L'attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982

Quarant’anni fa l’attentato alla Sinagoga di Roma, molti interrogativi restano aperti

Italia

di Ugo Volli
E’ stato l’evento più traumatico per gli ebrei italiani dopo la Shoà. Esattamente quarant’anni fa, il 9 ottobre 1982, quando si concludeva la funzione di Simhat Torà dedicata specialmente ai bambini, un gruppo terrorista assaltò la sinagoga centrale di Roma. Come ricorda Gadiel Gaj Taché, fratello del piccolo Stefano che i terroristi uccisero quella mattina e lui stesso ferito gravemente, “un commando di terroristi diviso in tre gruppi si era appostato circondando le vie di uscita della Sinagoga. Il primo gruppo, per l’avvistamento, si era appostato di fronte all’ingresso principale in via del Tempio. Il secondo gruppo, quello operativo, si trovava in via Catalana, esattamente davanti al portone del civico 1A.1 Alle 11.50 l’inferno. I terroristi del secondo gruppo iniziano a lanciare bombe a mano sulla folla. Le prime esplodono all’interno del giardino del Tempio” facendo decine di feriti, molti gravi, e un morto.

E’ un ricordo doloroso per molti, anche perché una serie di interrogativi sulle circostanze del crimine e sul coinvolgimento dello Stato italiano sono rimasti aperti. Ne elenco alcuni: Perché nonostante decine di avvertimenti dei servizi segreti, nonostante gli attentati che si succedevano in quei mesi su obiettivi ebraici in Europa (a Vienna, Parigi, Bruxelles, anche Milano) non vi fu una gestione adeguata della sicurezza?  Perché gli individui mediorientali sospetti fermati dalla polizia qualche giorno prima mentre facevano una ricognizione nella zona dell’attentato, che fornirono  versioni contrastanti sulla loro presenza, furono rapidamente rilasciati? Perché quella mattina il Tempio era senza protezione di polizia, nonostante l’esplicita richiesta di protezione inoltrata da Tullia Zevi, presidente dell’Ucei? Perché la polizia intervenne solo un’ora dopo, senza poter bloccare gli attentatori fuggiti in macchina? Perché il ministro dell’Interno Carlo Rognoni (recentemente scomparso portandosi nella tomba i suoi segreti) mentì al Parlamento su questi ultimi due punti, dichiarando che non vi erano state richieste di protezione e che la polizia era arrivata dopo tre minuti? Perché il solo responsabile ufficialmente individuato, al Zomar, fu lasciato uscire dall’Italia verso la Grecia il 21 ottobre e perché la Grecia non ne concesse mai l’estradizione? Perché due altri personaggi (Abu Bakir, e al Awad) individuati nel corso delle indagini come amici e compagni di viaggio di al Zomar, non furono mai neppure ufficialmente indagati? Forse perché portavano direttamente all’OLP di Arafat? E perché ci fu un grande sforzo della politica e dei media per distinguere le bande di Abu Nidal, cui erano attribuiti gli attentati di quel periodo, dall’Olp e da Arafat, che era stato ricevuto in pompa magna a fare un discorso alla Camera dei deputati (presidente Nilde Iotti) e ricevuto al Quirinale (presidente Pertini, che lo abbracciò e lo baciò), sempre in tenuta militare con pistola al fianco? Perché nelle indagini fu ignorata la bara gettata da un corteo sindacale contro lo stesso Tempio poche settimane prima dell’attentato? Perché non furono smascherati i militanti italiani di estrema sinistra che secondo i rapporti dei servizi segreti collaboravano con i terroristi arabi? Perché si prese atto che le armi usate dai terroristi erano di fabbricazione sovietica e non si indagò sulla loro provenienza, su chi esattamente le aveva fornite ai terroristi e perché? Si potrebbe continuare ma, come dice ancora Gadiel Gaj Taché: “Tante domande e una sola grande certezza: nessuno ha mai scontato un solo giorno di carcere per l’attentato alla Sinagoga.”

Sulla vicenda si è riacceso dopo quarant’anni l’interesse della magistratura e delle commissioni parlamentari di sorveglianza dei servizi segreti. C’è da sperare che escano nuovi fatti. Per noi che non abbiamo possibilità di indagine, per comprendere un po’ di più questo terribile attentato è opportuno inserirlo in due serie di fatti: le strategie del terrorismo palestinese e gli accomodamenti, i veri e propri accordi che gli stati europei cercarono col terrorismo sulla pelle dei loro cittadini ebrei.

Il terrorismo arabo contro gli ebrei nel mondo

Il moderno terrorismo arabo contro gli ebrei nasce negli anni Venti in Terra di Israele, con una serie di pogrom e di stragi prevalentemente organizzate dal Muftì di Gerusalemme Amin al Husseini. Dopo la guerra di indipendenza e fino al ‘73 sono prevalentemente gli egiziani a organizzare gli attentati contro i civili. La sconfitta nelle guerre frontali suggerì agli arabi, con l’aiuto dei servizi segreti dell’Est, la creazione di organizzazioni interamente dedicate al terrorismo contro gli ebrei: l’OLP e le sue varie diramazioni, che inizialmente si concentrarono in Giordania, fino a creare un pericolo per il regno hashemita ed essere espulse da lì (1970) e poi anche dal Libano.

