Il mondo al rovescio… E al centro di tutto, la Guerra Santa islamica

Italia

di Ilaria Myr

Il conflitto mediorientale, il “suicidio” occidentale, la nuova forma mentis del pensiero woke… Osservatore acuto e consapevole della realtà socio-politica internazionale di oggi, parla l’opinionista Pierluigi Battista, tra i membri fondatori dell’associazione Setteottobre

 

«Oggi Israele è considerato l’avamposto dell’occidente cattivo che perseguita gli oppressi e i deboli. Gli ebrei, le ‘vittime’ per eccellenza, diventano i ‘carnefici’ dei palestinesi, in un’assurda trasposizione in entità mitologiche e non storiche. È la solita visione terzomondista, antimperialista, anticolonialista e antioccidentale che ha una lunghissima storia in Italia, che riduce l’Occidente a entità rapace e prepotente, e in cui gli ebrei, popolo legato a Israele, non sono più una minoranza da tutelare, ma un potere da contrastare: gli oppressi oggi sono i neri, i gay e il mondo LGBTQ, i palestinesi, ma certo non gli ebrei. Una visione in cui non si chiedono ai cosiddetti ‘oppressi’ comportamenti etici, ma se ne giustificano le peggiori nefandezze, con un atteggiamento paternalistico come a dire ‘poverini sono dei selvaggi’. Come stupirsi allora dell’assenza di indignazione morale quando nella manifestazione dei gruppi femministi a Roma abbiamo visto escludere le donne vittime del femminicidio del 7 ottobre? O della presenza in corteo di gruppi filopalestinesi che hanno presentato Israele come il luogo del paternalismo repressivo e quindi i veri fomentatori della violenza contro le donne? A nulla serve far presente che gli omosessuali dei paesi arabi e di Gaza scappano in Israele perché perseguitati: Israele e gli ebrei sono i cattivi, i colonialisti, gli oppressori».

Non usa mezzi termini il giornalista Pierluigi Battista – fra i soci fondatori dell’associazione Setteottobre (che verrà presentata il 28 gennaio a Milano al TFP) per spiegare a Bet Magazine-Mosaico quello che sta sotto alla reazione antisemita all’indomani della barbarie del 7 ottobre commessa da Hamas in Israele e all’antigiudaismo che è esploso già all’indomani dell’attacco, con atti esplicitamente antiebraici o, più spesso, camuffati da odio contro Israele, che non accennano a diminuire, anzi, vanno moltiplicandosi. Una reazione, questa, che ha le radici nell’antioccidentalismo manicheo, da decenni diffuso anche nei Paesi occidentali, che divide il mondo in oppressi e oppressori.

«Questo è il cortocircuito che unisce le persecuzioni degli ebrei nelle università americane, alle piazze in cui si grida ‘gas agli ebrei’ e, appunto, alla negazione del femminicidio di massa del 7 ottobre – continua Battista –. Ed è per questo che è stato anche ignorato un fatto in realtà molto chiaro: dal momento che il massacro del 7 ottobre è stato organizzato da rappresentanti di organizzazioni jihadiste – Hezbollah, Hamas e Jihad Islamica -, la questione principale non è quella palestinese, ma la Guerra Santa islamica. Il significato del 7 ottobre è stato totalmente cancellato 48 ore dopo quello che è avvenuto, prima ancora che venisse dispiegata la forza militare di Israele contro Gaza. La gente – la stessa che il 27 gennaio si commuove per le testimonianze dei sopravvissuti di Auschwitz e dice accorata ‘mai più’ – semplicemente si è voltata dall’altra parte».

In questo quadro desolante, che cosa emerge con più forza?
«Sono colpito dalla spaventosa ignoranza, soprattutto dei giovani: non sanno che gli israeliani sono usciti da Gaza nel 2005, che gli ebrei sono arrivati nell’allora Palestina già nell’Ottocento per scappare dall’antisemitismo in Europa e hanno comprato terreni in un territorio in cui non esisteva un’entità nazionale palestinese. Così come il discorso dei ‘due popoli, due Stati’: chi si ricorda che nel 1947 l’Onu aveva proposto ai palestinesi uno Stato accanto a quello ebraico, e loro rifiutarono? E che nel Duemila Arafat ha rigettato la proposta di Ehud Barak a Camp David, mai così ampia, generosa e importante?
Sono disturbato dall’idea dominante di ‘reazione spropositata’ quando si parla di Israele, che nasconde il solito trattamento speciale riservato agli ebrei. Chi si è indignato per le migliaia di bambini morti nei bombardamenti russi ad Aleppo? Nessuno, perché il nemico comune era l’Isis, e quindi ci si è accontentati. Quanti bambini sono morti in Iran? Quanti cristiani in Sudan vengono fatti a pezzi dalle bande islamiche? Ma non c’è nessun giornale che ne parli, nessuno che manifesti e protesti. Soprattutto, nessuno che davanti alle immagini terribili di bambini letteralmente messi nei forni, dei corpi deturpati e delle violenze sulle donne, riprese e divulgate dagli stessi terroristi, abbia espresso l’orrore e lo sdegno. Anzi, c’è chi è riuscito a mettere in discussione perfino l’accurata inchiesta del New York Times firmata niente di meno che dal Premio Pulitzer Jeffrey Gettleman e realizzata in ben due mesi di indagini, dicendo che è un organo sionista e contestandone il valore giornalistico».

Gli intellettuali e i giornalisti hanno una grande responsabilità…
«Purtroppo fanno parte di questo ‘Intellettuale Collettivo’ che ripropone la vulgata mainstream, che non si pone domande e non discute sui fatti. E che, come succedeva negli anni delle Brigate Rosse quando si diceva ‘i compagni che sbagliano’, riconosce una giustificazione legittima a orrori commessi dalle persone per cui si parteggia. Quello che mi fa impazzire è che si arrivi a ignorare fatti storici importanti come la cacciata di quasi un milione di ebrei dai Paesi arabi, di cui nessuno parla, e a considerare il conflitto israelo-palestinese una guerra dei ricchi contro i miserabili, quando i veri potenti sono quelli che in Medio Oriente hanno il petrolio, primo fra tutti il Qatar che sostiene Hamas. E poi, perché nessuno si interroga sull’atteggiamento nei confronti dei palestinesi degli altri Paesi arabi, che fra il 1948 – anno di nascita di Israele -, al 1967 – anno in cui Israele è entrato nei territori ancora contesi -, non hanno fatto nulla per favorire la creazione di uno Stato?
Come se ne esce? Cercando di fare informazione e contro-informazione con associazioni come Setteottobre, di far capire che la radice di tutto questo sta nella sbagliatissima idea dell’Occidente oppressore – e, quindi, di Israele ed ebrei carnefici – contro povere vittime oppresse. E, soprattutto, che questo non è solo un ‘problema per gli ebrei’, ma ci riguarda tutti quanti. Nessuno escluso».

 

 

In alto: a Kikar Dizingoff si ricordano vittime e ostaggi (foto Yoram Ortona)