si può dimenticare, ha aggiunto, che il vero capo dell’Iran rimane l’ayatollah Khameney  e che questi ha preliminarmente escluso dal voto tutti quei candidati che non rispondevano e non riconoscevano la sua linea estremista.” Quel che si può dire è che, fra i candidati “ammessi” da Khameney ha vinto quello che la gente ha percepito come meno coinvolto e identificabile con il regime. Ciò non toglie, ha ricordato Netanyahu che solo un anno, proprio Rowhani non esitava a definire lo Stato di Israele “il grande Satana sionista”.

Oltre a ciò, ha detto Netanyahu, non si può ignorare il fatto che chi decide veramente sulla politica nucleare non è il presidente bensì l’ayatollah.
“Quanto più aumenterà la pressione sull’Iran, maggiore sarà la possibilità di fermare il suo programma nucleare, che rimane la più grande minaccia alla pace nel mondo”, ha osservato Netanyahu. “L’Iran sarà giudicato dalle sue azioni e se continuerà ad insistere sullo sviluppo del suo programma nucleare, la risposta dovrà essere molto chiara; bisognerà bloccare il programma nucleare con qualsiasi mezzo “.

Anche su questo punto Shimon Peres appare più ottimista del premier israeliano. “A mio modo di vedere, più della metà degli iraniani a proprio modo ha protestato contro una leadership impossibile”, ha detto Peres. “Ahmadinejad ha speso centinaia di miliardi di dollari per costruire un idolo di uranio. Per che cosa? Ha messo la sua gente in ginocchio. L’economia è distrutta. I bambini non hanno cibo a sufficienza. I giovani stanno lasciando il paese. L’Iran è diventato un centro di terrore, le persone vengono arrestate, impiccate per le strade. Tutto questo per che cosa?” ha concluso Peres.

D’accordo con Peres, anche l’ex capo del Mossad Efraim Halevy che, subito dopo la notizia dell’elezione di Rowhani ha dichiarato a Radio Israel che si è trattato della più grande sconfitta subita da Khamenei da quando è salito al potere, attribuendo l’esito del voto alla “rabbia e frustrazione” sentita dalla popolazione iraniana a causa delle pesanti sanzioni applicate all’Iran dall’Occidente nel tentativo di frenare lo sviluppo del programma nucleare voluto dal governo di Teheran.