Fu in questo periodo che, vista la difficoltà di compiere attentati sul territorio israeliano, i terroristi iniziarono a dirottare e a far saltare gli aerei, cercando soprattutto di assassinare gli ebrei, e a compiere altri attentati internazionali. E’ del 1970 il clamoroso dirottamento di tre aerei nel deserto della Giordania, del ‘76 quello del volo Air France che darà luogo al raid di Entebbe, del ‘73 il primo attentato di Fiumicino, dell’85 il secondo in contemporanea con quello di Vienna. Nel frattempo gli attacchi si erano moltiplicati dappertutto, come quelli di Monaco nel ‘72, con la strage degli atleti israeliani, e il dirottamento dell’Achille Lauro nell’85. Simile all’attentato di Roma fu quello di Parigi, alla Sinagoga di Rue Copernic, compiuto il 3 ottobre del 1980, che provocò 4 morti e 40 feriti. Probabilmente della stessa mano di Roma furono nella tarda estate dell’82 anche il sanguinoso attentato al ristorante kasher di Parigi, in Rue de Rosier e quelli alla sinagoga di Vienna e di Bruxelles, mentre quello di Milano fu compiuto da ultrasinistri italiani.

La serie degli attacchi contro le comunità ebraiche del mondo continuò ancora molto a lungo (per ricordare solo il più grave, nel 1994 al centro sociale della comunità ebraica di Buenos Aires che provocò 85 morti), fino agli attacchi più recenti, come quello del 2015 all’Hyper Cacher di Parigi. Ma la dirigenza palestinese, che aveva avvallato tutti questi crimini, magari solo con la precauzione di attribuirli a sigle di copertura inventate come “Settembre nero”, cambiò strategia per cercare un riconoscimento internazionale che forse troppo presto e troppo facilmente ottenne a Oslo e decise di concentrarsi di nuovo sul territorio di Israele, partendo dalle basi logistiche in Giudea e Samaria, ottenute con gli accordi di Oslo. Nacquero così le ondate dei terroristi suicidi (particolarmente efferata quella del 2000-2002) e poi quella che chiamano “resistenza popolare” che continua ancora oggi, cioè l’istigazione a gruppi o singoli a compiere omicidi di ebrei con mezzi “artigianali” ma non meno sanguinosi: grandi pietre buttate sulle automobili per colpire chi le guida, coltelli, investimenti automobilistici, ogni tanto attacchi con armi da fuoco.

Un’altra storia, connessa a questa, è quella dei tentativi di accordo dei governi occidentali coi terroristi, per sottrarre la loro popolazione agli attacchi, facendo però eccezione per gli ebrei. Sono stati denunciati accordi informali in questo senso da parte dell’Italia (il cosiddetto Lodo Moro), della Francia, della Germania, della Svizzera. Anche questa ignobile rinuncia a difendere i propri cittadini ebrei, a meno di mezzo secolo dalla Shoà, è pertinente all’attentato di Roma, perché la Sinagoga in quell’occasione fu lasciata indifesa ed è difficile pensare che si sia trattato solo di inefficienza. Insomma, l’attentato di Roma purtroppo non fu isolato, è un episodio terribile della guerra palestinista contro gli ebrei, che dura ormai da un secolo.

Per concludere questa dolorosa rievocazione non solo dell’attacco terrorista, ma di quello che fu immediatamente percepito come un tradimento dello Stato italiano ai danni dei suoi cittadini ebrei, il secondo dopo la complicità con Shoà, è utile rileggere qualche riga del discorso che Tullia Zevi pronunciò al Consiglio comunale di Roma, qualche giorno dopo l’attentato:  “Accusiamo il Ministero degli Interni e i dirigenti delle forze dell’ordine per non aver apprestato dispositivi difensivi nel ghetto e intorno alla Sinagoga, malgrado fossero stati insistentemente richiesti, a seguito delle continue minacce dirette agli ebrei … Durante una cerimonia in sinagoga è stato osservato che l’Italia manda i suoi bersaglieri in Libano per proteggere i palestinesi, ma non protegge i cittadini ebrei italiani … accusiamo il mondo cattolico per il modo pomposo in cui ha ricevuto Arafat in Vaticano e per aver quasi ignorato che il massacro nei campi palestinesi è stato compiuto da cristiani, mentre all’esercito di Israele può essere ascritta, se provata, la sola colpa di una corresponsabilità morale … accusiamo la stampa e la radiotelevisione che, salvo rare eccezioni, hanno distorto fatti e opinioni, confondendo volutamente lo Stato di Israele con la politica del suo attuale governo, con il popolo e le comunità ebraiche, determinando un clima incandescente, entro il quale si è inserita la strage dell’altro giorno.” Accuse purtroppo mai davvero smentite.