Manifestazione pro-pal a Auckland (foto di Perry Trotter)
di Nathan Greppi
Secondo un report pubblicato dal New Zealand Jewish Council dopo il 7 ottobre si è registrato il più alto numero di episodi di antisemitismo nella storia del paese, 227 in tutto. Ma negli ultimi decenni si è notato un peggioramento generale nell’atteggiamento verso Israele e gli ebrei.
Subito dopo i massacri compiuti da Hamas in Israele il 7 ottobre 2023, il Museo di Auckland ha illuminato di blu e bianco la sua facciata per esprimere solidarietà nei confronti delle vittime israeliane. Tuttavia, già l’8 ottobre manifestanti filopalestinesi sono andati a contestare il museo per questo, causando disordini e aggredendo i contro-manifestanti filoisraeliani. Alla fine, hanno spinto il museo a scusarsi pubblicamente per aver “osato” solidarizzare con le vittime del terrorismo.
Questo episodio riflette un più vasto sentimento di ostilità nei confronti dello Stato Ebraico, che dopo il 7 ottobre e lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas è diventato dominante in Nuova Zelanda, dove la diffusione incontrastata di ideologie woke e terzomondiste, dovuta anche al senso di colpa dei neozelandesi per la colonizzazione delle terre dei maori, creano un terreno fertile per l’odio e il pregiudizio antisraeliani. Un odio che spesso colpisce anche la comunità ebraica neozelandese (non più di 10.000 persone, perlopiù concentrate ad Auckland e nella capitale Wellington).
Antisemitismo e negazionismo diffusi

Secondo un report pubblicato dal New Zealand Jewish Council, che rappresenta le principali istituzioni ebraiche in Nuova Zelanda (analogamente all’UCEI in Italia), dopo il 7 ottobre si è registrato il più alto numero di episodi di antisemitismo nella storia del paese, 227 in tutto. Questi superavano in un solo anno i 166 episodi registrati dal 1 gennaio 2014 al 1 luglio 2022, in un arco di otto anni e mezzo. Tra gli episodi registrati, ci sono minacce di morte inviate su internet, una molotov lanciata contro un’impresa gestita da ebrei, aggressioni nei confronti di studenti ebrei avvenute nelle scuole e contro degli ebrei che appendevano i manifesti degli ostaggi rapiti da Hamas.
In passato la Nuova Zelanda si è distinta per essere stata la prima nazione occidentale in cui è stato conferito un master per una tesi che sdoganava il negazionismo della Shoah. Nel 1993, l’Università di Canterbury a Christchurch conferì un master in storia a Joel Hayward per una tesi in cui dichiarava che “i nazisti non hanno cercato sistematicamente di sterminare gli ebrei nelle camere a gas e non avevano politiche finalizzate allo sterminio”.
L’odio antisraeliano prima del 7 ottobre

“Negli ultimi decenni, c’è stato un peggioramento generale nell’atteggiamento verso Israele e gli ebrei”, spiega a Mosaico Perry Trotter, co-fondatore della Holocaust and Antisemitism Foundation Aotearoa New Zealand. “Un probabile punto di svolta è stato quando, alla fine del 2016, il governo neozelandese ha deciso di co-sponsorizzare la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”, che dichiarava illegali gli insediamenti in Cisgiordania. “Anziché stare con i nostri alleati tradizionali in Occidente, il governo si è schierato al fianco di paesi come la Malaysia, Senegal e Venezuela”.
Sua moglie Sheree Trotter, storica e co-fondatrice dell’ICFI (Indigenous Coalition for Israel), ci spiega che già prima del 7 ottobre si erano verificati episodi degni di nota: “Nel 2019 c’è stato il massacro dei musulmani a Christchurch, nel quale circa 50 persone sono state uccise. Quando, nel 2021, si è tenuto un evento antirazzista di commemorazione nel municipio di Christchurch, tra gli ospiti vi era un esponente della comunità ebraica, Juliet Moses, che ha espresso la sua preoccupazione in merito al fatto che nel 2018 c’era stata una manifestazione in Nuova Zelanda dove si inneggiava a Hezbollah. È stata contestata duramente dal pubblico, al punto che ha dovuto essere scortata fuori dal municipio”.
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La situazione dopo il 7 ottobre
Successivamente agli attacchi di Hamas e allo scoppio della guerra, questa situazione è ulteriormente peggiorata. La Trotter racconta che “i media sono molto schierati, generalmente antisraeliani, non riportano il quadro generale e pubblicano i dati forniti da Hamas in maniera totalmente acritica. Per mesi abbiamo visto ogni giorno immagini dei bombardamenti a Gaza, dando l’impressione che i palestinesi fossero le vittime, ma senza mostrare in alcun modo la versione dei fatti israeliana”. Perry aggiunge che “i nostri media mainstream sono stati ampiamente conquistati dal movimento della sinistra woke, e il risultato è che la loro rappresentazione d’Israele è pessima”.
Non mancano le iniziative per contrastare l’antisemitismo e il negazionismo: la Holocaust and Antisemitism Foundation Aotearoa New Zealand ha realizzato negli ultimi anni una mostra intitolata Auschwitz. Now, portata in diversi musei e luoghi pubblici neozelandesi e di cui la prossima edizione è prevista per il giugno 2025. Tuttavia, anche in questo caso si sono riscontrati dei problemi: come spiega Perry Trotter, “quando si è verificato il 7 ottobre avevamo già una prenotazione pronta per un importante museo, ma a causa del 7 ottobre hanno cancellato la nostra prenotazione. Anche per questo ci siamo spostati dai musei agli spazi pubblici”.
La narrazione “decoloniale”

Buona parte dell’odio nei confronti d’Israele viene alimentato nelle università, in particolare tramite la sua falsa rappresentazione come di uno Stato colonialista per fare leva sul senso di colpa occidentale e sul risentimento dei popoli delle ex-colonie. Per contrastare la narrazione dei “coloni” ebrei che avrebbero rubato le terre agli “indigeni” arabi, nel 2024 Sheree Trotter, che è una maori, ha co-fondato l’Indigenous Embassy Jerusalem, un ente nato per dare voce a quegli esponenti delle popolazioni native in vari paesi che si oppongono alla falsa rappresentazione degli israeliani come di colonialisti in terre non loro, e che riconoscono il legame storico tra il popolo ebraico e la terra d’Israele.
“Quella del ‘settler colonialism’ è l’ideologia dominante nelle nostre università. Quando si tratta d’Israele, esso viene rappresentato come il simbolo del ‘settler colonialism’, e per questo tale prospettiva è fortemente accettata dai maori”, spiega la Trotter. “Questo perché noi maori tendiamo a legare la nostra storia di indigeni defraudati a Israele, credendo alla narrazione che rappresenta gli ebrei come colonizzatori e i palestinesi come un popolo indigeno”. Aggiunge che “molti giovani non conoscono minimamente la storia che precede il 1948, e imparano la storia attraverso i social, su TikTok e Instagram. Vi è un buco nella loro conoscenza della vera storia d’Israele”.
Secondo lei, nonostante molti maori credano nella narrazione sugli ebrei colonizzatori, “ci sono anche gruppi di maori che sostengono Israele, specialmente nella comunità cristiana. Non ricevono molta copertura da parte dei media, che sono tendenzialmente schierati a sinistra e antisraeliani, però ci sono. Con la Indigenous Embassy e l’ICFI stiamo cercando di provare a far sentire la loro voce e offrire loro una piattaforma che li renda maggiormente visibili”.