Abu Mohammed al-Jolani intervistato (screenshot da CNN)
di Nina Deutsch
Dopo la caduta di Assad, Damasco valuta la normalizzazione con Israele tra conferme e smentite. E Gerusalemme chiede garanzie concrete.
Sono davvero imminenti nuovi accordi con la Siria? La risposta, al momento, non può essere netta. Gli sviluppi recenti delineano un quadro complesso, fatto di segnali contrastanti, dichiarazioni interlocutorie e manovre diplomatiche ancora in fase di assestamento.
Recentemente, si è parlato della possibilità che la Siria possa unirsi agli Accordi di Abramo, una serie di trattati di normalizzazione tra Israele e diversi Paesi arabi. Secondo alcune fonti, Damasco starebbe esplorando questa possibilità, che sembrava impensabile fino a poco tempo fa. In un contesto regionale delicato, è fondamentale ricostruire gli eventi recenti e degli ultimi giorni per comprendere direzione e portata dei possibili scenari futuri.
Dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad nel dicembre 2024, la Siria ha visto l’ascesa di Ahmed al-Sharaa, noto anche come Abu Mohammed al-Jolani, ex leader del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Nonostante il suo passato controverso, al-Sharaa ha cercato di presentarsi come un leader moderato, impegnato nella ricostruzione del Paese e nell’inclusione di tutte le componenti etniche e religiose della Siria. Ha avviato colloqui con diverse potenze regionali e internazionali, cercando di ottenere il riconoscimento del suo governo e la rimozione delle sanzioni internazionali.
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Come riporta il Times of Israel in questi giorni, al-Sharaa avrebbe manifestato l’intenzione di normalizzare i rapporti con Israele e di valutare un’adesione della Siria agli Accordi di Abramo, a condizione che vi siano “le giuste condizioni”. La dichiarazione è emersa durante un incontro a Damasco la scorsa settimana con il deputato statunitense Cory Mills, primo esponente del Congresso a visitare la Siria dopo la caduta del regime di Assad. Al centro del colloquio, oltre alla pace con Israele, anche la possibilità di revocare le sanzioni americane. Sharaa avrebbe garantito disponibilità a espellere i combattenti stranieri e ad affrontare le richieste israeliane di sicurezza.
La domanda resta aperta: mentre l’esercito israeliano avanza sempre più nel sud della Siria, è realistico ipotizzare un accordo di pace tra i due Paesi? E, soprattutto, il nuovo governo siriano sarà in grado di soddisfare le rigorose richieste di sicurezza imposte dalla comunità internazionale, pur faticando ad affermare il proprio controllo sul territorio nazionale?
La situazione è incerta. Gli annunci di tregua si susseguono a smentite e prese di posizione contrastanti. Come riportato da i24NEWS, dopo aver manifestato la scorsa settimana un’apertura verso gli Accordi di Abramo, la Siria ha fatto marcia indietro inviando una lettera ufficiale agli Stati Uniti. Il motivo principale del rifiuto? L’“occupazione” dei propri territori da parte di Israele.
Secondo fonti citate da Syria TV, Damasco ritiene infatti che tali accordi siano riservati a Paesi i cui territori non sono soggetti all’occupazione israeliana. Tuttavia, nella stessa comunicazione, il governo siriano ha ribadito il proprio impegno a ricostruire uno Stato stabile, che non costituisca una minaccia per i vicini.
Intanto Israele, che mantiene una presenza militare nel sud della Siria, continua a esprimere profonda sfiducia nei confronti del nuovo governo, nato da una coalizione islamista. Secondo l’analista Carmit Valensi – ricercatrice presso l’Institute for National Security Studies (INSS) di Tel Aviv – Sharaa adotta un approccio “cauto e pragmatico”, ma resta da chiarire quali siano esattamente le condizioni poste da Damasco per una reale normalizzazione.
Diplomazia regionale: tra aperture e diffidenze
Al-Sharaa ha intrapreso sempre nelle scorse settimane una serie di visite diplomatiche per rafforzare i legami della Siria con i Paesi della regione. Ha visitato l’Arabia Saudita, segnando un possibile allontanamento dall’Iran, e gli Emirati Arabi Uniti, dove ha incontrato il presidente Sheikh Mohammed bin Zayed Al Nahyan.
Tuttavia, queste visite non sono state accolte con entusiasmo da tutti. In Iraq, l’invito a al-Sharaa per partecipare al prossimo vertice della Lega Araba ha suscitato polemiche, soprattutto tra le fazioni sciite legate all’Iran, che lo accusano di avere un passato legato al terrorismo.
