Jeremy Corbyn nel 2014 depone una corona di fiori alla tomba dei terroristi palestinesi di Monaco

L’antisemitismo secondo Jeremy Corbyn e le polemiche sul Labour Party

Mondo

di Ilaria Ester Ramazzotti
A pochi giorni dalle prossime elezioni politiche, il 12 dicembre, non si placano in Gran Bretagna le accuse di antisemitismo rivolte contro appartenenti al Labour Party e il suo leader Jeremy Corbyn. L’antisemitismo incuneatosi fra alcuni membri del partito laburista britannico suscita da tempo discussioni e polemiche, che risuonano dal mondo della politica alle testate giornalistiche.

Dalla politica estera a quella interna, gli orientamenti di Corbyn hanno di recente fatto sì che il rabbino capo del Regno Unito e del Commonwealth Ephraim Mirvis si chiedesse che cosa sarà degli ebrei e dell’ebraismo britannico se il Labour Party formerà il prossimo governo del Regno Unito. A fargli da eco, ci ha pensato persino l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby.

La contrarierà alle politiche dello Stato di Israele e il sottile sostegno a organizzazioni come Hamas e Hezbollah hanno portato molti interni ed esterni al suo partito a sospettare che dietro le opinioni di Corbyn ci possa essere un chiaro sentimento antisemita.

Del tema ha parlato anche il Corriere della Sera in un commento dello scorso 1 dicembre. Paolo Mieli elenca una serie di fatti che hanno alimentato le riflessioni e le accuse contro Corbyn: la sua “partecipazione, nel 2014 a Tunisi (nella foto)a una cerimonia in onore di uno dei terroristi che nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco avevano sequestrato e ucciso atleti israeliani; l’amichevole incontro con il leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina alla vigilia di un attentato a una sinagoga di Gerusalemme in cui sarebbero rimasti uccisi quattro rabbini (uno dei quali inglese: Avraham Shmuel Goldberg); la conferenza con Khaled Meshaal, il leader di Hamas già sulla «lista nera» del Regno Unito; la protesta contro il sindaco di Londra reo di aver fatto cancellare un dipinto murale di Mear One – un nome d’arte – da lui, non a torto, ritenuto antisemita; la prefazione a sua firma alla ristampa di un libro del 1902 in cui John Atkinson Hobson sosteneva essere il capitalismo internazionale «controllato da uomini di una singola razza particolare» (analisi «corretta e lungimirante» l’ha definita Corbyn); il capo laburista ha altresì chiamato «fratello» Abdud Aziz Umar condannato a sette ergastoli per aver fatto esplodere a Gerusalemme un ristorante, provocando la morte di sette persone. E si potrebbe continuare… Intendiamoci presi uno per uno tutti questi casi (alcuni più, alcuni meno) potrebbero trovare delle giustificazioni. Ma nel loro insieme non possono non suscitare perplessità”.

Perplessità che si riflettono e vengono rilanciate da episodi come quelli capitati alla deputata laburista Luciana Berger, che in febbraio ha denunciato di aver subito minacce e aggressioni fisiche. Un documentario della BBC dello scorso luglio ha poi messo drasticamente in luce l’antisemitismo esistente nel partito laburista, partendo da alcune testimonianze di discriminazioni rivolte a militanti ebrei. Lo scorso luglio, ben 67 membri del Labour hanno pubblicamente accusato Jeremy Corbyn da una pagina di The Guardian di “aver permesso all’antisemitismo di crescere all’interno del partito”. Tutt’oggi gli animi non sembrano placarsi, mentre nel mondo ebraico crescono le preoccupazioni per le pieghe che stanno prendendo certe pagine della storia. E l’antisemitismo guadagna terreno nel Regno Unito come in molti altri paesi europei.