di Davide Cucciati
La crisi alimentare a Gaza non è dipesa dalla quantità totale di cibo entrato bensì dalla sua distribuzione effettiva. Hamas si comporta come ogni regime autoritario in tempi di guerra: non distribuisce gli aiuti, li seleziona, li dirige, li usa. Lo fa mentre contratta con attori regionali e internazionali mantenendo un ruolo ambiguo e sfuggente.
Secondo la FAO (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite), il fabbisogno energetico minimo giornaliero per un adulto necessario alla sopravvivenza si attesta intorno alle 1.800 kcal. Considerando che, secondo i dati del COGAT (Coordinator of Government Activities in the Territories), tra l’inizio della guerra e il 29 maggio 2025 sono entrate nella Striscia di Gaza oltre 1,3 milioni di tonnellate di generi alimentari, pari a una media teorica di circa 1,08 kg di cibo al giorno per abitante, si può affermare che questa quantità risulta compatibile con la sopravvivenza, almeno in termini strettamente calorici.
Infatti, molti alimenti di base, come riso, farina, legumi secchi o olio, hanno una densità energetica compresa tra le 300 e le 500 kcal per 100 grammi, e in alcuni casi (come l’olio vegetale) arrivano anche a 900 kcal per 100 grammi. Una dieta giornaliera composta da 1,08 kg di tali alimenti, sebbene monotona e potenzialmente carente dal punto di vista vitaminico e proteico, può comunque fornire un apporto calorico superiore alle 1.800 kcal, sufficiente a garantire la sopravvivenza secondo gli standard minimi indicati dalla FAO.
Pertanto, il punto centrale è un altro: la crisi alimentare a Gaza non è dipesa dalla quantità totale di cibo entrato bensì dalla sua distribuzione effettiva.
A Mogadiscio, negli anni Novanta, il grano dell’ONU diventava bottino di guerra. Mohamed Farrah Aidid sequestrava i camion degli aiuti per rafforzare il suo potere tra le fazioni e affamare i rivali. Oggi, a Gaza, il meccanismo si ripete ma in modo ancora più insidioso: non è un signore della guerra a gestire gli aiuti bensì un governo. Hamas non è solo una milizia: è potere centrale, interlocutore internazionale, autorità effettiva di un territorio. Le immagini che giungono da Gaza parlano da sole: il 28 maggio 2025, il Ministro degli Esteri israeliano ha diffuso un video riguardante centinaia di civili che assaltano il magazzino Al-Ghafari dove erano ubicati aiuti umanitari accumulati per mesi. Hamas ha reagito sparando sulla folla.
Il 26 maggio 2025, il Ministero dell’Interno di Gaza, direttamente controllato da Hamas, ha pubblicato un comunicato su X che rivela chiaramente la volontà di monopolizzare la gestione degli aiuti. La dichiarazione recita: “Non esiteremo a svolgere il nostro dovere di garantire la sicurezza e la protezione dei camion degli aiuti e non permetteremo la creazione di organismi che fungano da agenti dell’occupazione nelle aree controllate dal suo esercito. Chiunque collabori con l’occupazione nell’imporre il proprio programma ne pagherà il prezzo e noi prenderemo le misure necessarie nei suoi confronti”.
Nel quadro di questa sistematica appropriazione degli aiuti, il ruolo dell’UNRWA diventa centrale e problematico. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, storicamente incaricata anche della distribuzione del cibo, è stata duramente colpita da gravi scandali. Infatti, dodici suoi dipendenti sono stati accusati da Israele di aver partecipato attivamente al massacro del 7 ottobre 2023; nove sono stati licenziati. Ma vieppiù: nel febbraio 2024 l’esercito israeliano ha scoperto un tunnel operativo di Hamas direttamente sotto la sede dell’UNRWA a Gaza City alimentato elettricamente, secondo le indagini di Tzahal, dagli stessi uffici dell’agenzia.
Il 28 maggio 2025, l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon ha affermato davanti al Consiglio di Sicurezza: “Durante una sessione del Consiglio di Sicurezza, ho denunciato come l’ONU gestisca un sistema di estorsione e minacce contro le organizzazioni umanitarie che collaborano con il meccanismo di aiuti statunitense a Gaza. Questo è un comportamento da mafia e una flagrante violazione dei principi fondamentali dell’ONU. L’ONU deve mettere da parte il proprio ego e iniziare a collaborare con il nuovo meccanismo – non con Hamas.”.
Due giorni dopo, il portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato: “non dobbiamo dimenticare chi è responsabile della situazione: Hamas ha rubato gli aiuti destinati ai civili e ha fatto morire di fame la popolazione per troppo tempo. Gli aiuti passano, le organizzazioni dell’ONU preferiscono collaborare con Hamas piuttosto che con noi”.
Il controllo del cibo diventa così parte integrante della strategia politica e militare. Hamas si comporta come ogni regime autoritario in tempi di guerra: non distribuisce gli aiuti, li seleziona, li dirige, li usa. Lo fa mentre contratta con attori regionali e internazionali mantenendo un ruolo ambiguo e sfuggente.
Il dato è rilevante anche nel contesto delle accuse di genocidio attualmente all’esame della Corte Internazionale di Giustizia. Il processo, come noto, non si baserà tanto sul numero delle vittime ma piuttosto sull’elemento soggettivo, sulle intenzioni e sui comportamenti messi in atto dalle parti. Se Israele, pur tra mille contraddizioni operative, ha mantenuto il flusso degli aiuti alimentari e ha agito per sottrarli al controllo diretto di Hamas, allora questa linea difensiva diventa concreta e verificabile.
Ma c’è un aspetto ancora più scomodo da affrontare: la difficoltà di distinguere con chiarezza tra popolazione civile e strutture armate. Questa è una delle questioni centrali non solo dal punto di vista giuridico e militare ma anche rispetto alla percezione internazionale del conflitto. Infatti, secondo un’indagine di Tzahal riportata da France 24, l’attacco del 7 ottobre 2023 si è sviluppato in tre ondate: la terza ondata era composta da migliaia di civili palestinesi che hanno attraversato la barriera per saccheggiare, incendiare, rapire e uccidere nei kibbutzim israeliani. Nel suo libro The October 7 War: Israel’s Battle for Security in Gaza, Seth J. Frantzman, corrispondente senior per il Medio Oriente e analista presso il Jerusalem Post, scrive: “Dopo che le ondate di terroristi avevano attraversato la barriera, ondate di uomini provenienti da Gaza sono entrate per saccheggiare e uccidere.” In quel giorno, la distinzione tra combattente e civile si è dissolta in molti casi. Non in tutti ma in un numero significativo e dolorosamente documentato.
Tutto questo dimostra che, nel Vicino Oriente e nel più ampio scacchiere mediorientale, nessuna soluzione potrà emergere finché si continuerà a ragionare secondo le dinamiche attuali e a riconoscere come interlocutori stabili soggetti che agiscono seguendo modalità avulse dalla nostra forma mentis occidentale. I casi del Libano e della Siria offrono una riprova: scenari ritenuti bloccati si sono modificati rapidamente a seguito dell’indebolimento di Hezbollah ad opera del “rullo compressore” israeliano. Le modalità e le tempistiche con cui ciò è avvenuto sono state oggetto di critiche ma il risultato è sotto gli occhi di tutti.
La lezione è semplice, seppur scomoda: in certi contesti, per vincere la guerra è necessaria la capacità di cambiare schema prima dell’avversario. Forse, ciò significa rompere i vecchi assetti prima che diventino trappole permanenti.