di Anna Lesnevskaya
La vita è in sospeso a Kherson, la città portuale di 250mila abitanti al sud dell’Ucraina che è stata la prima a cadere in mano all’esercito russo mercoledì, anche se la bandiera ucraina continua a sventolare sopra il capoluogo regionale. Dalla città occupata il rabbino Yossef Itzhak Wolff parla a Mosaico e dice che nella città mancano il cibo e le medicine, mentre gli aiuti non arrivano. A Kherson sono rimaste circa 1000 famiglie ebraiche rintanate nelle proprie case e attualmente l’evacuazione non è possibile. Dopo i combattimenti dei giorni scorsi la città è calma, mentre il rabbino grazie alle donazioni spera di poter procurare generi alimentari per la sua comunità.
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A Mariupol la priorità è evacuare le persone con corridoi umanitari
La situazione davvero critica è nel porto strategico di Mariupol il controllo del quale permetterebbe alle forze delle repubbliche separatiste del Donbass di ricongiungersi con l’esercito russo in Crimea. La città di 400mila abitanti è assediata, sotto continuo bombardamento, con acqua, luce e comunicazione saltati da giorni. Il rabbino capo di Mariupol Aharon Menachem Mendel Cohen da Israele cerca di aiutare la sua comunità di 3mila persone. “Ieri per miracolo abbiamo potuto distribuire presso la Sinagoga vecchia le provviste che siamo riusciti a comprare”, racconta a Mosaico, “Stiamo cercando di metterci d’accordo con dei depositi alimentari, ma siamo già andati lì due volte senza riuscire a ritirare nulla. I negozi e anche le farmacie sono svuotati”. È stata lanciata una campagna di raccolta fondi per aiutare la comunità di Mariupol.
Per rav Cohen la priorità, in questo momento, è un corridoio umanitario per evacuare le persone. Se ne è parlato al secondo round dei negoziati tra Mosca e Kiev tenuto giovedì, ma finora senza risultati concreti. Al momento lasciare la città è molto pericoloso e vuol dire rischiare la vita, ribadisce il rabbino. A causa dei bombardamenti incessanti dei quartieri residenziali ci sono feriti anche nella comunità, mentre Rav Cohen riceve ogni giorno da tutto il mondo richieste di avere notizie sui propri cari.
È dal 2014 che Mariupol, situata a qualche decina di chilometri dalla linea di demarcazione con le repubbliche autoproclamate del Donbass, è abituata ai rumori della guerra, ma la situazione che sta vivendo in queste ore è senza precedenti. La comunità locale aveva accolto otto anni fa diversi rifugiati da Donetsk e Lugansk che ora stanno vivendo per la seconda volta il terrore del conflitto armato. Era già tutto pronto per la celebrazione di Pesach, ma ora l’unica preoccupazione è che i membri della comunità rimangano vivi, racconta rav Cohen, da 17 anni a Mariupol, che spera di tornare nella città per continuare il suo lavoro.
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