Il testo integrale dell’intervento del cardinale Angelo Scola

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Qui di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’intervento del cardinale Arcivescovo di Milano Angelo Scola durante la visita alla sinagoga di Milano, il 17 gennaio 2017
(fonte: www.chiesadimilano.it)

«Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme» (122,2). Il versetto del Salmo 122 (121) ben si addice al nostro incontro. I «nostri piedi», quelli dell’Arcivescovo, dei fedeli tutti della Chiesa ambrosiana e dei membri delle Chiese cristiane, si sono fermati per guardare a Gerusalemme con la mente e con il cuore insieme a voi che ci accogliete. Questo significa, in ultima analisi, affermare la centralità di Dio della persona umana creata a Sua immagine e per questo chiamata, nella libertà, alla santità di vita attraverso la fraternità, la misericordia, la giustizia e l’amore. Lo si evince con chiarezza dalla Dichiarazione della XIV Riunione della Commissione bilaterale delle delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo dal titolo dal titolo “Promuovere la pace nel contesto della violenza in nome della religione” (Roma 28-30 novembre 2016–27-29 MarCheshvan 5777).

Papa Francesco ha ben descritto questa nostra comunanza nella Evangelii gaudium 247: «La Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana (cfr Rm 11,16-18). Come cristiani non possiamo considerare l’Ebraismo come una religione estranea, né includiamo gli ebrei tra quanti sono chiamati ad abbandonare gli idoli per convertirsi al vero Dio (cfr 1Ts 1,9). Crediamo insieme con loro nell’unico Dio che agisce nella storia, e accogliamo con loro la comune Parola rivelata».

Voglio innanzitutto porgere il mio grazie e quello del Pastore Giuseppe Platone, Presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, a tutti Voi nelle persone di Rav Alfonso Arbib, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Milano e Presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, di Raffaele Besso e Milo Hasbani, Copresidenti della Comunità ebraica di Milano, di Giorgio Mortara, Vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, per averci offerto questa possibilità di incontrarci in verità e amicizia.

Permettetemi di mandare da questo luogo un saluto ed un augurio speciale a Rav. Giuseppe Laras, Rabbino Capo emerito, che tanto ha contribuito con il Cardinal Martini al dialogo ebraico-cristiano, non solo nella nostra realtà ambrosiana.

Questa Visita Ufficiale, nell’anno 150 della edificazione della Sinagoga distrutta durante la seconda guerra mondiale, ricostruita nel 1953 e ristrutturata nel 1997, esprime il sincero desiderio di superare le incomprensioni e le difficoltà che, anche lungo la storia del nostro paese, hanno visto coinvolte le nostre comunità di appartenenza. Gli 896 ebrei milanesi deportati dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale restano una ferita inferta a tutta la nostra comunità civile, come ci ricorda il Memoriale della Shoah di Milano. Binario 21. Non ci sfuggono le responsabilità storiche di taluni figli della Chiesa nel favorire oggettive ingiustizie contro i membri del popolo ebraico come affermò San Giovanni Paolo II, nella sua visita del 23 marzo 2000 al Mausoleo di Yad Vashem a Gerusalemme, affermò esplicitamente «che la Chiesa cattolica, motivata dalla legge evangelica della verità e dell’amore e non da considerazioni politiche, è profondamente rattristata per l’odio, gli atti di persecuzione e le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei da cristiani in ogni tempo e in ogni luogo» (n. 3). Per questo ci addolorano profondamente le ventate di intolleranza antisemita cui stiamo assistendo in Europa.

Come vi è ben noto il Decreto Nostra Aetate del Concilio Vaticano II ha costituito, per la Chiesa Cattolica, il passaggio decisivo dal punto di vista dottrinale nel rinnovato rapporto dei cattolici con il popolo del Primo Testamento. In quel celebre documento la Chiesa ha voluto esplicitare con chiarezza il legame che unisce il cristianesimo all’ebraismo: «Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo»[1]. Un legame la cui progressiva presa di coscienza spinge noi cristiani a riconoscere negli ebrei «i nostri fratelli maggiori»[2] e anche «i padri nella fede»[3].

