di Nathan Greppi
“Il cielo d’Irlanda è un oceano di nuvole e luce”: così recita un celebre brano del 1992 della cantante Fiorella Mannoia. Tuttavia, da mesi per la comunità ebraica irlandese, che conta circa 2.700 persone, le nuvole in cielo si sono fatte sempre più oscure, facendo filtrare sempre meno luce.
Gli irlandesi sono storicamente un popolo filopalestinese, da molto prima del 7 ottobre: durante la Guerra fredda, l’IRA aveva stretti legami con l’OLP. E se lo Sinn Féin, storico partito indipendentista di sinistra, si è classificato come uno dei partiti più antisraeliani di tutta l’Unione Europea, anche i partiti di centrodestra che guidano l’attuale governo, il Fianna Fáil e il Fine Gael, hanno criticato l’operato dello Stato Ebraico.
Vale la pena di chiedersi che risvolti sta avendo la guerra in corso sulla vita ebraica nell’isola, nonché sulle relazioni tra Dublino e Gerusalemme. Ne abbiamo parlato con Alan Shatter, già Ministro della Giustizia e della Difesa irlandese dal 2011 al 2014. Esponente della comunità ebraica di Dublino, avvocato e scrittore, è stato deputato dal 1981 al 2002 e dal 2007 al 2016, ritrovandosi spesso ad essere l’unico ebreo nell’Oireachtas, il Parlamento irlandese. Suoi editoriali sono stati pubblicati sul Jerusalem Post e il Times of Israel, ed è stato presidente del Magen David Adom Irlanda.
Come si compone la presenza ebraica in Irlanda?
Quelli iscritti alla comunità si sono ridotti costantemente negli ultimi 20-25 anni. Tuttavia, ci sono anche quelli che non sono coinvolti nella comunità, sparsi in varie zone del paese e provenienti da luoghi diversi. Tra i 500 e i 1.000 ebrei circa sono emigrati in Irlanda da Israele, Stati Uniti, Canada e altri paesi europei per lavorare nel settore farmaceutico, nell’industria high-tech e nelle aziende dei social media.
Com’era la situazione prima del 7 ottobre?
Nell’ultimo decennio circa, l’astio verso Israele è aumentato sempre di più. E anche se non tutte le critiche a Israele o al suo governo sono antisemite, spesso la critica sconfina nel negarne il diritto all’esistenza.
Nel corso degli anni, l’atteggiamento dell’Irlanda nei confronti d’Israele ha attraversato dei cambiamenti: sia durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967 che durante la Guerra del Kippur nel 1973, la classe politica e l’opinione pubblica irlandesi erano bendisposte verso Israele, visto come un piccolo paese circondato da vicini ostili. E la vittoria israeliana nel ’67 venne osservata con ammirazione.
Tutto questo ha iniziato a cambiare tra gli anni ’70 e ’80 nel corso dei “Troubles”, i disordini scoppiati in Irlanda del Nord. La Provisional IRA, organizzazione terroristica dei nazionalisti cattolici, commise numerosi attentati e omicidi in Irlanda del Nord, e lo stesso fecero anche le milizie protestanti. Vi erano forti legami con l’OLP e la Libia di Gheddafi, tanto che i terroristi dell’IRA venivano addestrati in Tunisia.
Non riconoscendo gli ebrei come una popolazione indigena della terra d’Israele, si erano identificati con la causa palestinese. Così come loro combattevano contro gli inglesi in Irlanda del Nord, pensavano erroneamente che i palestinesi combattessero contro degli invasori colonialisti. Sui muri di Belfast, vennero realizzati degli enormi murales che esaltavano i terroristi palestinesi e incitavano alla distruzione d’Israele.
Anche dopo l’Accordo del Venerdì Santo, che nel 1998 pose fine alla guerra civile in Irlanda del Nord, la percezione dei palestinesi che combattono Israele come gli irlandesi combattono la Gran Bretagna ha continuato a sedimentarsi nella psiche delle persone. Lo Sinn Féin, storicamente il braccio politico dell’IRA, dopo il ‘98 acquisì una maggiore rispettabilità nell’agone politico. Le posizioni filopalestinesi a antisraeliane sono una componente strutturale del partito, che oggi è uno dei più votati nella Repubblica d’Irlanda, avendo sottratto molti consensi ai partiti di governo. È opinione diffusa che dopo le elezioni previste entro il marzo 2025, lo Sinn Féin guiderà il prossimo governo, o quantomeno ne farà parte.
Cosa è cambiato dopo il 7 ottobre?
L’ostilità verso Israele si è manifestata alla luce del sole, aumentando considerevolmente. La retorica dei partiti, sia del governo che dell’opposizione, si è fatta sempre più tossica. In Parlamento, lo Sinn Féin demonizza costantemente Israele, e i suoi rappresentanti prendono sempre parte a manifestazioni antisraeliane. Ad un certo punto hanno anche pubblicato sui loro canali social lo slogan “From the river to the sea”, in seguito rimosso.
