La caccia agli ebrei a Mumbai

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Un alibi dal doppio significato.

L’unico terrorista catturato vivo dopo gli orrendi giorni di Mumbai, Azam Amir Kasab, secondo quanto scrive The Times of India, ha detto: “La nostra missione specifica era colpire gli israeliani per vendicare le atrocità commesse sui palestinesi”. Siccome è una giustificazione priva di ogni evidente logica, nel quadro di un attacco terroristico così massiccio, contro dieci obiettivi diversi e protratto per due interi giorni, che ha fatto quasi 200 vittime (di cui “solo” nove israeliane) bisogna interrogarsi sul perché di tale dichiarazione.

Il “perché” si può evincere dalla reazione possibile, presso il pubblico occidentale che legge queste parole: “Ecco, la causa del terrorismo sono gli ebrei e Israele. Se Israele non ci fosse, non esisterebbe il terrorismo”. Il terrorismo jihadista conferma così la sua attenzione alla propaganda e ai media. Ottiene con questa dichiarazione un duplice scopo: rendere odiosa l’immagine di Israele e riproporsi nel mondo arabo come paladino degli “oppressi”. Gli altri obiettivi dichiarati sono, ovviamente, americani e inglesi.

Angelo Panebianco scrive sul Corriere del 30 novembre nel suo articolo Se non indigna la caccia agli ebrei: “Cosa c’entrano gli ebrei con il conflitto indo-pakistano? Assolutamente nulla. Ma c’entrano moltissimo con l’ideologia jihadista e con il fanatismo antisemita che la caratterizza. Il richiamo più immediato è al caso di Daniel Pearl, il giornalista ebreo-americano rapito e sgozzato in Pakistan nel 2002. Il fatto che egli fosse ebreo ebbe una parte decisiva nel suo assassinio. L’attacco al Centro ebraico è la dimostrazione del fatto che il terrorismo islamico ha due facce, trae alimento da due radici: i conflitti regionali ma anche un’ideologia jihadista che ha per posta la riorganizzazione della umma, la comunità dei credenti, in chiave antioccidentale e della quale è un tassello essenziale la «guerra ai sionisti». (…) Per quanto riguarda noi europei di singolare nei nostri atteggiamenti verso il terrorismo islamico c’è l’indifferenza che spesso mostriamo per un aspetto della sua ideologia che dovrebbe, a rigore, apparirci ripugnante: l’antisemitismo”.

In realtà, in una parte non proprio inconsistente degli Europei e in certi ambienti anche in America – non solo negli Stati Uniti – il sentimento verso l’antisemitismo del terrorismo islamico non è propriamente “indifferenza”, ma quasi una “simpatia” nel senso etimologico. E di fronte alla morte di Rav Gavriel Holtzberg, 29 anni, e sua moglie Rivka Holtzberg, e degli altri innocenti trucidati, è questa la cosa più dolorosa e inquietante.