Come ha ricordato autorevolmente il documento Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29) della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani «la fede degli ebrei testimoniata nella Bibbia, fede che si ritrova nell’Antico Testamento, non è per i cristiani un’altra religione, ma è il fondamento della loro stessa fede, sebbene la figura di Gesù sia chiaramente l’unica chiave di interpretazione cristiana delle Scritture dell’Antico Testamento. La pietra d’angolo della fede cristiana è Gesù (cfr. At 4,11; 1 Pt 2,4-8). Il dialogo con l’ebraismo occupa per i cristiani un posto unico; il cristianesimo, date le sue radici, è unito all’ebraismo più di quanto non lo sia a qualsiasi altra religione. Pertanto, solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito “dialogo interreligioso” in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di “dialogo intra-religioso” o “intra-familiare” sui generis. Nel discorso pronunciato presso la Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, il Santo Papa Giovanni Paolo II ha difatti descritto questa situazione con le seguenti parole: “La religione ebraica non ci è ‘estrinseca’, ma in un certo qual modo, è ‘intrinseca’ alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione”»[4].

Questa evoluzione dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti della religione ebraica, autorevolmente insegnata dal Concilio Vaticano II e dal magistero dei Papi fino ai nostri giorni, chiude, da una parte, la strada ad ogni opposizione tra cristianesimo ed ebraismo ma, nello stesso tempo, costringe a stare umilmente di fronte a tutta la portata della loro differenza. A questo proposito mi sia permesso citare un ricordo personale. In occasione dell’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985 – convocata per commemorare il 20° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II – ebbi il privilegio di fare un libro-intervista con Hans Urs Von Balthasar. In quella occasione il celebre teologo svizzero affermò: «Una delle questioni più difficili alla quale forse solo Dio è in grado di rispondere correttamente è quella dello “scisma” originario dell’unico popolo di Dio (poiché non si possono dare due popoli di Dio), provocato da Cristo stesso: Lui ne è responsabile, la Chiesa non dovrebbe far finta di conoscere la soluzione e di poterlo risolvere. Noi vediamo solo dei frammenti della verità intera dai quali non sappiamo ricostruire la totalità»[5].

L’incontro e il dialogo tra ebrei e cristiani non può non partire dalla consapevolezza di questa “singolare ferita” il cui mistero spinge la libertà di ciascuno ad approfondire il disegno di salvezza di Dio su tutti gli uomini.

Da parte ebraica, proprio in occasione del 50° anniversario della dichiarazione Nostra Aetate sono stati fatti importanti pronunciamenti sul rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Penso alla Dichiarazione per il futuro giubileo della fraternità. Una visione ebraica nuova delle relazioni ebraico-cristiane consegnata dal Gran Rabbino di Francia al Card. Vingt-Trois il 23 novembre 2015 e all’ancor forse più significativa Dichiarazione di rabbini ortodossi sul cristianesimo “Fare la volontà del Padre Nostro in cielo: Verso un partenariato tra ebrei e cristiani”, del 3 dicembre 2015, in cui si giunge ad affermare che «come Maimonide e Yehudah Halevi, riconosciamo che il cristianesimo non è né un incidente né un errore, bensì l’esito voluto dalla volontà di Dio e dono alle nazioni» (n. 3).

Nell’attuale cambiamento d’epoca, il rinnovato rapporto tra ebrei e cristiani è chiamato all’improcrastinabile compito di edificazione di una “civiltà dell’amore” secondo il disegno del Creatore.

Molteplici sono, senza dubbio, gli obiettivi del dialogo tra di noi: l’approfondimento della conoscenza reciproca e del mutuo arricchimento, in cui gli interlocutori del dialogo diventano i destinatari dei rispettivi doni; l’impegno comune a favore della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo, la lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo e in favore della libertà religiosa[6]. Vorrei sottolineare il particolare e speciale vincolo spirituale che caratterizza le relazioni fraterne tra ebrei e cristiani e che trova nell’amore per Gerusalemme e per la “Terra di Santità” (Eretz ha-Qodesh) un centro ed un cuore pulsante di fede, di venerazione e di pellegrinaggio orante. Come cattolici siamo partecipi, in una dimensione cristiana ecumenica, dei sentimenti di religioso attaccamento alla Terra dei Padri e della Promessa che il popolo ebraico ha costantemente sviluppato nei millenni della storia d’Israele fino ad oggi. Perciò condividiamo la recente dichiarazione della Commissione bilaterale della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele che afferma «il principio del rispetto universale per i luoghi santi di ciascuna religione, ponendo attenzione ai tentativi di negare l’attaccamento storico del popolo ebraico al proprio luogo più santo. La commissione bilaterale ha preso posizione con forza contro la negazione politica e polemica della storia biblica, esortando tutte le nazioni e le fedi a rispettare tale legame storico e religioso»[7]. Preghiamo che Gerusalemme diventi sempre più la “Città della Pace” per tutti gli uomini e le donne che amano la pace. Siamo perciò profondamente addolorati per le violenze e gli attentati esecrandi che ancora di recente hanno ferito la santa città, uccidendo giovani vite e profanando il Santo nome divino.

