Nella mente dei terroristi: giornalista francese si finge membro dell’Isis

Mondo

di Roberto Zadik

Demonstrators chant in support of the group known as the Islamic State of Iraq and Syria as they wave the group's flag in front of the provincial government headquarters in Mosul, Iraq, on Monday, after the Sunni militants captured Tal Afar, another northern Iraqi town.

Spesso e volentieri viene da chiedersi cosa si nasconda nella mente dei terroristi, cosa li spinga a compiere gesti tanto atroci e insensati a danno di civili inermi e quali siano i retroscena e i movimenti segreti dell’Isis che sta terrorizzando il mondo intero. Con questi interrogativi, il sito Times of Israel, fa sapere che un giornalista francese si sarebbe infiltrato in una cellula dell’Isis. Il reporter fingendosi coraggiosamente come uno dei terroristi, li avrebbe  filmati con una telecamera nascosta mentre stavano complottando un attacco in nome dello Stato Islamico. Successivamente, grazie a questo, i terroristi sono stati arrestati.

Ma come ha fatto questo audace cronista a entrare nelle oscure maglie dell’Isis? E per quale motivo ha deciso di spingersi in questa impresa? Il giornalista, sempre secondo il sito, avrebbe cambiato nome e utilizzando lo pseudonimo di Said Ramzi ha cominciato la sua investigazione per il documentario “I soldati di Allah”, un accurato reportage giornalistico nelle menti dei terroristi che verrà trasmesso sulla tv francese in questi giorni. Ramzi si descrive, nel filmato, come un musulmano “della stessa generazione degli assassini che hanno provocato la strage del Bataclan a Parigi, lo scorso 13 novembre, che ha ucciso 130 persone”.

In un’intervista, il giornalista che preferisce occultare il suo vero nome, ha rivelato di aver realizzato questo documentario perché “il mio obbiettivo era capire cosa si scatenasse nelle menti di questi terroristi”. “Uno degli elementi principali” ha proseguito “è che non ho visto nessun messaggio attinente all’Islam, nessuna volontà di migliorare il mondo. Solo una massa di giovani frustrati e suicidi, facilmente manipolabili dalla propaganda”. Nella sua interessante testimonianza, il giornalista ha specificato che “questi ragazzi hanno avuto la sfortuna di essere nati nell’epoca in cui esiste lo Stato Islamico. Sono persone alla ricerca di qualcosa e questo è quello che hanno trovato”.

Ma come ha fatto, Ramzi ad arrivare alla cellula islamica in cui poi si è infiltrato per il suo video? “E’ stato molto facile contattare l’organizzazione terroristica, seguendo le pagine Facebook dei predicatori jihadisti -ha raccontato l’uomo -. Così ho incontrato una persona che si presentava come “emiro” di un gruppo di una dozzina di giovani, alcuni musulmani e altri convertiti all’Islam. Questo meeting è avvenuto nella cittadina di Chartroux, in una struttura che di inverno è deserta”. Il famigerato “emiro” è un cittadino francese di origine turca che si chiama Oussama e durante l’incontro egli ha cercato di convincere il giornalista che il paradiso lo attende se porterà a termine la sua missione suicida. Oussama, con un sorriso smagliante sul volto ha affermato “oltre al Paradiso, c’è il cammino. Vieni fratello, vai in paradiso, le nostre donne ci stanno aspettando lì con angeli e servi. Avrai un palazzo, un cavallo alato d’oro e rubino”.

Durante un altro incontro, davanti a una moschea nei sobborghi parigini, un membro del gruppo ha parlato di un aereo che si trova nell’aeroporto nelle vicinanze della cittadina Bouget. “Con un breve lancio di razzi puoi facilmente colpire questi mezzi” ha detto con aria minacciosa “fai qualcosa del genere nel nome di Dawla (Stato Islamico) e la Francia sarà traumatizzata per un secolo”. Alcuni della gang criminale come Oussama hanno cercato e raggiunto il gruppo dello Stato Islamico in Siria. L’uomo è già stato arrestato dalla polizia turca e riportato in Francia dove ha scontato solamente cinque mesi di reclusione prima di essere scarcerato.  Durante gli interrogatori della polizia, Oussama continuava nei suoi propositi terroristici tenendosi in contatto coi gruppi terroristici via messaggio sul cellulare e pianificando attacchi successivi. “Dobbiamo colpire una base militare” ha detto Osama “mentre stanno mangiando e sono tutti assieme, entriamo col mitra e li spariamo”, ha detto mimando il suono “ta-ta-ta” di un’arma da fuoco automatica.  “Dobbiamo agire nello stesso modo dell’attacco alla sede del giornale Charlie Hebdo. Dovete colpirli al cuore e di sorpresa, quando non sono protetti e non si possono difendere. Migliaia di francesi devono morire”.

La situazione è precipitata quando un certo Abu Suleiman è tornato da Raqqa, la capitale siriana del’Isis e ha detto al giornalista di incontrarlo alla stazione ferroviaria. Una volta giunto alla stazione, Ramzi non ha trovato alcun Suleiman, che il giornalista non ha mai incontrato, ma una donna coperta col velo che gli ha consegnato una lettera. Il messaggio trattava di un attacco ben preciso: una discoteca in cui sparare fino alla morte di tutti quanti. Successivamente, grazie al lavoro del giornalista e al suo filmato, la sicurezza ha concentrato la sua attenzione sull’organizzazione di Oussama e diversi membri del gruppo sono stati arrestati. Uno di loro è sfuggito ai controlli e ha inviato un messaggio al giornalista “la pagherai”. “Fu in quel momento che la mia missione si concluse” ha detto Ramzi.