Massacro del 7 ottobre: a Roma, la testimonianza dei parenti delle vittime

Italia

di Nathan Greppi
ROMA – Nenazeach, “Vinceremo”: questa la scritta in ebraico sulle magliette blu dei volontari all’evento, che testimoniavano lo stato d’animo di molte delle centinaia di persone presenti. Da un lato l’angoscia e la disperazione per una situazione critica come non ne avevano mai affrontate; dall’altro lato la speranza che, restando uniti, si possa superare anche questa crisi.

Questo, in sintesi, è il clima che si respirava durante l’incontro tenutosi al Tempio Maggiore di Roma mercoledì 25 ottobre, con alcuni familiari delle vittime dei massacri e degli ostaggi catturati da Hamas durante i fatti del 7 ottobre. Nel cortile, erano appesi con dei palloncini rossi i manifesti con le foto dei rapiti, che sono stati affissi in molte città per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle loro condizioni.

I volontari dell’evento al tempio maggiore di Roma

La voce delle istituzioni

In generale, la Comunità Ebraica di Roma ha voluto far capire agli ospiti che nel loro dolore non sono soli: il Rabbino capo, Rav Riccardo Di Segni, ha detto che “la vostra preoccupazione è la nostra preoccupazione, e questa è casa vostra”. Stesso discorso per il Presidente della Comunità Ebraica di Milano, Walker Meghnagi, il quale ha dichiarato che “noi siamo un popolo, e non lasceremo mai soli nessuno”.

Non sono mancati i ringraziamenti per le manifestazioni di solidarietà in questo periodo difficile: la Presidente UCEI Noemi Di Segni ha rimarcato che sono vicini con il cuore non solo agli israeliani prigionieri a Gaza, ma anche agli italiani richiamati sotto le armi in Israele. Mentre Alon Bar, Ambasciatore israeliano in Italia, ha detto che in un anno da quando è a Roma non aveva mai visto il Tempio Maggiore così pieno di persone, un segno evidente della vicinanza degli ebrei romani.

Più di uno ha rimarcato il fatto che nessuno era contro i palestinesi come popolo, ma tutti erano uniti contro il terrorismo e l’integralismo di Hamas: Victor Fadlun, Presidente della Comunità di Roma, ha rimarcato che tra gli ospiti vi era un suo cugino che vive in Israele, che come il cugino di Meghnagi ha perso una figlia negli attacchi. Ha rimarcato come quello di Hamas “non è un attacco politico”, bensì “un attacco di odio contro gli ebrei”.

I volontari e i familiari

Molto importante, nelle ultime settimane, è stato il contributo dei volontari della Comunità di Roma che per giorni si sono offerti di inviare scorte di medicinali e strumenti di pronto soccorso in Israele, nonché di aiutare gli israeliani bloccati in aeroporto che dovevano rientrare in patria. Bruno Sabatello e David Ihan, due dei volontari, hanno letto una lettera giunta loro da un centro di smistamento che portava in Israele il materiale raccolto, di un’israeliana rimasta commossa per le manifestazioni di solidarietà da parte degli ebrei italiani.

I famigliari delle vittime e degli ostaggi

 

Alla fine sono saliti i familiari delle vittime e degli ostaggi. Adar Eylon, figlia del cugino di Fadlun e sorella di una delle vittime, Shira, ha raccontato come sua sorella fosse una ragazza dolce e piena di vita, e si è chiesta chi potesse averla uccisa in quel modo. Ha detto che quella in corso “non è una guerra tra israeliani e palestinesi, è una guerra contro Hamas”, un’organizzazione terroristica. Altrettanto toccante la testimonianza di Ilan Regev, i cui figli Maya e Itai (rispettivamente di 21 e 18 anni) sono stati rapiti e portati a Gaza. Dopo aver raccontato delle ultime ore in cui li ha sentiti, quando ha scoperto quello che stava succedendo, ha fatto ascoltare al pubblico la registrazione della loro ultima chiamata. Un audio terrificante, dopo il quale più di uno tra i presenti è scoppiato a piangere.

Al termine delle preghiere, tutti insieme hanno cantato l’HaTikwah, l’inno nazionale israeliano. Il tutto in un clima di paura per i giorni bui che ci attendono, ma anche di speranza, consapevoli del fatto che il popolo ebraico non abbandonerà mai i suoi figli.