Nuovo atteggiamento: i palestinesi non sono più i beniamini d’Eu

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Era appena un trafiletto sui nostri giornali, eppure la notizia merita di essere ripresa. Anche per le implicazioni che può avere per noi, che viviamo sotto la cappa di una informazione “scorretta”.

Un sondaggio condotto da un celebre esperto in materia, Stanley Greenberg, sul Jerusalem Post del 4 giugno, ha prodotto risultati inaspettati e sorprendenti: i palestinesi stanno rapidamente perdendo il posto d’onore che occupavano come prediletti nelle élite d’opinione europee, soprattutto in Francia.

Potrebbe essere troppo presto per festeggiare la fine di quella che abbiamo vissuto come mancanza di simpatia, se non aperta ostilità, da parte dell’Europa verso lo Stato ebraico. La nostra esperienza di cittadini in tutte le democrazie ci ha insegnato a non fidarci ciecamente dei sondaggi d’opinione, ma è altrettanto vero che non bisogna liquidare tout court questo risultato che si potrebbe dimostrare una svolta cruciale.
Quanto rilevato da Greenberg potrebbe essere estremamente significativo per Israele. Nei quasi quarant’anni dalla Guerra dei Sei Giorni, gli israeliani hanno percepito con sempre maggiore disagio l’aperto e aspro pregiudizio di molti paesi d’Europa: l’Europa era diventata una “causa persa”, per cui fin dall’inizio non c’era speranza. Spesso Israele era valutato con standard mai applicati a nessun altro paese e condannato a priori indipendentemente da quello che faceva o da quello che aveva subito.

L’arroganza e il malanimo europei sembravano talvolta così immutabili e radicati che in Israele e nel mondo ebraico l’opinione generale era che fare appello alla ragione e alla decenza era solo fiato sprecato.

Questo senza dubbio può essere stato un errore, anche se comprensibile. Ma un paese coinvolto in una lotta per l’esistenza non può rinunciare a combattere in nessuna sede diplomatica, non importa quanto ostile. Ma se era sbagliato abbandonare la battaglia per il consenso europeo e arrendersi alla demagogia araba quando questa sembrava avere il sopravvento, allora questo è tanto più imperdonabile ora che si intravede una pur minima possibilità di un cambio di mentalità in Europa.

Se è prematuro celebrare la fine della supremazia palestinese nei cuori e nella mente degli europei, quello che conferisce particolare credito ai risultati di Greenberg è soprattutto quello che non dicono: la simpatia per Israele non è aumentata significativamente, bensì è crollata drammaticamente quella per i palestinesi. E quello che colpisce in questo spostamento è il fatto che questo giro di boa non è stato pilotato dai media, che rimangono anzi sempre schierati contro Israele per cui l’opinione pubblica non ne è stata influenzata in alcun modo.

Il cambiamento, comunque lo si valuti, deve piuttosto aver avuto origine dalla personale esperienza dei cittadini europei e non da quello che viene loro dato in pasto. Non c’è stato alcun lifting per l’immagine di Israele. La minaccia islamista in Europa, gli eventi terroristici, il crescere di quello che è stato soprannominato Eurabia, sono tutti fattori che non sono passati senza lasciar traccia: e hanno colpito gli europei abbastanza profondamente da farli cominciare a ricredersi sulla percezione di Israele come aggressore imperialista e dei palestinesi come eroici combattenti per la libertà.

Il mutato atteggiamento verso i palestinesi quindi non deriva tanto da una maggiore considerazione per Israele quanto da conclusioni di prima mano su cose capitate sul proprio terreno di casa.

Il sondaggio di Greenberg può solo incoraggiare a confidare che qualche novità sia davvero in vista.
E Israele non dovrebbe pessimisticamente minimizzare quanto invece andrebbe visto come una nuova opportunità.