Mahmud Zahar

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La diplomaziona palestinese ha un nuovo protagonista. Ecco alcuni passi di una recente intervista rilasciata dal ministro degli Esteri palestinese Mahmud Zahar a The Times, che riprende e definisce temi della lettera inviata giorni fa al Segretario generale dell’Onu. Il punto centrale dell’intervista è la questione del riconoscimento di Israele da parte di Hamas, da sottoporre a eventuale referendum popolare. Che il ministro tuttavia subordina a gran quantità di se e di ma.

Il testo è utile per conoscere meglio le posizioni della nuova dirigenza palestinese, ma anche per ricavarne un ritratto di chi attualmente rappresenta i palestinesi che vivono in Cisgiordania.

Dopo aver parlato delle immediate priorità (economiche) e dei modi per risolverle, del non isolamento internazionale di Hamas rispetto all’occidente, si entra nel merito del problema.


Con l’esito delle elezioni israeliane, prevede qualche cambiamento nell’atteggiamento di Israele?

Israele non è pronto a rispondere a importanti domande sulla questione palestinese. Non sono pronti a definire i confini. E se sono loro a decidere i loro confini ciò è inaccettabile per noi, perché che ne sarà delle Alture del Golan, del confine col Libano, Gerusalemme?
Poi c’è la questione dei profughi, cinque milioni che vivono in esilio lontano dalla società palestinese. Problemi difficili, che nessuno in Israele è in grado di risolvere in modo pragmatico.

Vi dite pronti a discutere coi membri del Quartetto, ma essi parlano di una soluzione a due-Stati. Di cosa siete pronti a discutere con loro?
Parliamo di cosa significa questo tipo di soluzione. Chiederemo loro che cosa intendono per due Stati e su quale base si fonda la soluzione due-Stati.
Questa è la domanda base e in seguito ne discuteremo in seno al governo. Ne discuteremo col nostro presidente. Ne discuteremo nel consiglio legislativo, e dopo si potrà sentire cosa ne pensa in generale il nostro popolo.
Questa è la terra del popolo, non del governo, e allora come si può convincere il popolo a denunciare o rinunciare o accettare queste intese? Perciò ora non abbiamo una risposta definitiva. Aspettiamo e valuteremo.
L’amministrazione precedente ha accettato i confini del 1967 e cosa è successo? Hanno confiscato le zone attorno a Gerusalemme, si è costruito un infame muro, è aumentata la discriminazione razziale. Loro parlano di ritiro unilaterale, di confisca dell’area di Al Ghor (Valle del Giordano) …. Allora che senso ha discutere? A molte di queste domande dovrebbe essere l’altra parte a rispondere: non il Quartetto soltanto, ma anche gli israeliani e l’America.
Lei e gli americani e gli europei ci fate una domanda immaginaria: accetterete o no la soluzione di due Stati? Non si può stare qui comodamente seduti a discutere di sì o di no. Quale è il vero elemento costitutivo della pace, l’elemento sostanziale in questo tipo di soluzione?

Lei sta dicendo che non la esclude, ma che occorre consultarvi con il popolo palestinese?
E voi che procedure amministrative adottate nel vostro paese? Il vostro paese può decidere su un fatto di interesse nazionale senza consultare il popolo che è il vero padrone della terra palestinese?

Potreste indire un referendum?
OK, OK ma cosa si deve decidere, che cosa viene offerto?

Per essere chiari, lei non sta dicendo un no assoluto, sta dicendo che bisogna discutere su cosa significa una soluzione a due Stati?
Prima di tutto dobbiamo capire qual è la natura di questi due stati. Si tratta di accettare il permesso o il riconoscimento della parte israeliana o dell’esistenza di Israele senza ricevere niente? Noi qui stiamo parlando di cosa Israele offre. È il primo punto. E il secondo: Israele è pronto a rispettare il diritto del popolo palestinese? Il diritto al ritorno che riguarda cinque milioni di persone che vivono in condizioni intollerabili nei campi profughi in Libano, Siria, Giordania e altrove. Qual è il destino di questa gente, vivere per sempre in queste condizioni? Bisogna dare una risposta, è di interesse nazionale.
Se Israele ha diritto al ritorno per gente che non ha rapporti con la Palestina da 3000 anni, penso che noi abbiamo lo stesso diritto, il principio del ritorno alla nostra terra, l’abbiamo lasciata solo nel 1948.

È Israele che deve per primo dare una risposta?
Dare una risposta.

Allora ne discuterete?
Con le nostre istituzioni. La decisione non spetta a noi.

Per essere assolutamente chiari, lei non lo esclude, ma prima occorre una risposta a tutte queste domande?
Sì, perché senza la risposta a queste domande si fa la fine dei precedenti accordi di Oslo e Madrid.

E questo sarebbe materia di un referendum?
Questi sono metodi, sono questioni tecniche, prima vogliamo sentire le risposte. Se saranno semplici, se saranno chiare, se soddisferanno le richieste del popolo palestinese allora potremo decidere. In caso contrario si consulterà il popolo.