Segnali da Damasco: una nuova apertura verso la normalizzazione?
In un’analisi del corrispondente del Jerusalem Post, Ohad Merlin, emerge la domanda se davvero gli Accordi di Abramo con la Siria siano imminenti e se l’implicita apertura di Al-Sharaa a tali accordi debba essere accolta con una chiara richiesta di riforma del sistema educativo e di un esplicito ripudio del jihadismo.
Il recente gesto distensivo del presidente siriano, che ha parlato di un possibile avvicinamento a Israele senza pretendere la restituzione delle alture del Golan, ha acceso i riflettori su un possibile cambio di paradigma nelle relazioni israelo-siriane. Una mossa che, secondo quanto riportato dal Jerusalem Post, non dovrebbe essere accolta con leggerezza.
Durante colloqui con membri del Congresso americano vicini all’ex presidente Trump, Sharaa avrebbe espresso la volontà di aderire al quadro degli Accordi di Abramo. Ma una pace duratura, avvertono da Gerusalemme, non può prescindere da garanzie fondamentali, che vadano oltre le mere dichiarazioni di buona volontà.
Cinque pilastri per un’intesa vera
Israele, secondo l’analisi, dovrebbe rispondere con prudenza strategica a questa apertura, mantenendo una postura propositiva, ma ponendo condizioni imprescindibili:
- Il Golan non si tocca. Le alture, riconosciute dagli Stati Uniti come parte integrante di Israele, restano una linea rossa. Ogni intesa dovrà partire dal principio della sovranità israeliana su questo territorio.
- Protezione ai drusi. Le comunità druse del sud della Siria, culturalmente e storicamente legate a quelle presenti in Israele, devono continuare a ricevere tutela. È un impegno morale verso un popolo che ha pagato il prezzo dell’isolamento per decenni.
- Rottura netta con il jihadismo. Qualsiasi dialogo richiede che la Siria condanni apertamente l’estremismo islamico, incluso l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Solo così si potrà costruire un ponte credibile tra i due Stati.
- Sicurezza lungo i confini. Un accordo deve prevedere garanzie concrete per la sicurezza di Israele, a partire dal disimpegno delle milizie filo-iraniane, dal contenimento dell’influenza turca e dalla fine del traffico d’armi verso Hezbollah.
- Riforma educativa e mediatica. Serve un cambiamento radicale nella narrazione ufficiale siriana: Israele e il popolo ebraico devono essere riconosciuti come parte legittima del tessuto mediorientale. Frasi come “entità sionista” o “occupazione” devono sparire dai libri e dai notiziari.
Una pace che sia anche culturale
L’esperienza con Egitto e Giordania insegna che senza un cambiamento nei cuori e nelle menti, la pace resta un’intesa fredda. Israele deve evitare che si ripetano gli errori del passato, dove accordi firmati sulla carta non hanno impedito la diffusione dell’odio a livello sociale ed educativo.
In questo senso, i modelli da seguire non sono quelli del Cairo o di Amman, bensì gli esempi virtuosi degli Emirati Arabi Uniti e del Marocco, dove la cooperazione si estende anche alla cultura e alla formazione delle nuove generazioni.
Un’occasione da cogliere, ma con cautela
Che Sharaa non abbia menzionato il Golan è un segnale importante. Ma il suo passato e le sue connessioni con movimenti estremisti impongono una valutazione lucida, senza eccessi di entusiasmo. Il rischio di un ritorno a vecchie retoriche è concreto, specialmente se l’opinione pubblica siriana non sarà preparata al cambiamento.
Israele deve mostrare al mondo che è pronta alla pace, ma non a qualsiasi costo. Se la Siria accetterà le condizioni poste – riforme interne, sicurezza regionale e riconoscimento reciproco autentico – si potrà parlare di un nuovo passo storico nel solco degli Accordi di Abramo. Se invece l’apertura si rivelerà solo tattica, sarà chiaro che il vero ostacolo alla pace non è Gerusalemme, ma una Damasco ancora ostaggio del proprio passato.
Conclusioni: un futuro incerto ma con segnali di speranza
La Siria si trova dunque in una fase cruciale della sua storia. La caduta di Assad ha aperto nuove possibilità, ma anche nuove sfide. Il governo di al-Sharaa ha mostrato segnali di apertura e volontà di inclusione, ma dovrà dimostrare con i fatti la sua capacità di guidare il paese verso la stabilità e la riconciliazione. Anche la comunità internazionale ha un ruolo fondamentale nel sostenere il processo di transizione e nel garantire che la Siria non torni a essere un terreno di conflitto e divisione.