Vorrei, infine, rilevare un tratto assai significativo della vostra storia a Milano. La comunità ebraica assai vivace nella nostra città ha assunto – soprattutto dal dopoguerra – quella dimensione caratteristica della nostra identità civile che fa di Milano una città aperta. Infatti, dagli anni cinquanta avete accolto gruppi di ebrei provenienti da tutto il mondo, e i loro membri sono man mano diventati milanesi a pieno titolo, collaborando in questo modo al bene della nostra società plurale.

Nella nostra Milano, metropoli plurale, la comunità ebraica e quelle cristiane sono, a mio avviso, chiamate ad un compito profetico. Quello di essere un terreno fecondo in cui possa mettere radici e svilupparsi l’incontro e il confronto tra i membri di tutte le religioni, a partire dagli altri figli di Abramo, i musulmani. Tale dialogo non potrà che avere la forma della testimonianza perché – come ha acutamente ricordato Fackenheim – il Dio di Abramo è un Dio che si è esposto compromettendosi con la storia[8]. La logica profonda di un vero rapporto tra culture, civiltà e religioni, impostato secondo verità, implica sempre l’autoesposizione dei soggetti che ne sono protagonisti[9]. La testimonianza – espressione della libertà di chi si autoespone per attestare la verità – si rivela come l’autentica cifra del dialogo interetnico, interculturale e interreligioso.

A questo ci richiama un passaggio dell’intervento di Rav Arbib per la presentazione del Libro di Rut nel contesto delle Meghillot che saranno oggetto di lavoro comune tra noi nei prossimi anni. Interpretando il Libro di Rut come misericordia (“chesed”) il Rabbino ci dice che le “opere di bene” indicano il dovere di andare al di là delle norme strette uscendo da se stessi per immedesimarsi con gli altri. Non a caso ebrei e cristiani hanno in comune il principio: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

In questo cammino comune di testimonianza reciproca sarà inoltre possibile intercettare l’istanza profonda dell’uomo post-moderno intriso dal desiderio di realizzazione personale (felicità) e di libertà (le due parole del vocabolario oggi più diffuse), mostrando come ragione e fede, necessità e storia, autorità e libertà possono armonicamente comporsi nell’alleanza che Dio intrattiene con la famiglia dei popoli. Dobbiamo, quindi, ciascuno secondo la propria singolare identità, annunciare con gioia la verità di un Dio che ha voluto implicarsi nella storia degli uomini. Infatti, nella tradizione giudaica e in quella cristiana la verità, pur mantenendo tutto il suo carattere di assolutezza, è verità vivente e personale. Essa quindi non teme di consegnarsi alla libertà finita dell’uomo. La storia del popolo ebraico e di quello cristiano si ergono ad indelebile prova che non si dà libertà per la verità che non sia, nello stesso tempo, verità della libertà.

I nostri fratelli uomini ci trovino insieme testimoni. Grazie.

[1] Nostra Aetate 4.

[2] Giovanni Paolo II, Incontro con la Comunità Ebraica nella Sinagoga della Città di Roma, 13 aprile 1986, n. 4.

[3] «Il Medio Oriente ha un posto speciale nel cuore di tutti i cristiani, dal momento che fu proprio lì che Dio si è fatto conoscere ai nostri padri nella fede. Dal tempo in cui Abramo uscì da Ur dei Caldei obbedendo alla chiamata del Signore, sino alla morte e risurrezione di Gesù, l’opera salvifica di Dio fu compiuta mediante individui e popoli nelle vostre patrie», Benedetto XVI, Consegna dell’Instrumentum Laboris dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, Nicosia 6 giugno 2010.

[4] Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraica in occasione del 50° anniversario di Nostra Aetate (n. 4), 20.

[5] H. U. von Balthasar, Vagliate ogni cosa, trattenente ciò che è buono, Lateran University Press, Roma 2002, 27.

[6] Cfr Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29), nn. 44-49.

[7] XIV Riunione della Commissione bilaterale delle Delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo (Roma, 28-30 novembre 2016 – 27-29 MarCheshvan 5777), § 8.

[8] Cfr. E.L. Fackenheim, La presenza di Dio nella storia, Queriniana, Brescia 1977.

[9] Cfr. A. Scola, Quale fondamento? Note introduttive, in «Rivista Internazionale di Teologia e Cultura. Communio» n. 180 (2001) n. 6, 14-28.