In generale, dopo il 7 ottobre si è parlato pochissimo degli ostaggi israeliani. Lo Sinn Féin e altri partiti di sinistra hanno subito iniziato a criticare tutto ciò che fa Israele, facendo pressione sul governo affinché prendesse posizione contro di esso. Alcuni dei loro rappresentanti hanno apertamente auspicato la distruzione d’Israele e la sua sostituzione con uno Stato palestinese. Sebbene i loro leader si dicano vagamente a favore della Soluzione dei due Stati, la loro narrazione quotidiana va in un’altra direzione.
Che posizione sta prendendo il governo?
Anche nel governo le cose non vanno molto meglio; già dopo il pogrom compiuto da Hamas, il Primo Ministro irlandese Leo Varadkar ebbe una reazione più lenta rispetto ad altri leader europei.
Dopo l’inizio della guerra, la narrazione è cambiata rapidamente; già il 9 ottobre, due giorni dopo il massacro, c’erano manifestazioni antisraeliane difronte all’Ambasciata israeliana a Dublino. Da allora nelle due città più importanti del paese, Dublino e Cork, ogni sabato si tengono proteste che radunano fino a 60.000-70.000 manifestanti che gridano “Free Palestine” e “From the river to the sea”, accusando Israele di commettere un genocidio e chiedendo un cessate il fuoco immediato.
Vedendo come l’opinione pubblica si è sempre più schierata su posizioni filopalestinesi, il governo irlandese è diventato sempre più critico nei confronti d’Israele e cieco difronte alla complessità della situazione. L’ultima presa di posizione ha visto l’Irlanda schierarsi con il Sudafrica nella causa intentata contro Israele all’Aja. Prima ancora, avevano chiesto assieme alla Spagna di rivedere gli accordi commerciali tra l’UE e Israele. Pur sapendo che l’Unione Europea non annullerà i trattati commerciali, l’hanno fatto per motivi di consenso interno.
La narrativa governativa ha fatto propria quella dei partiti d’opposizione, accusando Israele di aver scatenato una guerra vendicativa e chiedendo un cessate il fuoco permanente. Tutto questo senza mai dire nulla sui tunnel costruiti da Hamas, né sul fatto che questi ultimi usano i civili come scudi umani.
In passato lei era iscritto al Fine Gael, con il quale è stato deputato per trent’anni. Cosa pensa delle posizioni attuali del suo vecchio partito, oggi al governo?
Ho lasciato il Fine Gael nel 2018, perché convinto che avesse perso la propria bussola morale. E tutto ciò che ho visto dopo il 7 ottobre conferma il mio giudizio di allora. Quand’ero deputato, ho partecipato per anni ai negoziati per arrivare alla Soluzione dei due Stati, incontrando anche Yasser Arafat e Mahmoud Abbas. Ma oggi il governo irlandese è cieco difronte alla realtà; anche se ufficialmente appoggia la Soluzione dei due Stati, non riconosce il fatto che Hamas e la Jihad Islamica vi si oppongono.
Un altro aspetto sul quale il governo non ha detto nulla sono i razzi sparati da Hezbollah contro Israele dal confine nord. E questo nonostante abbiamo circa 330 militari irlandesi impegnati in Libano con l’UNIFIL, che in teoria dovrebbe cercare di contenere le minacce alla stabilità della regione.
Che copertura danno i media irlandesi della situazione?
La narrativa del governo è l’unica che gli irlandesi leggono sui giornali e vedono nei programmi televisivi. Nel giornalismo irlandese, l’ostilità verso Israele è diffusa da molti anni; un certo antisemitismo che prima nei media risultava velato e nascosto, oggi è diventato sempre più manifesto e accettabile.
In Irlanda, il pubblico non capisce la complessità del conflitto; tutto ciò che vedono in TV è la devastazione a Gaza, senza che nessuno gli spieghi qual è il contesto. La narrazione è diventata talmente tossica che alcune delle cose che si dicono su Israele non sono dissimili da ciò che si diceva degli ebrei nella Germania nazista.
Come viene vissuta questa situazione dalla comunità ebraica irlandese?
La gente è assai tesa. Molti nella comunità hanno amici e parenti che vivono in Israele, alcuni dei quali sono rimasti uccisi o feriti dal 7 ottobre in poi. Sono anche molto sensibili alle notizie sulla situazione degli ostaggi.
Vi è una percezione diffusa nelle istituzioni ebraiche che ci sia bisogno di rafforzare la sicurezza. Di recente è stato organizzato a Dublino un evento in sinagoga con l’Ambasciata israeliana, per spiegare la prospettiva d’Israele sulla situazione, e sono state rafforzate le misure cautelari; nessuno poteva entrare dai cancelli senza essere stato prima controllato dagli uomini di guardia. Se lo stesso evento si fosse tenuto in Irlanda due anni fa, non ci sarebbe stato bisogno di stare tanto attenti alla sicurezza.
Camminando per le vie di Dublino, hai sempre il timore di essere aggredito. Finora non è successo, a differenza di quanto accade a Londra. Sospetto che uno dei motivi per cui le istituzioni ebraiche a Dublino non sono ancora state prese di mira, è che per i palestinesi l’Irlanda è il paese europeo più amichevole verso di loro e il più ostile a Israele. Finché la quasi totalità delle forze politiche irlandesi è schierata dalla loro parte, per loro è più vantaggioso mantenere buoni rapporti, senza compiere attacchi violenti.