di David Zebuloni
«L’organizzazione non riesce a pagare i suoi uomini – spiega Eyal Ofer, esperto di economia di Hamas -. Per farlo, dovrebbe allestire dei punti di pagamento dove qualcuno sieda con grosse somme di denaro, o muovere questi addetti in diversi luoghi per incontrare i militanti e dar loro i soldi. Entrambe le opzioni attirerebbero delle attenzioni indesiderate».
Il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta dettagliata che ha presto fatto il giro del mondo, rivelando come la leadership di Hamas stia affrontando una grave crisi di liquidità. Secondo il rispettato quotidiano statunitense, dopo mesi di combattimenti ininterrotti, l’organizzazione terroristica sta vivendo una crisi economica senza precedenti, al punto da annunciare la sospensione dei pagamenti ai tanti affiliati.
«A mio avviso, Hamas ha ancora moltissimi contanti a sua disposizione», afferma Eyal Ofer, esperto di economia di Hamas, in un’intervista a Makor Rishon. «Tuttavia, il problema attuale è logistico: l’organizzazione non riesce a pagare i suoi uomini. Per farlo, dovrebbe allestire dei punti di pagamento dove qualcuno sieda con grosse somme di denaro, o muovere questi addetti in diversi luoghi per incontrare i militant e dar loro i soldi. Entrambe le opzioni attirerebbero delle attenzioni indesiderate poiché implicano dei movimenti significativi di persone verso un punto specifico».
Secondo Ofer, l’organizzazione terroristica non ha via di scampo. “Se i membri di Hamas tentassero oggi di ripristinare i punti di pagamento che avevano allestito in passato, verrebbero colpiti in modo mirato dalle forze dell’IDF. Dunque, o il pagatore deve spostarsi da un luogo all’altro, rivelando così i nascondigli dei combattenti, o resta fermo e i militanti vengono da lui: in ogni caso, è un rischio enorme per Hamas».
Ma c’è di più. «Da quando Hamas ha accumulato una grande quantità di contanti, è diventato il “banco degli shekel” della Striscia», continua Ofer. «Chiunque necessiti di denaro contante si rivolge alla rete di cambiavalute legata, almeno in parte, all’organizzazione terroristica. Questi cambiavalute sono individui che ricevono fondi direttamente da Hamas e che forniscono contanti agli abitanti di Gaza beneficiari di aiuti ONU, versati però tramite app bancarie che i cittadini non possono realmente usare».
Attualmente, sono diffuse infatti due app principali a Gaza: PalPay (un gioco di parole tra “Palestinian Pay” e “PayPal”) e JawwalPay, collegata alla compagnia telefonica più popolare della Striscia. «Sono portafogli digitali usati dall’ONU per inviare tra i 1.000 e i 1.500 shekel a ogni famiglia gazawa», spiega l’esperto. «Il problema è che nella realtà di Gaza questi soldi non possono essere spesi digitalmente, perché i mercanti non sono attrezzati per accettare pagamenti via app – servono delle banconote».
Nasce così un’intera industria parallela a Gaza: i cambiavalute ricevono il denaro digitale e restituiscono i contanti, trattenendo delle commissioni salatissime tra il 20% e il 40% che finiscono direttamente nelle tasche dell’organizzazione terroristica. «In questo modo, Hamas genera profitti», rivela Eyal Ofer. “Ma non è l’unica fonte di reddito dell’organizzazione, che si arricchisce moltissimo dall’impossessamento dei camion contenenti gli aiutati umanitari. Al posto di distribuirli alla popolazione civile, Hamas li vende per generare un ulteriore guadagno”.
Ma quanto denaro ha davvero Hamas?
Alla domanda se sia possibile stimare il patrimonio attuale della leadership terroristica di Gaza, Ofer risponde: «È estremamente difficile. Possiamo solo fare stime approssimative, non c’è modo di avere dati precisi. Sappiamo che Hamas ha guadagnato tra i 20.000 e i 50.000 shekel per ciascun camion umanitario entrato nella Striscia. Ne sono entrati circa 50-60 mila. Quindi, se ha riscosso questa cifra anche solo su una parte di essi, possiamo parlare di un guadagno attorno a 1,5 o 2 miliardi di shekel. A questo si aggiungono i proventi delle merci sequestrate e rivendute, che costituiscono un’altra entrata importante».
Un caso a parte è quello del carburante. «Durante la tregua, Israele ha autorizzato il Qatar a inviare nella Striscia 978 autocisterne, contenenti circa 50 milioni di litri di benzina», spiega l’esperto. «Il prezzo al litro a Gaza, prima della tregua, oscillava tra i 16 e i 24 shekel. Dopo la ripresa dei combattimenti, è salito fino a 64. Hamas probabilmente non ha venduto tutto il carburante, ma anche rivendendone solo una parte, ha incassato almeno un altro miliardo di shekel». In totale, secondo l’esperto, si può stimare che Hamas abbia accumulato un patrimonio di 4 miliardi di shekel. Niente male per un’organizzazione che si dice sul lastrico.